DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1 – TUTTE LE SALUTARI SBERLE AMERIKANE PRO-CRESCITA E ANTI-TASSE RIFILATE A BRUXELLES E BERLINO
Giuseppe Liturri per www.startmag.it
L'ARTICOLO DEL WALL STREET JOURNAL CONTRO L'EUROPA CHE STRANGOLA L'ITALIA
Non c’è dubbio. Stiamo vivendo tempi interessanti. Come non definire tali quei tempi in cui dopo la Santa Inquisizione, il cardinale Bellarmino e l’abiura è finalmente arrivato il momento di riconoscere che la Terra ruota intorno al Sole e non viceversa Fuor di metafora, negli ultimi due giorni, in fortuita coincidenza con la visita di Salvini negli Usa, pare che ci sia un allineamento di tutti i corpi celesti (grandi media internazionali in testa) nell’affermare ‘coram populi’ quanto in molti, inascoltati, andavano ripetendo da tempo:
la politica monetaria della Bce sta mostrando i suoi limiti (è un eufemismo) nel conseguimento dell’unico obiettivo di un’inflazione inferiore ma vicina al 2%;
la politica fiscale tendente al pareggio di bilancio imposta dalla Commissione Ue ha già fatto fin troppi danni e deve rapidamente riscrivere le proprie astruse e opache regole al fine di fronteggiare efficacemente il rallentamento dell’eurozona, Germania in testa, che non può più contare sui consumi del resto del mondo.
La prima bomba di profondità l’ha sganciata un articolo di Bloomberg in cui, parlando a nuora (bilancio Usa) affinché suocera (Commissione Ue e Germania) intenda, si smontava il dogma molto in voga nei salotti dei talk show di casa nostra, secondo cui il debito pubblico rappresenterebbe un fardello caricato sulle spalle delle future generazioni.
L’autore osserva correttamente che è un’affermazione che deve fare i conti con la maggiore crescita, produttività e salari che sono generati da una politica fiscale espansiva e, fin tanto che la crescita del Pil resta superiore al costo del debito, i conti tornano a favore delle future generazioni che, dopo decenni, si ritrovano con un’economia dalle dimensioni ben superiori proprio grazie a quella politica fiscale espansiva.
angela merkel ha un malore durante la visita del capo di stato ucraino zelensky a berlino 2
Considerato l’attuale livello dei tassi di interesse, basta una crescita anche modesta per ripagare ampiamente il servizio del debito, renderlo quindi sostenibile e creare valore, non immaginifici fardelli, per le future generazioni.
Infine, si opera un importante distinguo tra deficit pubblico da minori tasse o maggiore spesa pubblica e sottolinea la maggiore manovrabilità del primo rispetto al secondo, poiché è molto più facile e rapido ripristinare un taglio di tasse che un aumento di spesa pubblica.
La seconda, ancora più pesante bordata è arrivata da un pezzo a firma ‘editorial board’ (quindi massima espressione della linea editoriale del giornale) del Wall Street Journal.
In esso, partendo già dall’evocativo titolo e sommario (Europa che strangola l’Italia colpevole di voler adottare misure pro crescita) si passa in rassegna l’ostinata e già provatamente fallimentare (con Grecia e Italia nel 2011/2012) posizione della Commissione Ue che viene più volte definita sarcasticamente un manipolo di ‘Mandarini’ (funzionari dell’impero cinese noti per i loro privilegi e piglio autoritario).
Questa casta di burocrati si ostina a voler impedire per il 2020 una riforma fiscale, peraltro non nota nei decisivi dettagli, che potrebbe rivelarsi ‘la migliore idea avuta negli ultimi anni a Roma per semplificare il sistema fiscale, sostenere la crescita ed abbattere l’evasione’. Niente male come messaggio per Dombrovskis, Moscovici ed i loro mandanti politici.
La conclusione è di quelle col botto. Comincia con l’auspicio che la Ue dia la possibilità a Salvini ed al suo governo di progettare un bilancio 2020 che contenga tagli di tasse pro crescita; minaccia Bruxelles avvertendola che ‘una sconsiderata battaglia sul bilancio italiano rafforzerà le tesi degli euroscettici’ e ricorda loro che la terribile lezione del decennio greco dovrebbe aver insegnato che esistono anche altre soluzioni di politica economica. A questo punto il ‘minimo che potrebbe fare è levarsi di torno mentre a Roma si prova a fare qualcosa di diverso’. Se il linguaggio felpato del mondo della finanza arriva ad usare questi toni, significa che la misura è davvero colma ed il messaggio per i Mandarini di Bruxelles non avrebbe potuto essere più chiaro.
