INTER-CETTO LA QUALUNQUE - WOODCOCK, IL MAGISTRATO DI VALLETTOPOLI E P4 CHE HA INTERCETTATO TUTTO E TUTTI, SALE IN CATTEDRA PER RICORDARE CHE LA PRIVACY È SACRA - AUTOCRITICA? “I PROCESSI SONO LUNGHI, E TUTTE LE PARTI HANNO ANSIA DI OTTENERE DAI MEDIA FORME DI ACCLAMAZIONE PREVENTIVA” - WOODCOCK QUIZ: NELLA CONDUZIONE DELLE INDAGINI RESTA CAMPO LIBERO PER QUEGLI “AUTOMATISMI PERVERSI E PERICOLOSI CHE INNESTANO MOMENTI PATOLOGICI”: CHE VUOL DIRE?...

Marco Gorra per "Libero"

«I processi sono lunghi, e tutte le parti hanno ansia di ottenere dai media forme di acclamazione preventiva». E così, accade che anche qualche mano togata passi le intercettazioni alla stampa. Intercettazioni che, peraltro, alle volte nemmeno hanno tutte le carte in regola: «Il problema della rilevanza e delle motivazioni per cui si chiede di ascoltare gli indagati esiste». Al punto che persino la tanto maledetta riforma berlusconiana aveva il merito «di introdurre più paletti e di mettere la barra un po' più in alto quanto a rilevanza delle intercettazioni».

Tramontata quell'ipotesi di riforma, nella conduzione delle indagini resta campo libero per quegli «automatismi perversi e pericolosi che innestano momenti patologici». Sorprendentemente, quanto appena riportato non sono le conclusioni di qualche seminario promosso dal centrodestra sulla malagiustizia. I virgolettati di cui sopra sono farina del sacco di Henry John Woodcock, pm definito dai più come d'assalto, assurto alla notorietà anche in seguito ad inchieste su vip e politici condotte con metodi che i detrattori non hanno esitato a bollare come poco ortodossi. A un certo punto, il giudice di Vallettopoli e del Savoia-gate scandisce persino la parola «autocritica», ed il momento è solenne.

Succede poco prima dell'ora di pranzo, nell'aula numero 12 della facoltà di Giurisprudenza dell'università romana di Tor Vergata, dove la cattedra di Procedura penale organizza incontri periodici con operatori giudiziari di varia notorietà. E ora è il turno di Woodcock, chiamato ad intervenire sul rapporto tra tutela del segreto di indagine e libertà di stampa. Posti in piedi, nella stanza ci saranno un centinaio di persone. Woodcock fa il proprio ingresso e viene accolto con tutti gli onori («È persino arrivato prima di me», annuncia ai presenti la professoressa che fa gli onori di casa). A quel punto la lezione può cominciare.

La discussione è assai tecnica: la platea, d'altronde, è specializzata e Woodcock macina articoli e commi che è una bellezza. Per un po' sembra di assistere ad una lezione in piena regola su fughe di notizie e privacy (che, garantisce lui che è di madrelingua, andrebbe pronunciata "prìvasi" e non "pràivasi" all'americana). La prima incursione in politica - e con essa la prima avvisaglia che è lecito attendersi qualche sorpresa - arriva quando Woodcock spiega che «di questi temi si parla quando ci sono in discussione le leggi sulla giustizia, e parlarne a caldo fa sì che se ne parli male», come se subentrasse «una certa ansia da prestazione». Ora che la questione è di attualità meno stringente, «il momento è proficuo per confrontarsi sul tema».

Il problema, sostiene il magistrato, è che la «criticabilissima» riforma targata centrodestra «non tutelava la privacy» ed avrebbe rischiato di aprire al «contrabbando di notizie» e al «mercato nero». Questo perché «il problema dell'emorragia informativa non è a valle, ossia quando le intercettazioni vengono depositate e dopo, ma a monte». Da cui il guaio riguardo la rilevanza di cui si diceva più in alto.

Quanto al resto, tutto in linea col Woodcock-pensiero più tradizionale: «Impercorribili anche le soluzioni intermedie di riforma»; «La giustizia è già sufficientemente garantita dalle leggi attuali»; quando escono intercettazioni particolarmente lampanti «invocare sacri principi come la presunzione di innocenza non ha senso». A un certo punto il pm si avventura in politica e spiega che il guaio è che il governo ha troppo potere per colpa del Porcellum che i partiti si sono fatti su misura. Gli studenti annuiscono con aria grave.

 

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