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"DELFIN” CURIOSO – DA DOVE ARRIVA LA NOTIZIA CHE LA HOLDING DEI DEL VECCHIO POTREBBERO LIQUIDARE IL…
1 - HO PERSO LE ELEZIONI NON LA MIA STORIA
Lettera di Antonio Ingroia a "Repubblica"
Caro direttore, se avessi voglia di scherzare, potrei dire che da giudice clemente, di fronte al pezzo di Francesco Merlo, forse rileverei il difetto di dolo Ma, avendo fatto il pm per venticinque anni, non posso dimenticare il principio "ignorantia legis non excusat" e che a un giornalista non si può scusare neppure l´ignoranza dei fatti e delle persone. Però, di fronte ad un articolo così c´è poco da scherzare, e quindi tralascio il tono di dileggio che credo di non meritarmi e mi limito a ristabilire la verità dei fatti.
Merlo mi definisce «perdente» e parla di «triste parabola di autodistruzione». Se si riferisce all´esito elettorale, la sconfitta è innegabile, anche se non si può ignorare che è stata frutto anche delle difficili, quasi proibitive, condizioni esterne in cui è maturata, alleanze mancate comprese, e della peggior legge elettorale immaginabile che ha portato in Parlamento drappelli di eletti in liste che hanno riportato centinaia di migliaia di voti in meno di Rivoluzione civile.
Se si riferisce ad altro, vorrei ricordargli che tutti i processi e le indagini di cui mi sono occupato hanno avuto importanti conferme processuali. Dalla condanna definitiva di Contrada, alle varie condanne di Dell´Utri fino al recente rinvio a giudizio di tutti gli imputati del processo della "trattativa Stato-mafia". Quindi, non so di quale parabola parli. La mia ormai lunga carriera di magistrato antimafia, con tutti gli annessi e connessi (vita blindata ventennale, esposizione permanente, attacchi delegittimanti, etc.) forse meriterebbe maggiore rispetto, ed è amaro che debba essere io a rammentarlo.
Quanto al trasferimento ad Aosta, nessuna iattanza, ma il richiamo a principi di buona amministrazione e di ragionevolezza istituzionale nell´uso delle risorse umane a disposizione. Ho il massimo rispetto del lavoro e della professionalità dei colleghi di Aosta, ma la prima decisione del Csm era di mandarmi come giudice in soprannumero e per questo ho parlato ironicamente di "scaldare la sedia".
Oggi il Csm cambia idea e, facendo un´eccezione alla regola, dice che posso fare il pm, ma solo ad Aosta. Sicché ho replicato che, fatta un´eccezione, forse si poteva fare anche quella di mandarmi in una procura distrettuale antimafia o alla procura nazionale antimafia.
Ho anche prospettato l´alternativa, offertami dal presidente Crocetta, di mettere a frutto la mia esperienza per mettere ordine in un ente in passato nelle mani della "mafia in guanti gialli" ed oggi sospettato di opacità e gestioni illecite, al punto da avere indotto il presidente della Regione a presentare denuncia alla procura di Palermo. Credevo (e credo) fosse un incarico più in linea con la mia esperienza professionale.
Ulteriore rettifica. Non ho mai lasciato un´indagine incompiuta, neppure l´indagine sulla "trattativa Stato-mafia". Proprio per portarla sino in fondo ho accettato la proposta di incarico dell´Onu in Guatemala solo dopo l´estate 2012, quindi non prima di aver firmato l´atto conclusivo dell´indagine, la richiesta di rinvio a giudizio poi integralmente accolta dal gup per avviare un processo che sarà seguito dal validissimo pool di magistrati che ho coordinato fino a qualche mese fa.
Che l´incarico in Guatemala sia stato breve me ne dolgo, ma non ha impressionato per nulla l´organismo delle Nazioni Unite dove il rapido avvicendamento dei funzionari è la regola, tanto che il mio predecessore argentino vi era rimasto solo un paio di mesi in più di me.
Quanto alla politica, è ovvio che un mio rientro in magistratura non potrebbe non determinare un mio allontanamento, ma il movimento da me fondato continuerà ad andare avanti sulle sue gambe che nel frattempo si sta dando con un radicamento territoriale ed un suo coordinamento nazionale.
Infine, una domanda. A che devo tanta malevolenza? Perché accusarmi di avere "usato" le mie indagini per chissà cosa, quando i negativi risultati elettorali evidenziano semmai che non incarno il modello di quei tanti "calcolatori di carriera" che affollano il Paese, magistratura compresa?
Ho sbagliato in alcune mie scelte, come tutti non sono infallibile. Ma l´ho fatto in buona fede, nella convinzione che servisse una politica non più nemica della verità e della giustizia, ma alleata della magistratura nel contrasto alle mafie e al malaffare, e nella ricerca delle troppe verità negate della nostra storia. Avendo commesso errori il diritto di critica è legittimo, mentre il rispetto delle persone e delle loro storie è doveroso e la crocifissione dovrebbe essere evitata.
