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Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"
Più gli amici ripetono che Mohamed Merah «era un tipo proprio come noi, parlavamo di calcio, di ragazze, di motori», «non potevamo immaginare», più rendono quel ragazzo orrendo, subdolo, la sua immagine capace di sovrapporsi a quella di qualsiasi ragazzo di origine araba che popola a milioni le città di Francia e che invece non si è mai sognato di prendere in mano un'arma in vita sua.
Questo finirà per essere il tremendo risultato collaterale delle atrocità commesse da Mohamed, 23 anni, «ottimo carrozziere», che l'estate scorsa si era fatto crescere un cresta rossa da punk «per farci ridere», dicono gli amici con le tute Adidas e le felpe dell'università di Yale, accorsi all'alba davanti a casa, qui tra le villette del quartiere Côte Pavée, «appena abbiamo saputo che era stato Merah, da non credere».
Solo tre settimane fa Mohamed è andato in discoteca «a guardare le nana»; ieri, ai reparti speciali super-armati che dietro la porta gli ordinavano di arrendersi, il jihadista dalla voce gentile ripeteva «non mi pento di niente, sono fiero di avere messo la Francia in ginocchio. Mi dispiace solo di non potere fare altri morti».
Mohamed Merah è nato il 10 ottobre 1988 a Tolosa da una famiglia di origine algerina. à cresciuto in banlieue, nei quartieri non particolarmente malfamati di Bellefontaine e Izards. Ha due fratelli e due sorelle, quando i genitori hanno divorziato è stata la madre a occuparsene di più, ma poi si è trasferita in un altro quartiere e da allora ha cominciato a perdere qualsiasi influenza sui figli, in particolare su Mohamed e il fratello maggiore Abdelkader, 27 anni, anche lui finito per dedicarsi alla jihad.
Samir è un amico di Mohamed, suo coetaneo, e ha servito nel 17° reggimento di Montauban, lo stesso al quale appartenevano due dei tre paracadutisti uccisi. Nelle lunghissime ore dell'assedio Samir aspetta, e racconta: «L'ho incontrato qui per strada sabato scorso, ci siamo salutati e baciati sulle guance, alla francese. Ho abbracciato un uomo che aveva già ammazzato tre persone e stava per sparare ai bambini».
E poi: «Aveva avuto qualche guaio con i poliziotti, è andato un mese in galera perché lo hanno fermato più volte senza patente, ma era una persona disponibile con tutti». Integralista islamico? «Macché, non era praticante, non mi ha mai parlato una sola volta di religione, e si vestiva come tutti, con i jeans e le scarpe da ginnastica. Pensava alle macchine, a truccare le moto e ad andare a ballare».
Tutti gli uomini del quartiere descrivono insomma Mohamed come «una persona gentile». Anche Abdel, che pure si mette a ridacchiare un po' nervoso quando ammette che «sì, ha fatto qualche furtarello, quando ancora non era maggiorenne, come tutti».
Ci vogliono le donne per andare più a fondo. «Ai suoi amici non lo raccontava, ma io lo sapevo che era stato in Afghanistan - dice Malika -. E che ci va a fare un francese mezzo algerino, in Afghanistan?». «A un certo punto si è messo in testa di spiegare ai bambini quel che succedeva nel mondo - racconta Leila -. Ha preso pure mio nipote, lo ha fatto salire sulla sua auto, e gli ha fatto vedere i video della jihad, girati in Afghanistan. Decapitazioni, scene di guerra. Successe un putiferio».
Christian Etelin è l'avvocato di Mohamed Merah. Forse sarà lui a difenderlo anche nel processo per la morte di Imad, Abel, Mohamed, Jonathan, Gabriel, Arieh, Myriam. Nel passato Etelin ha invece assistito Mohamed Merah per piccoli furti, incidenti stradali, gran parte dei 18 reati minori che ha commesso.
«Negli ultimi anni mi aveva raccontato che era stato in Afghanistan e in Pakistan - dice -, ma non avrei mai immaginato potesse passare all'atto». Come possa stupire che un 23enne di origine algerina con ripetuti viaggi tra Kandahar e Islamabad compia alla fine atti terroristici, resta un mistero. Eppure, Mohamed Merah, gentile e in scarpe da tennis, ha colto di sorpresa i suoi amici, e pure la polizia francese.
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