giorgia meloni rocco siffredi

L’ACCORDO TAJANI-MELONI PER NON ESSERE EURO-IRRILEVANTI: IL MINISTRO DI FORZA ITALIA, PARTITO CHE FA PARTE DEL PPE, USERÀ LA SUA RETE DI RELAZIONI A BRUXELLES PER AIUTARE L’ITALIA A OTTENERE UNA DELLE TANTE VICEPRESIDENZE E UN COMMISSARIO DI PESO. IN CAMBIO, LA DUCETTA SOSTERRÀ L’AMBIZIONE DI TAJANI DI ESSERE IL CANDIDATO AL QUIRINALE NEL 2029 – MATTARELLA NON SOCCORRE LA "PSICONANA" (COPY GRILLO) NELLA COMPLESSA PARTITA UE 3. MACRON, SCHOLZ E TUSK FANNO MURO CONTRO ECR -MELONI IN UN CUL DE SAC: QUALSIASI MOSSA FARÀ, SCASSERÀ UN EQUILIBRIO: SE VOTA URSULA, PERDE ECR. SE VOTA CONTRO, PERDE LA FACCIA DOPO MESI DI FLIRT CON VON DER LEYEN, FINENDO IRRILEVANTE ALL’OPPOSIZIONE. O, DA PARACULA, SI ASTIENE AL CONSIGLIO PER POI SOSTENERE URSULA AL VOTO SEGRETO? - A QUESTO PUNTO, ALLA MELONA NON INTERESSA PIÙ TANTO UN RISULTATO “DI POTERE”, MA PIÙ UNO “DI IMMAGINE”. IL SUO OBIETTIVO È POTER TORNARE A ROMA, SBANDIERANDO A TELEVISIONI UNIFICATE: “HO SBATTUTO I PUGNI SUL TAVOLO E HO OTTENUTO CIÒ CHE SERVIVA ALL’ITALIA” - IL FANTA-SCENARIO SE ZOMPA L’ELEZIONE DI URSULA: TAJANI CANDIDATO AL SUO POSTO

ursula von der leyen giorgia meloni g7 borgo egnazia

DAGOREPORT

Giorgia Meloni è in cul de sac. Mesi e mesi di camaleontismo in Europa, compresi i numerosi viaggi a braccetto con Ursula von der Leyen in tour tra Tunisia, Emilia Romagna e Lampedusa (manca solo la focaccia a Locorotondo), ora presentano il conto: la Ducetta è finita in una strada senza uscita.

 

Le elezioni europee e la conseguente ripartizione dei seggi hanno certificato la marginalità di Fratelli d’Italia e del gruppo Ecr, che non sarà indispensabile alla formazione di una nuova maggioranza nell’emiciclo di Strasburgo.

 

EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK

Con i suoi 24 seggi, Fdi non ha molti margini per contare. Qualunque passo mosso alla ricerca di posizioni di vantaggio rischia di sconquassare gli equilibri intorno alla Melona.

 

Il Ppe a trazione polacca (la Polonia è il Paese più grande guidato da un popolare, Donald Tusk) non vuole un’alleanza con le destre. “Piattaforma civica”, il partito del primo ministro, è anche la seconda delegazione più importante del Ppe (23 europarlamentari), dopo quella tedesca (che ne ha 30), e appena prima di quella spagnola (22).

 

 

Giorgia Meloni Viktor Orban Mateusz Morawiecki

Tusk non ha intenzione di apparentarsi con Giorgia Meloni per ragioni interne: la Ducetta è alleata in Europa del PiS, il partito di Kaczynski e Morawiecki, storici rivali del premier polacco, che teme uno sdoganamento dell’estrema destra, che ha appena sconfitto alle urne.

 

La Ducetta della Garbatella potrebbe chiedere di entrare nel Partito Popolare europeo, ma è un progetto a cui lei non sembra per niente interessata e che le costerebbe un’abiura del suo passato post-fascista.

 

MARINE LE PEN E GIORGIA MELONI COME LE GEMELLE DI SHINING - MEME BY SIRIO

Le verrebbe inoltre chiesto di rimangiarsi pubblicamente la frase “mai in Europa con i socialisti” e dovrebbe mollare la guida di Ecr, che è l’unica posizione che le ha dato una qualche autorevolezza in Europa negli ultimi anni.

 

Davanti a questi ostacoli la “psiconana” (copyright Grillo) non sa che pesci prendere, visto che Bruxelles si sta dimostrando un suk nel quale è difficile districarsi agevolmente.

 

L’ipotesi di creare un grande gruppo delle destre, fondendo Ecr con Identità e democrazia è un’opzione sconveniente per la Regina di Coattonia, che si ritroverebbe a fare la junior partner di Marine Le Pen.

 

La Duciona francese, infatti, dispone di una delegazione di europarlamentari più robusta della Melona (il Rassemblement National ha 30 seggi, Fdi solo 24) e trattare con lei significherebbe ritrovarsi costantemente in una posizione di subalternità.

 

Macron Scholz Tusk

Inoltre, Giorgia Meloni deve anche guardare ai problemi interni al gruppo dei Conservatori: le sue aperture a Ursula von der Leyen e all’inciucione con popolari e socialisti non piacciono per nulla ai polacchi del PiS e ai neofranchisti di Vox, che si ritroverebbero alleati dei rispettivi avversari in patria, il popolare Tusk e il socialista Sanchez.