Risposta di Francesco Merlo
Caro Ingroia, ricostruisca i fatti come le pare, ma eviti di aggiustare le mie parole per la sua comodità polemica. Nel mio articolo non c´erano né il dileggio né la malevolenza né il mancato riconoscimento della sua biografia antimafia. C´era invece l´esplicito e dolente rammarico che una storia come la sua sia finita nel canovaccio grottesco della politica politicante. Anche questa lettera, con le precisazioni da tribuna politica, suona triste alle mie orecchie. Infine: io rispetto la sua buona fede, lei impari a rispettare la mia. (f.m.)
2 - IL CALCIO DELL'ASINO
Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano"
Uno straniero che si trovasse a passare in Italia in questi giorni, nel leggere certi titoloni contro Antonio Ingroia, penserebbe che l'ex pm di Palermo sia stato colto con le mani nel sacco a rubare, a dire falsa testimonianza, a trescare con mafiosi, a coprire assassini, a corrompere minorenni. "Ingroia, vai a lavorare". "Ingroia ha mentito anche a se stesso" (Libero). "L'antico vizio di sentirsi il più antimafia di tutti. Ecco perché ha fallito il giudice palermitano coccolato dai media" (La Stampa).
"Il finale grottesco del giudice Ingroia" (Repubblica). Cos'ha fatto Ingroia per meritarsi tutto questo? Si è candidato in politica come decine di suoi colleghi, ha perso le elezioni, ha chiesto il permesso di lavorare in un incarico extra-giudiziario - quello di commissario delle esattorie siciliane - a metà stipendio. Ma il Csm gli ha risposto picche confinandolo in Val d'Aosta (l'unica regione dove non era candidato).
La prima destinazione, ineccepibile dal punto di vista delle regole, era quella di giudice: solo che ad Aosta gli organici giudicanti sono tutti coperti, dunque Ingroia sarebbe stato "in soprannumero": avrebbe percepito stipendio pieno scaldando una sedia. A quel punto il Csm s'è accorto che la porcata era troppo sporca persino per i suoi standard e l'ha nominato pm, derogando al divieto di funzioni requirenti per chi si è candidato.
Lui ha annunciato ricorso: deroga per deroga, c'è un posto ben più consono alla sua storia e competenza: quello di sostituto alla Procura nazionale antimafia, che ha competenza su tutta Italia e funzioni di puro coordinamento di indagini altrui, dunque non striderebbe troppo col divieto di tornare in toga dove ci si è candidati. Resta da capire perché Ingroia non può fare il commissario delle esattorie siciliane, crocevia di interessi illegali e spesso anche mafiosi, che richiede proprio un uomo della sua esperienza.
La risposta dei sepolcri imbiancati è che l'incarico non ha attinenza con l'attività giudiziaria, dunque un magistrato non può ricoprirlo. Ingroia ha chiesto di esser sentito, per spiegare che così non è. Ma non l'hanno neppure degnato di una risposta. Che strano. Un anno fa il Csm autorizzò la giudice Augusta Iannini in Vespa, dal 2001 distaccata al ministero della Giustizia, a passare al Garante della privacy: che attinenza avrà mai quel ruolo con la giustizia?
Del resto, in questi anni, Palazzo dei Marescialli ha autorizzato vari magistrati a fare gli assessori nella regione in cui fino al giorno prima erano pm (Russo nella giunta siciliana Lombardo e Marino nella giunta Crocetta): funzioni non elettive, ma di nomina politica, ben più delicate di un'esattoria. Perciò ha ragione da vendere Ingroia a denunciare il trattamento contra personam di un Csm presieduto da Napolitano, la cui voce fu da lui casualmente ascoltata intercettando Mancino.
Fare due più due è facile, ma anche legittimo. Eppure commentatori che non hanno mai scritto una riga in difesa di Ingroia quand'era massacrato perché indagava sui potenti, oggi lo massacrano perché s'è dato alla politica. Il solito Francesco Merlo, su Repubblica, lo accusa financo di aver "usato le indagini antimafia per uscire dalla magistratura" e di "danneggiarla" dando ragione a Sallusti.
Ora - a parte il fatto che Sallusti non è in carcere grazie a Merlo che chiese per lui la grazia e a Napolitano che la concesse - dov'era Merlo quando Ingroia veniva isolato con i suoi colleghi perché osava indagare sulla trattativa Stato-mafia? Se gli piaceva tanto il pm Ingroia, perché non l'ha difeso quando tutti lo attaccavano? Il Fatto è stato il primo a criticare la scelta di Ingroia di fare politica (non perché non ne avesse diritto, ma perché rischiava di scendere di livello anziché salire). Ma pure a solidarizzare con lui e i suoi colleghi isolati e linciati da tutti. Anche da quanti ora si esercitano nello sport italiota più diffuso e più vile: la bastonata allo sconfitto, detta anche il calcio dell'asino.
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