TORO WALL STREET LA RAGAZZA SENZA
Ad animare il dibattito e gettare ancora benzina sul fuoco, giungeva puntuale l’intervento di Ashoka Mody, prestigioso economista da tempo critico con l’euro e la politica economica della UE. Con un intervento al vetriolo, commentava le recenti scoperte (?) del FMI, secondo cui soprattutto durante la crisi del 2009, una politica monetaria comune ha aumentato le divergenze tra Paesi. Insomma, l’euro aveva sin dall’inizio il seme della discordia.
La giornata sembrava aver riservato già sufficienti emozioni, quando dal Portogallo arrivavano le dichiarazioni di Draghi che si esibiva in un drastico cambio di registro linguistico rispetto solo a poche settimane fa. Quello che fino a ieri era solo un rischio di condizioni avverse, diventavano persistenti incertezze del quadro economico di fronte alle quali la Bce si dichiarava pronta a fare tutto il necessario.
Come se non bastasse, Draghi aggiungeva la necessità di una politica fiscale che reciti il suo ruolo senza lasciare tutto il peso dell’aggiustamento sulla politica monetaria e concludeva (udite, udite!) affermando che talvolta la politica fiscale è stata prociclica. Insomma, un nuovo ed inatteso ‘whatever it takes’ che ci fa capire quanto sia forte il rallentamento in atto in Europa che non è più fronteggiabile con lo stanco mantra delle riforme strutturali e con crescenti avanzi primari di bilancio.
Su tali dichiarazioni, il cambio euro/dollaro scendeva rapidamente e non tardava ad arrivare la reazione da oltreoceano con un tweet di Trump che in poche decine di caratteri regolava un conto in sospeso da tempo. Accusava Draghi che, con l’annuncio di nuovi stimoli, indeboliva l’euro e guadagnava competitività in modo scorretto, al pari della Cina e di altri Paesi.
GIOVANNI TRIA VALDIS DOMBROVSKIS
Sembra chiaro che da oltreoceano non hanno voglia e spazio per assistere alla ripetizione della svalutazione di fine 2014, quando in pochi mesi l’euro svalutò del 30% circa. La risposta di Draghi è stata tanto vaga quanto scontata: “Noi non abbiamo obiettivi di cambio”. Corretto, se non fosse per il fatto che il cambio viene influenzato quasi per definizione da qualsiasi atto di politica monetaria della Bce.
Questo inusuale e duro scambio di battute serve a ricordarci, ancora una volta, l’importanza del cambio come strumento di politica monetaria, di cui ci privammo improvvidamente 20 anni fa per condividerlo on altri 19 Paesi. Al danno della perdita è poi seguita la beffa della condivisione con Paesi per i quali tale cambio si è rivelato sottovalutato, aumentando ancora di più la loro competitività ed ampliando le divergenze nell’eurozona. Ma questo è ormai materiale per i libri di storia.
Per il momento dobbiamo accontentarci di non vedere amplificare le distorsioni strutturali prodotte dalla moneta unica ad opera di una politica fiscale restrittiva prociclica. Da oltreoceano hanno battuto più di un colpo, speriamo che a Bruxelles il messaggio sia arrivato forte e chiaro e non insistano con procedure di infrazione prive di ogni fondamento.
2 – E SE SI TROVASSE L’UNIONE EUROPEA IN PROCEDURA DI INFRAZIONE, SENZA NEMMENO ACCORGERSENE?
Federico Punzi per www.atlanticoquotidiano.it
Lo scenario geopolitico è profondamente mutato negli ultimi anni ma a Bruxelles e nelle altre capitali europee non sembrano averne preso atto. Si parla, o meglio si chiacchiera spesso nel vecchio continente dell’Ue come attore globale al pari di Usa e Cina – ruolo da conquistare, a portata di mano o addirittura già acquisito, secondo vari gradi di ottimismo.
mario draghi carlo azeglio ciampi
La realtà è che da qualche anno sembra essersi esaurita, o per lo meno essere scemata, la fase in cui il progetto europeo era visto con benevolenza dalle altre potenze. Oggi grandi e medie potenze hanno ragioni e obiettivi – certamente molto diversi tra di loro – per contrastare una Unione europea germanocentrica. E la notizia è che tra queste ci sono gli Stati Uniti, storicamente sostenitori di una Europa unita e prospera.
