COME È DIFFICILE IL MESTIERE DELLA FIRST LADY – DAI VESTITI DI JACKIE ALL’ORTO DI MICHELLE: IL RUOLO IMPONE ALLE SIGNORE UNA BUONA CAPACITÀ DI SOPPORTAZIONE

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Vittorio Zucconi per "la Repubblica"

Da quando Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti e "Padre della Patria", prese gusto alla paternità e decise di avere una figlia anche da una schiava, la corona immaginaria deposta sul capo delle First Lady americane è tempestata di acutissime spine umane.

Nell'organigramma del potere nazionale, minuziosamente fissato da una Costituzione che designa ben 17 successori al Presidente, la "Prima Signora" non ha alcun ruolo altro che il "potere del cuscino". «Sono andata a letto per otto anni con il Presidente degli Stati Uniti», scherzava Nancy Reagan, «quale altra donna può dire altrettanto?». Per otto anni, nessuna. Per periodi più brevi, molte.

Ormai trasformato in un incarico non retribuito ma completo di ufficio e staff, il ruolo di First Lady impone alle signore che lo ricoprono una disumana capacità di sopportazione. Dagli orticelli di Michelle Obama, avvocatessa harvardiana passata dalla giurisprudenza
alla coltivazione dei rapanelli, alle bottiglie di whisky che Betty Ford consumava appassionatamente nella Casa Bianca che detestava, la transizione da donna a icona è raramente felice. Non è un segreto, nei salotti di Washington, che Michelle sperasse in privato che il marito non fosse rieletto.

«Il giorno in cui entrai in quella Casa - disse sempre Nancy Reagan - capii che la mia vita privata era finita». A Nancy furono almeno risparmiate, per la natura e l'età del suo settantenne Ronnie, le umiliazioni riservate a tante che l'avevano preceduta, ma la storia e la cronaca non sono state tenere con queste donne. Da brava moglie di un proprietario di piantagioni e di schiavi, Martha Jefferson poteva permettersi di ignorare la concorrenza delle schiave. Ma basta che a un funerale di Stato Barack Obama civetti con la bionda, e bianchissima, Prima Ministra Danese perché il mondo intero compatisca la First Lady. Ecco, ci risiamo.

Trovarsi un compito, un'immagine che non sia quella di «servire tè e pasticcini agli ospiti» come disse un'irritata Hillary Rodham Clinton, o di indossare abiti di "haute couture" come Jacqueline Kennedy fingendosi radiosa, è un esercizio di equilibrismo quotidiano sul filo dell'ideologia dominante del proprio tempo, tra femminismo e femminilità, tra devozione e indipendenza.

Il calvario di Mary Lincoln, la moglie del presidente che fu ucciso accanto a lei nel palco del teatro Ford nel 1865, è tanto documentato come toccante. Si disse che soffrisse di "sindrome bipolare" e di continue emicranie, aggravate dallo sfilata di feriti che transitavano dalla Casa Bianca, trasformata in ospedale di fortuna. E soltanto anni di lobby da parte di amici convinsero il Parlamento a concederle una pensione di guerra equivalente a 50 mila dollari annui di oggi.

Fu soltanto nel 1860 che l'appellativo di "First Lady" apparve, in un mensile illustrato, curiosamente non per la moglie del presidente in carica, James Buchanan, scapolo, ma per la nipote, che lo affiancava nelle funzioni ufficiali. Da allora, non avrebbe più abbandonato la donna chiamata a risiedere nella Casa Bianca. "First Lady" sarebbe stata anche la più insofferente dei formalismi puritani e di quel soprannome, Eleanor Roosevelt, protofemminista, segretamente bisessuale, e motivata dalla scoperta che il marito, FDR, si era preso come amante la segretaria.

Eleanor, negli anni '30, fu il prototipo di quelle First Lady che avremmo visto sbocciare molti più tardi, donne con un proprio "punto di vista", espresso con quel minimo di cautela necessaria per non demolire il coniuge. Nancy Reagan era esplicitamente a favore della ricerca sulla staminali, anatema per elettori della destra cristiana, come Hillary era a favore dell'aborto volontario, per lo sdegno dell'elettorato sudista.

Altre si sono nascoste dietro la figura del Presidente, come Rosalynn Carter, parrucchiera di un paesino della Georgia sempre un po' intimorita o Pat Nixon, che coraggiosamente annegò nell'alcol gli anni dementi del Watergate, chiusa nel fortino assediato dalla paranoia e dallo scandalo.

Oggi si rimprovera ai media, maschili e maschilisti, il silenzio e la complicità sui naufragi sentimentali delle "First Couple", della prima coppia. Molti sapevano dell'amante del generale presidente, Eisenhower, dell'insaziabile libido di JFK, e mormoravano di una possibile amichetta anche di George Bush il Vecchio, non del figlio "Dubya" che aveva tempestivamente sfogato la passione per la ragazze e per la bottiglia prima di accedere al soglio presidenziale, ma nessuno ne parlava. Quella discrezione ipocrita che proibiva ai giornali il ricorso al gossip era tuttavia una protezione anche per le First Lady, alle quali si risparmiava l'umiliazione bruciante delle pubbliche corna inflitta a Hillary.

Se fra tre anni, nel gennaio del 2017, toccasse finalmente a una donna confinare il marito al ruolo di "First Gentleman" sarà interessante vedere come un marito potrà ritagliarsi un ruolo inedito di comprimario. Una previsione si può fare: non vedremo comunque Bill Clinton curvo a coltivare carote e patate novelle nell'orto della Casa Bianca.

 

 

 

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