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Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"
Il braccio di ferro rischia di durare ancora qualche giorno, fino allo sfinimento dell'uno, dell'altro o di tutti i contendenti, Berlusconi compreso. Nonostante incontri a raffica e cene fiume - martedì notte a Palazzo Grazioli con Verdini, Toti, Fiori e Gianni Letta, ieri mattina con Verdini, a pranzo con Raffaele Fitto e nel corso del pomeriggio ancora con Toti -, il rebus su come tenere assieme la necessità di rinnovamento pretesa da Berlusconi con le garanzie per la vecchia guardia di non finire rottamata, non ha ancora una soluzione.
I mediatori sono all'opera, ma - complice la trattativa sulla legge elettorale giunta ormai al suo apice e decisiva per capire il quadro dei prossimi mesi - Silvio Berlusconi si è preso ancora un po' di tempo. Per far calare la tensione (che non scende) e per rassicurare tutte le parti (ancora niente affatto rassicurate). Si dovrebbe arrivare a una decisione la prossima settimana, ma quale sarà alla fine è ancora difficile da prevedere.
Una cosa è certa: l'ex premier non vuole rinunciare al suo progetto di svecchiare, immettere forze e volti nuovi nel partito, valorizzare i Club e gli esterni, e affidare un ruolo di peso all'uomo del quale si fida oggi più di tutti, Giovanni Toti appunto. Ma il fuoco di fila al quale è stato sottoposto nelle ultime 48 ore ha lasciato il segno.
Già nella cena di martedì i contrasti sono stati evidenti: dal ruolo di Toti (che non sarà coordinatore unico, ma nemmeno vuole limitarsi a essere uno dei tanti) a quello dei Club: l'idea di mettere a punto un meccanismo di quote certe per i circoli Forza Silvio (dalle candidature alle Europee ai posti nel partito e nei coordinamenti regionali) è stata, eufemisticamente, frenata dai big forzisti. Così come si discute a tutti i livelli su chi debba fare cosa.
Uno che non vuole incarichi, e che l'ha scandito a Berlusconi in un lungo colloquio in cui gli ha ribadito perché sarebbe «sbagliato» mettere Toti a capo di FI e relegare nelle retrovie l'attuale classe dirigente in nome di un «supposto» nuovismo, è Fitto. Berlusconi lo ha ascoltato attentamente, a chi gli ha parlato ha detto che l'incontro è stato «molto positivo», e a chi lo conosce è sembrato che in effetti la rivoluzione annunciata sia sospesa.
A sera infatti circolava forte l'ipotesi di una mediazione: verrebbe subito nominato un ufficio di presidenza di una quarantina di membri (tutti i big, con qualche innesto esterno come Cattaneo), a Toti andrebbe l'incarico di portavoce-responsabile nazionale della comunicazione e magari anche il ruolo da «reclutatore» di forze nuove e gli altri incarichi sarebbero suddivisi (a Verdini resterebbe l'organizzazione).
Ma altre ipotesi restano sul campo per un secondo momento: la creazione di una Consulta di saggi ed esterni, scelti da Berlusconi, con Toti al vertice. L'idea di una sorta di segreteria ristretta (8-10 membri) con capigruppo, vicepresidenti delle Camere, Verdini, Fiori con Toti a capo, nel ruolo di portavoce o segretario dell'organismo e dunque di numero due di fatto, ieri sera sembrava meno probabile.
Ma è anche vero che è questo l'assetto sul quale punta il direttore Mediaset, convinto del fatto che o il cambio di passo è reale e visibile o l'operazione rinnovamento diventa impossibile. Berlusconi capisce l'esigenza, ma sa anche che il rischio di una spaccatura nel partito c'è.
Il tutto mentre scoppia la prima polemica esterna: Enrico Mentana, nel suo editoriale a La7 , ha contestato a Toti di partecipare a riunioni politiche in cui si tratta dei suoi incarichi nel partito pur essendo ancora «direttore di due Tg Mediaset», atteggiamento «giornalisticamente» di dubbia correttezza.
Gli ha replicato seccamente l'interessato: «Se leggesse i giornali, scoprirebbe che non rivesto cariche» e non è detto che accada, nel caso «certamente mi dimetterei prima», e comunque su La7 hanno lavorato «Santoro, Gruber» che erano stati europarlamentari e Ruotolo che «non ce l'ha fatta», dunque, è l'avvertimento, niente lezioni.
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