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Da "il Foglio"
Il lunedì dell'Angelo in alcuni casi non porta il bel tempo sull'Italia e di certo non porta il buon umore tra le principali forze politiche. Infatti, se Beppe Grillo può parlare male dei saggi scelti da Giorgio Napolitano e nel contempo parlare bene di questa soluzione individuata dal Colle, perché comunque è la meno peggiore, i leader degli altri partiti non possono concedersi questa lussuosa incoerenza. Per loro la decisione del presidente della Repubblica è una bella botta.
Gli unici a festeggiare per i dieci uomini d'oro del Quirinale sono ovviamente i rappresentanti di Scelta civica: Mario Monti si farà un altro giro di giostra a Palazzo Chigi. Non solo. Anche Mario Mauro è più che soddisfatto perché era stato lui, nel colloquio della delegazione montiana con Napolitano, a suggerire una soluzione alla olandese. Per il resto è tutto un fiorire di sospetti, di detti e non detti che stanno rovinando la pausa pasquale sia a Silvio Berlusconi che a Pier Luigi Bersani.
Il Cavaliere si è messo in testa che con questa mossa il presidente della Repubblica abbia in qualche modo tolto il Pd dall'angolo in cui si era cacciato. Certo, il leader del Pdl ha ben presente il fatto che Napolitano non ha agito così per amore di Bersani. Anzi. Ma questo non lo solleva. Berlusconi, infatti, si è convinto che Napolitano in realtà stia facendo le veci del capo del centrosinistra, convinto com'è che l'attuale classe dirigente del Pd non sia capace di assolvere a quel compito.
E questo, ovviamente, non tranquillizza per niente il leader del centrodestra, il quale teme che con la nomina dei dieci saggi il Quirinale abbia voluto metterlo ai margini e in condizione di non nuocere. In parole povere, il Cav. è convinto che le doppie commissioni siano un modo per evitare di fargli toccar palla sia sulla scelta del tipo di governo sia sull'elezione del nuovo capo dello stato.
Nel frattempo anche Pier Luigi Bersani da Bettola vive ore inquiete e tutt'altro che facili. Il segretario del Pd vede il terreno franargli sotto i piedi e guarda con grande sospetto alle mosse di personaggi come Enrico Letta, Walter Veltroni e Massimo D'Alema. L'ala del Pd che più o meno nascostamente non ha mai nutrito la convinzione che la strada imboccata dal segretario portasse da qualche parte è sottoposta all'esame attento e sospettoso del leader del Partito democratico e dei suoi più stretti collaboratori.
Bersani è diventato più che mai diffidente. Per questa ragione in questi giorni si fida soltanto del suo staff, Miguel Gotor in testa, e dei due emiliani che hanno definito con lui la strategia di questo periodo: il presidente della regione Emilia Romagna Vasco Errani e il suo capo della segreteria Maurizio Migliavacca.
Ormai il segretario non si fida nemmeno dei giovani turchi, non di tutti, comunque, né del capogruppo al Senato Luigi Zanda. E questa situazione, com'è ovvio, complica le già contorte cose nel Partito democratico. Nessuno, infatti, potrà mai togliere dalla testa del segretario l'idea che i dieci saggi siano stati nominati per costringerlo a rinunciare al suo tentativo e a dire "sì" alle larghe intese. E Bersani è convinto che se non ci fossero stati Letta, Veltroni e D'Alema a fare da sponda con il Quirinale tutta la vicenda avrebbe preso una piega diversa.
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