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Jena per la Stampa
I diritti d’autore del libro di Renzi andrebbero divisi con i magistrati che gli hanno arrestato i genitori
LA QUERELA IN DIRETTA A MARCO TRAVAGLIO
Da il Giornale
Torino È una querelle che tende a diventare «storica», quella tra l'ex premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, e il direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio.
Tra i due, un'incompatibilità di vedute che ormai è diventata pura inimicizia: l'uno con le inchieste sulla famiglia Renzi e i salaci editoriali che prendono di mira l'ex leader, Matteo che risponde per le rime nei comizi e talvolta vince anche le cause intentate (dal suo papà) per diffamazione.
Presentando ieri il suo libro al Lingotto, prima uscita dopo il clamoroso arresto dei genitori, Renzi ha chiamato sul palco un suo legale per firmare pubblicamente l'ultima delle querele contro Travaglio, forse la più «singolare». Già perché il direttore del Fatto era apparso in un collegamento televisivo nel suo ufficio con alle spalle, in bella vista sulla libreria, un rotolo di carta igienica con su stampato, per ogni «strappo», il volto dell'ex premier. Gadget che si trova in moltissimi mercatini rionali, di solito «dedicato» alla rivalità sportiva (a Napoli quelli con il viso di Higuain hanno da qualche mese lasciato il posto alle versioni più recenti, che recano la faccia di Ronaldo).
Renzi, dal canto suo, ha fatto della presentazione del libro una specie di «festival delle querele», annunciato anche quelle contro il direttore della Verità, Maurizio Belpietro, il cantante rock Piero Pelù, una giornalista della Rai e altri. «Ho aperto un casella e-mail per ricevere le segnalazioni dalla gente. Credo nella giustizia, e questa querela lo dimostra», ha spiegato, confermando di essere «orgoglioso» dei suoi genitori, di «non avere nulla di cui vergognarsi» e di «non voler perdere tempo con il rancore». Più o meno, si direbbe.
RENZI
Gabriele Martini per la Stampa
Doveva essere la presentazione di un libro, è sembrata la prova generale del lancio di un nuovo partito. Matteo Renzi torna a Torino dopo che lunedì aveva cancellato all' ultimo la tappa del tour del volume «Un' altra strada». Sono passati solo quattro giorni, ma sufficienti a scuotere dalle fondamenta il mondo renziano.
È successo che a 450 chilometri dal Lingotto, in una villetta dall' intonaco rosa pallido di Rignano sull' Arno, ci sono due ingombranti genitori finiti ai domiciliari per un' oscura vicenda di cooperative fallite, contributi non pagati e fatturazioni sospette. La Procura ha chiesto e ottenuto gli arresti di babbo Tiziano e mamma Laura per il timore di inquinamento delle prove e reiterazione dei reati. «Provvedimento assurdo», tuonò a caldo l' ex premier.
Che adesso prova a cavalcare la vicenda giudiziaria per tornare in campo con più forza: «Andremo a processo, non scappiamo come fa Salvini».
LA REAZIONE DI MARCO TRAVAGLIO AI DOMICILIARI DI TIZIANO RENZI BY SPINOZA
L' ex premier sul palco del Lingotto indossa la camicia bianca d' ordinanza, ma il sorriso stiracchiato non basta a nascondere la rabbia. «Noi siamo quelli che restano e non mollano mai», promette. Il pubblico applaude convinto. «Non mi sentirete mai dire una sola parola contro la giustizia italiana». Poi alza la posta: «Faccio solo notare che l' esecuzione del provvedimento restrittivo è arrivata un' ora e mezza prima del voto su Salvini. Questa non è giustizia a orologeria, è un dato di fatto». E ancora: «È stupefacente che per anni si sia costruita una fitta ragnatela di indagini nei confronti dell' allora presidente del Consiglio e dei suoi familiari». Renzi è un animale ferito, umanamente provato: «Non dormo la notte. Non è giusto che mia madre viva una situazione simile. Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché conosco i fatti». Già, i fatti.
Con i suoi fedelissimi l' ex segretario si è detto convinto che i genitori verranno assolti.
Il «one man show» continua con la firma in diretta della querela nei confronti di Marco Travaglio. In prima fila c' è lo stato maggiore renziano (quasi) al completo: Boschi, Bonifazi, Guerini. Giachetti («Gli arresti domiciliari si fanno al mattino, non all' ora dei tg serali») incassa un' ovazione. Per Martina l' applauso della sala è tiepido. I sostenitori più accaniti sono arrivati in pullman da Bologna, Modena, Firenze, Milano: geografia minima delle sacche di resistenza del renzismo. Rivendicano fieri la loro appartenenza politica: «Siamo fan di Matteo, oggi più che mai». Riempiono la Sala gialla del Lingotto, luogo simbolo di tante tappe salienti nella vita del Partito democratico. Samuel Juliano ha 21 anni, la tessera del Pd in tasca e le idee chiare: «L' indagine della procura di Firenze è un attacco politico a Matteo, è un' inchiesta a orologeria». «Sono qui innanzitutto per testimoniare la vicinanza umana a Renzi. È una vergogna, in Italia nessuno viene arrestato per le fatture false», commenta a mezza voce l' ex postina Alessandra Cavallotto.
La verità è che il popolo renziano è stufo. Di stare all' opposizione, della «giustizia a orologeria», dei vertici Pd «che in questi giorni stanno zitti perché, sotto sotto, godono delle disgrazie di Matteo». Ce n' è per tutti. Gentiloni diventa «un politico irriconoscente», Zingaretti «il segretario che farà morire il Pd». Non si salva nemmeno Martina, «né carne né pesce». Confrontando questa platea con quella delle prime edizioni della Leopolda, si scopre che qualcosa è cambiato.
Innanzitutto l' età dei partecipanti: pochi giovani e tanti over 60. Anche le parole d' ordine non sono più le stesse: se un tempo l' obiettivo era rottamare i notabili e scalare il Pd, ora la tentazione è quella di abbandonare la casa materna.
Andare oltre al Partito democratico non è più un tabù.
«Quelli ormai ci odiano, non ha più senso stare assieme», sbotta Liliana Innocenti, professione infermiera. Giovanni Trinchieri è un preside in pensione, ma anche uno storico attivista del centrosinistra della provincia di Torino: «Zingaretti non ha un programma, punta solo sulla discontinuità da Renzi». È un umore diffuso. Al fondo della sala Roberto Giachetti si liscia la barba e guarda al futuro: «Se vince il mio avversario e il partito prende una linea che non coincide con i miei valori, non esiterò a togliere il disturbo».
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