È stata l’amministrazione Trump la prima ad aprire una vera e propria procedura di infrazione nei confronti dell’Ue per concorrenza sleale e, diciamo, free riding sulle spalle dell’alleato Usa, anche se motivi di malcontento per la linea sempre più divergente degli europei da Washington non sono mancati nemmeno durante le presidenze Bush jr (in politica estera) e Obama (in politica economica).
L’ultimo strappo, in ordine di tempo, da parte del presidente Trump è arrivato quando l’altro ieri Mario Draghi ha fatto capire che il suo “bazooka” monetario è ancor ben carico e pronto a sparare. Il presidente della Bce ha parlato di “un ulteriore stimolo” all’economia europea, necessario “in assenza di un miglioramento, al punto che sia minacciato il ritorno di un’inflazione sostenibile ai livelli desiderati”. E in tal caso, ha ricordato, il Quantitative Easing ha ancora “uno spazio considerevole”, “ulteriori tagli dei tassi e misure per mitigare qualsiasi effetto collaterale continuano a far parte degli strumenti a nostra disposizione”. Un’uscita che ha fatto letteralmente infuriare il presidente Usa:
“Mario Draghi ha appena annunciato che potrebbero arrivare altri stimoli, che hanno immediatamente fatto calare l’euro rispetto al dollaro, rendendo ingiustamente più facile per gli europei competere con gli Usa. Sono anni che vanno avanti così insieme con la Cina ed altri… Molto scorretto nei confronti degli Stati Uniti”.
Tra l’altro, l’annuncio di Draghi suona come un’implicita ammissione di impotenza del sistema Ue. La Bce può ricorrere a tutte le armi della politica monetaria nel suo arsenale per tendere all’obiettivo di un’inflazione inferiore ma vicina al 2 per cento, ma come ha più volte ripetuto il governatore, hanno dei limiti impliciti nel sostenere la crescita e ridurre le divergenze interne.
Non possono sostituirsi alle riforme e alle politiche economiche che spettano ai governi. E di tutta evidenza, se Draghi intravede la necessità di un nuovo stimolo monetario, non è perché l’Italia arranca e sta portando l’Ue in un vicolo cieco, come recita la copertina di un settimanale tedesco (sì, anche in Germania si parla alla pancia dell’opinione pubblica…). Non è colpa della Grecia, né della Brexit. Molti dei problemi dell’economia italiana sono endemici, ma se l’area euro si trova in un vicolo cieco, è perché eccessivamente dipendente dalla locomotiva tedesca, che si è fermata, e perché modellata fin troppo sulle rigidità di politica economica care a Berlino.
L’Ue a trazione tedesca ha iniziato a esportare i suoi squilibri interni, finendo per entrare in rotta di collisione con l’alleato americano. Ora da Washington è arrivato l’alt. L’America di Trump non è più disposta ad accettare la politica mercantilista tedesca sostenuta dalle svalutazioni competitive della Bce. Anche se ufficialmente, come ripete Draghi, gli stimoli monetari hanno come unico obiettivo un livello di inflazione inferiore ma vicina al 2 per cento – e il sostegno delle economie del Sud Europa, Italia in testa – è innegabile l’effetto di sottovalutazione dell’euro, a beneficio del già competitivo export tedesco.
Se a ciò sommiamo regole tendenti al pareggio di bilancio, senza distinguere tra politiche pro-crescita e di semplice irresponsabilità fiscale, e l’ossessiva politica di Berlino per i surplus di bilancio, ecco che non solo non c’è modo di ridurre gli squilibri interni alla zona euro ma, anzi, gli squilibri vengono esportati e alimentati all’esterno.
In fondo, agli occhi degli americani, la concorrenza sleale europea – e tedesca – non è molto diversa da quella cinese. Sia Berlino che Pechino non possono permettersi di modificare, e tanto meno abbandonare, il loro modello di sviluppo, pena la coesione politica e sociale interna. Ma questo è divenuto insostenibile all’esterno.
