DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
1 - SALVINI CEDE IL SENATO A FI PER GARANTIRSI LA LEADERSHIP
Marco Conti per “il Messaggero”
BERLUSCONI ED IL SUDORE DI SALVINI
«A Mattè, ma nun poi pensà de prenne l'incarico a premier e pure na presidenza. E noi che stamo a fa!». «Dici!». Non è ancora sceso a Roma per il suo primo giorno da senatore, ma la telefonata dell'arguto alleato dell'hinterland capitolino diventa per Matteo Salvini lo spartiacque tra il tatticismo dei giorni scorsi e la realtà. Dopo mesi di campagna elettorale il segretario delle felpe fatica ad indossare giacca e cravatta e ancor più a calarsi nel ruolo di leader di tutto il centrodestra.
Depurate le scorie della campagna elettorale restano però i numeri con i quali confrontarsi in Parlamento per eleggere i presidenti delle Camere e magari anche per formare, dopo, un governo. Più che le sparate e i toni muscolari conta la politica e contano i pesi che ciascuna forza ha. Soprattutto conta - e a volte pesa - la volontà di essere riconosciuto leader politico del centrodestra, dopo aver battuto nelle urne l'invincibile Cavaliere di Arcore.
LA POLTRONA
Tra Salvini e Berlusconi - come conferma la telefonata di ieri e racconterà l'incontro di oggi - i rapporti restano stretti, e quel po' di diffidenza reciproca sta tutta nella difficoltà che incontra l'ex premier nel riconoscere l'erede, e nella cautela usata dal segretario nel trattare colui che considera una vecchia gloria della politica e del Milan.
Alle ragioni dell'alleato battuto con la forza dei voti - ma tecnicamente ancora capace di uno scatto d'orgoglio - Salvini si acconcia stringendo lo scettro da leader del 37% e cedendo una delle due Camere all'alleato e l'altra ai pentastellati. Un passo indietro, nella certezza di poterne fare molti altri in avanti, e che potrebbe portare un azzurro sulla poltrona di presidente del Senato. Archiviato, se mai c'è stato veramente, l'asse con il M5S, la Lega di Salvini lavora per portare tutto il centrodestra all'accordo con 5S e Pd.
Dal vertice a tre di oggi, uscirà quindi una sostanziale unità del centrodestra con tanto di riconoscimento per il lavoro fatto sin qui dal suo leader. Con Montecitorio al M5S, il Senato a FI e il dovuto riconoscimento al Pd e alle forze più piccole negli uffici di presidenza, la quadra sembra trovata anche se i rischi si annidano nei dettagli.
Al Senato il passo indietro che dovrebbe fare la Lega - magari in cambio della candidatura di Massimiliano Fedriga a governatore del Friuli - potrebbe spianare la strada a Paolo Romani. Il veto dei 5S sui candidati con procedimenti penali in corso non impedisce l'intesa perchè il centrodestra ha da solo i numeri per eleggere Romani grazie anche a qualche aiutino del Pd.
L'ipotesi alternativa di Anna Maria Bernini regge ma incontrerebbe resistenze territoriali, visto l'attivismo della neoeletta senatrice della Lega Lucia Borgonzoni. Tramontata invece la candidatura della Bongiorno che oltre a scontare il veto di FdI, da presidente del Senato avrebbe molto meno tempo per curare il suo avviatissimo studio da avvocato.
L'ALA
E se al Senato Romani può farcela anche senza il M5S, altrettanto non possono fare i Cinquestelle alla Camera per eleggere Roberto Fico o Riccardo Fraccaro. Tutti e due avranno bisogno che Salvini porti loro i voti di tutto il centrodestra e magari anche del Pd.
Il primo, Fico, sembra però avere molte più chance proprio perchè non è annoverabile tra i fedelissimi di Di Maio, ma esponente dell'ala più ortodossa del Movimento. In sostanza l'elezione di Fico a presidente della Camera rappresenterebbe un elemento di stabilizzazione non solo dei 5S ma anche della legislatura.
Il tempo diventa il maggiore alleato per chi cerca una soluzione non solo per le presidenze delle Camere ma anche per il governo. «Apprezziamo molto che il Quirinale non stia mettendo fretta alle forze politiche», ha affermato ieri Di Maio. Un riconoscimento che aiuta il leader grillino a restare in partita sia nel gioco delle presidenze, sia nella costruzione di quel governo di tutti che avrà un programma di tutti. Compresa la modifica del sistema elettorale e la fine del bicameralismo.
2 - SALVINI E IL PATTO CON DI MAIO BRACCIO DI FERRO SULLA PREMIERSHIP SPUNTA L'IPOTESI DI UN TERZO NOME
Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo per “la Stampa”
Chissà se nei colloqui quotidiani con Silvio Berlusconi il leader della Lega gli ha spiegato tutti i suoi piani per trovare una maggioranza di governo. Compresi i piani B e C. Una cosa è certa: Matteo Salvini ripete come un mantra che «senza i 5 Stelle sarà difficile trovare una soluzione» al rompicapo post-elettorale.
