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Stefania Maurizi per "la Repubblica"
«La decisione di sfidare la legge sul divorzio è stata un enorme errore di valutazione». A mettere nero su bianco questo giudizio netto è la diplomazia americana subito dopo la cocente sconfitta subita dalla Dc nel referendum sul divorzio, come raccontano i "Kissinger Cables" di WikiLeaks, che l'Espresso pubblica in esclusiva per l'Italia in collaborazione con Repubblica.
à il 1974, anno della storica consultazione referendaria. Grande sponsor del no al divorzio è il leader Dc, Amintore Fanfani, amato e supportato dalla diplomazia americana, che segue ogni passaggio del travagliato scontro politico. Sono anni di battaglie per i diritti civili, ma anche tempi in cui il Pci fa paura e il "compromesso storico" è la bestia nera degli americani. La Chiesa è la grande alleata nella guerra ai comunisti e per gli Stati Uniti è fondamentale che il Pci di Enrico Berlinguer non ottenga la benedizione del Vaticano. Su questo punto la Chiesa è ferma.
Ma quando sulla scena politica irrompe il referendum sul divorzio, la diplomazia Usa mostra preoccupazione. Sonda le gole profonde «in tutti i partiti democratici» italiani per capire se la Dc rischia una sconfitta che può mettere a rischio il governo e rafforzare quel Pci che avanza in termini di consensi e legittimazione democratica. Nessuno riesce a fare previsioni, ma dalle informazioni raccolte, gli americani sono fiduciosi che il margine tra chi vincerà e chi ne uscirà sconfitto, sarà molto ridotto, e quindi la consultazione non avrà effetti destabilizzanti sulla Dc, se proprio dovesse perdere.
Quando, però, il referendum del 12 maggio 1974 consegna una vittoria schiacciante ai divorzisti appoggiati dal Pci, la diplomazia Usa fa un'analisi lucida: «Sul lungo termine», scrive l'ambasciatore John Volpe, «questo dato di fatto costringerà la Democrazia cristiana, se vuole continuare a crescere nel mondo contemporaneo, a spostare il focus delle sue attività sui reali bisogni del Paese e sulle questioni pertinenti alle sfide economiche e politiche del mondo attuale. Devono essere trovate facce nuove. Quelle caratteristiche dell'"integralismo", che tendono a vedere ogni problema in termini di allineamento del partito alla Chiesa, dovranno essere messe in discussione».
à un'analisi confermata anche dalle preziose fonti che gli americani hanno nel partito e che, nella discrezione delle conversazioni diplomatiche, sono schietti nel parlare delle difficoltà che hanno con la Chiesa. Nel febbraio 1976, per esempio, il leader democristiano lombardo, Gino Colombo - che «da anni è un nostro contatto, molto informato » - spiega al console Usa a Milano che, dopo il divorzio, «l'aborto è una bomba a orologeria. E sarebbe un disastro di dimensioni storiche se la Democrazia cristiana fosse obbligata a opporvisi con una consultazione referendaria».
Gli uomini in generale non sono contrari e le donne vogliono avere il diritto di scegliere per se stesse, e quindi, anche quella dell'aborto «è una battaglia che, in Italia, non si può più vincere». Il problema, spiega Colombo, è che la Chiesa è risolutamente contraria alla legge sull'aborto «e mentre non riesce a portarsi dietro l'opinione pubblica, riesce a trascinarsi dietro abbastanza senatori Dc da poter bloccare la legge in Senato.
Politicamente è una scelta suicida, ma il Vaticano si rifiuta di considerarne il prezzo politico. E paradossalmente è proprio la Dc il partito che sarà più rovinato dalla scelta di andare dietro alla Chiesa».
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