Un alt molto deciso, inequivocabile, all’Ue è arrivato sempre dall’America, ma non dalla Casa Bianca. A dire “basta” è la testata principale espressione del mondo della finanza Usa, il Wall Street Journal – non esattamente il tempio della spesa e del debito facili – con un editoriale firmato dal board e intitolato emblematicamente “Lo strangolamento dell’Italia da parte dell’Europa”, uscito lunedì scorso (casualmente il giorno in cui Salvini incontrava a Washington il vicepresidente Pence e il segretario di Stato Pompeo). Sottotitolo: “L’Ue potrebbe punire Roma colpevole di spingere per una politica pro-crescita”. Incomprensibile, vista da oltreoceano.
L’apertura è già una sentenza:
“Il vicepremier italiano Matteo Salvini è il favorito prossimo primo ministro del Paese e i mandarini dell’Unione europea stanno incrementando le chance degli euroscettici. Basti vedere come Bruxelles sta gestendo la sua ultima disputa sul bilancio con Roma”.
Il quotidiano Usa definisce il cavallo di battaglia di Salvini, la flat tax sui redditi personali e delle piccole imprese fino a 50 mila euro, “la migliore idea che qualcuno a Roma abbia avuto da anni per semplificare il sistema fiscale italiano e magari ridurre l’evasione”. “Di questa proposta i mandarini dell’Ue vedono solo una perdita di gettito fiscale”, mentre “ciò che manca all’Italia è la crescita economica per espandere la base imponibile”. A Bruxelles una casta di ostinati burocrati “dimostra di non comprendere gli incentivi per la crescita”.
MOSCOVICI E DOMBROVSKIS BOCCIANO LA MANOVRA ITALIANA
La conclusione del Wall Street Journal è netta e senza appello:
“L’Europa dovrebbe lasciare a Salvini e ai suoi partner di governo lo spazio per progettare un bilancio 2020 pro-crescita, e Bruxelles non dovrebbe sorprendersi se una sconsiderata battaglia contro Salvini sul bilancio rafforzerà le motivazioni degli euroscettici italiani. Il terribile decennio della Grecia dovrebbe aver insegnato a Bruxelles che l’infernale austerità di aumenti delle tasse e indiscriminati tagli alle spese non può essere l’unica politica. Il minimo che potrebbe fare è togliersi di torno mentre Roma prova a fare qualcosa di diverso“.
I “mandarini” – così il WSJ definisce i vari Moscovici, Dombrovskis e Juncker – dovrebbero togliersi di mezzo.
Insomma, dall’America di Trump il messaggio non potrebbe essere più chiaro: la pazienza è finita.
Tutto questo mentre in Italia ci toccava leggere e ascoltare gli scontatissimi e noiosissimi attacchi a Salvini da parte dei suoi avversari politici e dei giornaloni della palude italiana. Fino a ieri la Lega era il partito di Putin, da cui addirittura era finanziato, da oggi è subalterna agli Usa e la nostra sovranità svenduta a Washington. Qualcuno pensa di vendere qualche copia in più con queste banalità. La realtà è che senza alleanze l’Italia non può giocare alcuna partita in Europa, né Salvini in Italia. Partita vera, s’intende, non a chiacchiere. Germano Dottori di Limes, autore del libro “La visione di Trump”, ha commentato su Twitter:
“Avviso ai commentatori a digiuno di realismo. Se Cavour non si fosse appoggiato prima alla Francia e poi alla Gran Bretagna, col piffero che allontanava gli austriaci dall’Italia! Oggi è lo stesso. Cercare forti sostegni esterni è declinazione legittima del sovranismo”.
20 anni di euro draghi moscovici dombrovskis
Qualcuno troppo accecato da non riuscire nemmeno più a ragionare di politica ci ha visto uno scandaloso paragone tra Salvini e Cavour…
Può strappare una risata la gaffe del vicepremier sulla scalinata di Rocky, ma la questione è seria. Salvini la visita negli States se l’è giocata molto bene. Forse per la prima volta da uomo di governo, oltre selfie, felpe e bagni di folla – e occorrerebbe se non dargliene atto, almeno accorgersene. In America sembra che se ne siano accorti – e spesso ci azzeccano.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - A RACCONTARLO NON CI SI CREDE. RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI…
DAGOREPORT - FRANCESCHINI, IL SOLITO “GIUDA” TRADITORE! SENTENDOSI MESSO DA PARTE DALLA SUA…
DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…