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Francis X. Clooney SJ* per "Il Foglio"
gesuita, dal 2005 è professore di Teologia alla Harvard Divinity School dopo aver insegnato per ventun anni al Boston College. Dal 2010 dirige il Centro di Harvard per lo studio delle religioni mondiali e dal 1998 al 2004 è stato il coordinatore per il dialogo interreligioso negli Stati Uniti per conto della Compagnia di Gesù
Mi trovo qui alla Seattle University a tenere alcuni workshop per la School of Theology and Ministry sull'apprendimento interreligioso - questa scuola è leader nella nuova ondata di formazione interreligiosa per ministri della fede - e quindi sono rimasto un po' indietro con le notizie.
Ma un amico mi ha spedito il link alla seconda intervista concessa dal Papa, quella con Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano Repubblica. Anche questa è un soffio d'aria fresca che arriva così presto in questo pontificato nuovo e dallo stile nuovo, un soffio d'aria fresca dopo gli ultimi trentacinque anni in cui i papi hanno avuto uno stile molto differente. Sono stato molto felice di leggere quasi tutti questi nuovi commenti, e sono grato per il nuovo approccio di Francesco. Sono quindi recalcitrante nel sollevare un paio di interrogativi che mi sono venuti in mente durante la lettura, ma dato che mi tormentano, penso sia il caso di esporli.
Per prima cosa, il Papa continua a essere critico nei confronti della burocrazia del Vaticano, la curia: "I capi della chiesa sono stati spesso narcisisti, adulati e idolatrati dai loro cortigiani. Le corti sono la lebbra del papato... [Sì,] ci sono a volte dei cortigiani nella curia, ma la curia nel suo complesso è tutt'altra cosa. E' quella che nell'esercito è chiamata l'intendenza, chiamata a gestire i servizi della Santa Sede. Ma ha un difetto: è Vaticano-centrica".
E' un po' difficile, anche a una seconda o terza lettura, capire la distinzione che il Papa fa tra la "lebbra di questa corte" e le buone funzioni della curia, la sua funzione apparente e il suo narcisismo. In ogni caso, se la curia - o una parte di essa - è causa di rovina per la chiesa e ha un disperato bisogno di essere riformata e ripulita, per quale motivo Francesco si affretta a canonizzare Giovanni Paolo II, che l'ha presidiata, promossa e nutrita, ne ha nominato i funzionari e così via per ventisette anni?
E' difficile incolpare i "capi della chiesa" e gli "elementi della curia" e criticare i narcisisti e i cortigiani, senza che si accusi in qualche modo anche il potente Papa che vi ha regnato per tanto tempo. Che i papi debbano essere canonizzati o meno è una questione che rimane aperta; ma nel momento in cui stanno per essere elevati agli onori degli altari, il modo in cui hanno gestito il Vaticano dovrebbe essere un criterio fondamentale di valutazione, ed è strano che Francesco continui la sua corsa alla canonizzazione di Giovanni Paolo II quando è così critico nei confronti di una delle principali componenti dell'eredità amministrativa del suo predecessore.
Dopodiché, più avanti in questa stessa intervista, in riferimento alla domanda sullo "status di minoranza" della chiesa nel mondo attuale, Francesco risponde in parte, "il Concilio Vaticano II, ispirato da Papa Paolo VI e da Papa Giovanni, ha deciso di guardare al futuro con uno spirito moderno, e di essere aperto alla cultura moderna.
I Padri conciliari sapevano che essere aperti alla cultura moderna avrebbe significato ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Ma dopo di ciò è stato fatto davvero poco in quella direzione. Ho l'umiltà e l'ambizione di voler far qualcosa in merito". (L'enfasi in corsivo è mia). E' sbalorditivo dire che è stato fatto "davvero poco" riguardo l'ecumenismo e il dialogo dai tempi del Concilio. Ammetto subito che, almeno rispetto al dialogo interreligioso, più d'una volta a due passi avanti è seguito un passo indietro. Pensate alla "Dominus Iesus" e ai processi di Jacques Dupuis, SJ.
Sicuramente c'è ancora molto da fare, e molti rimpianti da esprimere. Ma non si deve dire, con noncuranza e en passant, che è stato fatto "davvero poco" dall'epoca del Concilio. Sono stati fatti enormi passi avanti negli scambi ecumenici con un'ampia gamma di chiese cristiane dell'occidente e dell'oriente.
Attraverso il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e gli altri uffici e comunità globali e locali, e nella vita dei cattolici ovunque nel mondo, sono stati fatti passi enormi nel cambiare il vecchio atteggiamento della chiesa verso le altre religioni, prima spesso arrogante e polemico. Molto è stato fatto anche riguardo lo sradicamento dell'antisemitismo, l'apertura verso i nostri fratelli e sorelle musulmani, gli scambi ricchi e profondi con gli indù e i buddisti.
Quando Francesco dice che è stato fatto "molto poco" in questo campo, cosa intende, dunque? Ha fatto di più come cardinale in Argentina? Può essere che, mettendo le cose in prospettiva, Jorge Mario Bergoglio non sia mai stato coinvolto in scambi ecumenici o interreligiosi nel suo ruolo di parroco, vescovo, arcivescovo e cardinale (anche se gli si conferisce grande credito per aver promosso le relazioni fra ebrei e cristiani). Forse non è mai venuto in contatto con le teologie e le pratiche delle religioni asiatiche, ad esempio, e non ha spinto i suoi collaboratori a lavorare per implementare la visione ecumenica e interreligiosa del Concilio.
Forse ce n'era meno bisogno in Argentina, e lui era troppo impegnato per notare quello che stava accadendo altrove nella chiesa. Ma di certo, ora che è Papa, deve essere più cauto e più attento a quello che gli altri hanno fatto e a ciò che la chiesa ha davvero raggiunto negli ultimi cinquant'anni.
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