DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Jacopo Iacoboni per "la Stampa"
Riecco Geronimo, anzi, rieccoli. Geronimo, ossia Paolo Cirino Pomicino, e Gianni De Michelis. Con il debito alto, la crisi dell'euro, la Grecia in bilico, lo spread che scende ma soprattutto risale, ha un singolare sapore, sentire infine anche la loro ricetta.
Rispettivamente ministro del Bilancio e degli Esteri dall'89 al '92, Cirino Pomicino e De Michelis rispuntano dai sempre provvisori oblii italiani per scrivere una lettera ad Alfano, Bersani e Casini che è un manifesto economico-politico, a modo suo, notevole. Nientemeno: danno i consigli su come uscire dalla crisi - della politica e della finanza, cioè, di fatto, dell'euro e dell'Europa.
Non si creda che non valga la pena di ascoltarli, per il fatto che spesso, nella storia italiana recente, gli è stato affibbiato il titolo di inventori della finanza allegra e responsabili dell'impazzimento del debito. La realtà , sostiene Geronimo, è «più complessa», e poi «l'economia è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani degli economisti», come scolpì con frase rimasta memorabile.
Dunque, ecco cosa chiedono, in breve, ai leader dei tre partiti che sorreggono il governo Monti. «A fronte di una finanza globalizzata guidata solo da un profitto speculativo e dall'obiettivo di un suo primato nel governo del mondo, va contrapposta una strategia politica altrettanto "globalizzata", che solo le "internazionali" delle grandi famiglie politiche possono elaborare attraverso i rispettivi partiti e governi».
In sostanza, la famiglia popolare e quella socialdemocratica dovrebbero marciare unite al tavolo europeo del 28, «scendendo in campo per supportare i governi nazionali verso obiettivi transnazionali comuni». Il fatto curioso è che la coppia democristiano-socialista non propone misure vagamente ballerine, né tesse l'elogio della spesa allegra che fu. Tutt'altro: si esercita in un paio di proposte che non sono del tutto off limits, nel dibattito sulla materia: la prima è quella di una nuova Bretton Woods (idea già espressa da Tremonti a Davos, poi caduta nel vuoto, vagheggiata adesso anche dal neopresidente francese Hollande).
«Ci vuole un nuovo ordine monetario - dice Pomicino - capace di colmare il vuoto lasciato dalla fine dei grandi accordi di Bretton Woods». La seconda è la richiesta di «una disciplina dei mercati finanziari capace, anche con divieti precisi, di orientare la grande liquidità internazionale verso l'economia reale», e ridando cioè alla finanza il suo «ruolo virtuoso», appunto, di finanziatrice per la produzione di beni e servizi. Non si nomina il Glass-Steagall Act rooseveltiano, o il divieto per le banche di vendere e comprare derivati, ma insomma, la strada che suggeriscono sembrerebbe quella.
La lettera è curiosa anche perché non priva di un certo orgoglio di casta, l'orgoglio della politica in tempi nei quali lamenta la strana coppia - la politica ha abdicato dinanzi al «probabile arrivo sulla scena di quell'utopia della democrazia diretta da sempre anticipatrice di svolte autoritarie». E invece, «chi vi scrive sente il peso e l'orgoglio delle grandi scelte passate che i rispettivi partiti italiani fecero nella costruzione dell'Europa».
Né è un mistero che Geronimo - il soprannome che Pomicino propose a Vittorio Feltri quando iniziò a fare l'editorialista su temi economici, prima all'Indipendente e poi al Giornale - abbia sempre respinto l'accusa di aver ben contribuito, lui e la Dc andreottiana, ad affossare i conti pubblici. Altroché, risponde lui a chi glielo obietta: «Carli, che era ministro del Tesoro quand'io ero al Bilancio, mi ringraziava sempre perché io avevo il consenso, io ero un politico. E Carli invece uno strepitoso, grandissimo, pure spiritoso, tecnico». Solito Geronimo, per lui anche una politica screditata è superiore ai tecnici.
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