L'intesa deve passare per forza «dall' altro vincitore» che si chiama Luigi Di Maio. Il capo del Carroccio non sta facendo il doppio gioco, non intende cercare un accordo solitario e rompere con il centrodestra. In questa fase, Salvini lavora al piano A. E' impegnato a trovare una maggioranza di governo insieme con Berlusconi e Giorgia Meloni.
Oggi i tre leader si vedranno a Roma, per chiudere sulle presidenze di Camera e Senato. Ma è inevitabile che si parlerà pure di cosa fare dopo. Ecco, appunto: c' è un dopo, se il piano A dovesse fallire. «L'interlocutore del centrodestra - sostiene Salvini con i suoi consiglieri - è Di Maio».
Il leghista proverà prima a muovere l' intera coalizione, cercherà un mandato, andrà a verificare se c'è una maggioranza, provocando Di Maio con le sue stesse argomentazioni. Chiederà il sostegno al M5S, richiamandoli al «senso di responsabilità», consapevole di poter fallire. È al limite dell'impossibile che i grillini possano votare un governo di destra, dove uno dei protagonisti è ancora Berlusconi, «il condannato», considerato nel Movimento il «male assoluto».
Ma questo è solo il primo round. Successivamente scatterebbe il piano B. Salvini ammetterà l'impossibilità di formare una maggioranza e lascerà spazio a Di Maio. «Toccherà a lui provarci» spiega. Entrambi sanno già che potrebbe andare così. In quel caso proveranno a sedersi attorno a un tavolo per scrivere programma e lista dei ministri. Sarebbe un governo fortissimo nei numeri ma complicato da comporre per le differenze programmatiche (difficile mettere insieme reddito di cittadinanza e flat tax al 15%), ma non impossibile.
«Niente è impossibile», ripete Salvini, per nulla indifferente alle sirene dei 5 Stelle. Di Maio cercherebbe una maggioranza, avendo in tasca il patto con Salvini che, dopo il suo tentativo andato a vuoto, potrà disimpegnarsi dagli alleati in nome della responsabilità. Un'ipotesi sdoganata ieri anche dal leghista Giancarlo Giorgetti a Porta a Porta: «Se si trovano punti su cui concordare può essere una soluzione». L'unico scoglio, che sia il leghista sia il grillino hanno ben presente, è la premiership. Chi farà il presidente del Consiglio?
Salvini ha già detto che è «pronto a fare un passo indietro». Ma per lui è più facile, ha preso il 17% dei voti. Più complicata la rinuncia di Di Maio, forte del suo 32% e della disponibilità a sacrificare i ministri di peso. «Su Luigi premier non si cede» dicono nello staff. Nessun veto su Salvini ministro dell'Interno, ma è solo il premier che darà una garanzia politica ai 5 Stelle.
VINCENZO SPADAFORA LUIGI DI MAIO
Dovesse saltare l'intesa, si arriverebbe alla terza ipotesi per sfinimento: un governo guidato da una personalità indicata dal presidente della Repubblica gradito a leghisti e grillini, che comunque manterrebbero le quote di maggioranza dell'esecutivo. Il premier sarebbe un traghettatore verso il nuovo voto. Ma come si sa, un governo può nascere istituzionale (e di breve durata) e poi diventare politico. «Niente robe alle Monti, però», avverte Salvini, trovando d'accordo Di Maio, convinto ormai che non convenga più tornare alle elezioni.
Davanti alle nozze grillo-leghiste, Fratelli d'Italia andrebbe all' opposizione. Forse pure Fi, ma c'è chi scommette che, pur di non misurarsi con una nuova gara elettorale a rischio per gli azzurri, Berlusconi potrebbe dar prova della sua adattabilità da manager. E in tal senso le ultime indiscrezioni sono sorprendenti.
L'ex premier avrebbe ammesso con l'alleato leghista di avere sbagliato campagna elettorale, tutta impostata sui grillini che «non hanno mai lavorato, né hanno mai fatto una dichiarazione dei redditi». Ha capito di aver infilato due dita negli occhi ai giovani del Sud e a chi, nonostante una laurea, non trova un'occupazione.
FRANCESCA PASCALE E SILVIO BERLUSCONI AL MATRIMONIO DI CATIA POLIDORI
Di fronte allo stupore di tutti, e per primo di Salvini, il mago della comunicazione e della propaganda Berlusconi ha ammesso i suoi errori. Di più. Ha seguito Di Maio in tv e di fronte a Meloni si è sbilanciato in apprezzamenti: «Ha solo 31 anni ma è proprio bravo». Un complimento che è arrivato all'orecchio dello stesso leader grillino.
Chi nel centrodestra conosce il fiuto di Berlusconi e la sua spregiudicatezza, crede però ci sia una precisa intenzione in queste confessioni, magari fatte uscire ad arte per aprire un impensabile canale di dialogo con i 5 Stelle. Quando un noto colonnello forzista ha consigliato a Di Maio di chiamare l'ex Cavaliere, il grillino è rimasto muto. Una telefonata che Berlusconi vorrebbe ricevere per un semplice motivo: «Sono io il leader di Forza Italia». Una telefonata che però, a sentire lo staff M5S, è impossibile. «Mai con Berlusconi», «noi con lo psiconano? (il nomignolo affibbiatogli da Grillo, ndr) Tutto ha un limite. Per molti di noi il M5S è nato proprio contro di lui».
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