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SOLDATI E LA BANDIERA TURCA SUL MAUSOLEO DI SULEYMAN SHAH
Maurizio Molinari per “la Stampa”
Blitz turco in Siria per salvare le spoglie di Suleyman Shah dai jihadisti dello Stato Islamico (Isis). Impiegando 572 soldati, 39 carri armati, 57 blindati ed altri cento mezzi l’esercito di Ankara ha messo a segno un’incursione che descrive i cambiamenti in Medio Oriente. L’intento è stato salvare il santuario del nonno di Osman I, fondatore dell’impero ottomano, dal rischio di essere distrutto dai jihadisti, in quanto Isis considera ogni tomba un simbolo pagano da distruggere.
Per la Turchia la tomba di Suleyman Shah, affogato nell’Eufrate nel 1236, era un simbolo di identità collettiva nonché territorio nazionale, in base all’accordo con la Francia del 1921. Se dunque fosse stata aggredita da Isis, Ankara non avrebbe avuto alternativa all’intervento: per motivi nazionalisti e per difendere i 40 militari che facevano la guardia.
In settembre era stato Recep Tayyp Erdogan, allora premier, a dire che l’autorizzazione del Parlamento turco ad interventi in Siria serviva per «difendere la tomba di Shah». Ma Ankara non vuole uno scontro con Isis ed appena ha compreso che il Califfo si stava avvicinando al sacrario ha dato luce verde al blitz, seguito dal nuovo premier Ahmet Davutoglu dalla «war room» delle forze armate.
RIDISEGNATI I CONFINI
La tomba è stata riposizionata a Esmesi, in un’area siriana sotto il controllo turco, lasciando intendere che Ankara assume il controllo di alcune aree di confine. Ciò significa che nel Nord della Siria l’esercito turco ha definito un’area di intervento, riconoscendone un’altra al Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
Ma non è tutto, perché l’esercito turco è entrato in Siria attraversando Kobane, la città che i peshmerga curdi hanno strappato a Isis, e ciò significa che Ankara ha raggiunto un accordo con la guerriglia curda a lungo considerata avversaria. L’impressione è dunque che Ankara abbia sfruttato il blitz per disegnare dei confini de facto nella Siria del Nord fra aree turche, curde e jihadiste. Con un disprezzo per il regime di Bashar Assad, formalmente titolare della sovranità, evidenziato da una comunicazione dell’ultima ora al Consolato di Istanbul.
SGARBO AL REGIME
Da qui la rabbia di Damasco, che parla di «plateale violazione della nostra sovranità» non potendo però più far nulla per difenderla. Incursioni israeliane da Sud, turche da Nord e jihadiste da Est suggeriscono che la Siria non c’è più. Mentre a Raqqa il Califfato rafforza le scuole inaugurando un istituto in lingua inglese destinato ai figli dei jihadisti stranieri: è intitolato ad Abu Musab Al-Zarqawi, il fondatore di «Al Qaeda in Iraq» ucciso dagli Usa nel 2006 e considerato l’ispiratore del Califfato.
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