 

OLAF SCHOLZ PEDRO SANCHEZ

Morawiecki nei giorni scorsi ha fatto trapelare la sua irritazione minacciando di uscire da Ecr per fondare un nuovo gruppo insieme a Marine Le Pen e l’ungherese Orban. Lo stesso “Viktator” ha messo in standby l’ingresso di Fidesz in Ecr dopo che il gruppo meloniano ha imbarcato gli europarlamentari rumeni di Aur, da sempre in posizioni anti-ungheresi. Senza contare che l’appoggio incondizionato dato da Giorgia Meloni all’Ucraina  stride con il putinismo senza limitismo del duce di Budapest.

 

giorgia meloni e antonio tajani (sullo sfondo patrizia scurti e il marito)

Alla confusione della Meloni fa scopa la fragilità politica di Ursula. Von der Leyen sente traballare l’ambita riconferma alla guida della Commissione europea, temendo di essere impallinata dai franchi tiratori durante lo scrutinio a voto segreto, qualora il suo nome venisse sottoposto al Parlamento e, ancor prima, da Macron e Scholz, al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, che dovrà investirla ufficialmente della candidatura.

 

L’ex cocca di Angela Merkel gioca la sua partita su più tavoli: pur di ottenere il voto di Ecr finge di non vedere la presenza, nel gruppo conservatore, dei polacchi del PiS, che erano al governo quando la sua Commissione ha sanzionato la Polonia per violazione dello stato di diritto.

 

manfred weber antonio tajani congresso forza italia

Tiene al guinzaglio il report sulla libertà di stampa in Italia, sfavorevole al governo Ducioni, chiudendo un occhio sul caso Agi-Angelucci, per non creare frizioni con la Meloni, a cui nel frattempo, secondo un fanta-scenario di Claudio Tito su “Repubblica”, propone nientemeno che il commissario all’economia con delega al Pnrr.

 

Tra un ostacolo e l’altro, temendo di finire, come tutte le volpi, in pellicceria, Giorgia Meloni sta tentando la mossa del cavallo per salvare la faccia. La Ducetta ha incontrato il suo ministro degli Esteri, l’impalpabile Antonio Tajani, e gli ha proposto un super-accordo: tu mi aiuti, grazie al tuo network brussellese a partire dall’amico destrorso Weber, a ottenere una delle tante vicepresidenze più un commissario “di peso”. In cambio, io sosterrò la tua ambizione di essere il candidato del centrodestra al Quirinale nel 2029.    

 

MEME SU EMMANUEL MACRON E GIORGIA MELONI AL G7 DI BORGO EGNAZIA, IN PUGLIA

Il ragionamento che fa la sora Giorgia sulla poltrona che spetta all’Italia è semplice: non serve necessariamente un ruolo altisonante e di oggettivo spessore, come Economia o la nascente Difesa, ma un incarico che possa avere un impatto diretto sugli interessi o le criticità del Paese. Ad esempio, l’Agricoltura, la Concorrenza o il Mercato interno.

 

Come farà Tajani a convincere Ursula e il Ppe a importanti concessioni all’Italia? Poiché la spitzenkandidaten popolare teme il voltafaccia segreto dei suoi compagni di partito, l’ex portaborse di Berlusconi ha fatto notare che Forza Italia ha 9 europarlamentari che potrebbero non sentirsi così motivati a votare per Von der Leyen se la Presidente non tenesse nella giusta considerazione l’Italia.

 

meloni tajani

Anche perché, è il ragionamento di Tajani, non c’è solo Fratelli d’Italia o la Lega a rappresentare l’esecutivo italiano al Parlamento europeo ma anche Forza Italia che del Ppe è parte integrante. Dunque uno smacco al tandem Meloni-Salvini finirebbe per danneggiare anche lo stesso Tajani.

 

Il ministro degli Esteri, che sta facendo leva sulla sua rete di rapporti creata in anni di “delocalizzazione” europea, vuole far pesare il suo standing: chiaro collocamento euro-atlantico e un incarico da Presidente del Parlamento europeo che allontana da lui ogni ombra sovranista, putiniana o destrorsa. Lo stesso Tajani ha già chiesto agli euro-poteri di inglobare, nella futura Commissione, tutti quei partiti di destra “ma europeisti” (cioè Fratelli d’Italia).

 

emmanuel macron olaf scholz

Eppure il suo piano dovrà scontrarsi con chi la Meloni proprio non la vuole nelle stanze del potere: Macron e Scholz. I due, scottati dal magro risultato elettorale ottenuto con le rispettive formazioni il 9 giugno, vogliono esorcizzare l’avanzata delle destre imponendo un “dialogo zero” con tutte le formazioni che hanno, o hanno avuto, posizioni anti-sistema.

 

Il toyboy dell’Eliseo e il cancelliere tedesco preferirebbero allargare la tradizionale alleanza che governa l’Europa (Ppe, socialisti e liberali) ai Verdi, i quali però sono indigesti ai popolari per l’intransigenza eco-suicida manifestatasi con il “Green Deal”.

 

antonio tajani giorgia meloni giancarlo giorgetti raffaele fitto

In questa arzigogolata euro-partita Giorgia Meloni non ha al suo fianco il Quirinale, che ha preferito mantenersi “neutrale” rispetto ai piani del Governo, riservando però una stoccata indiretta alla premier: “La coscienza democratica impone di rispettare sempre il voto degli elettori. Ma è importante ricordare che vi è un carattere irrinunciabile dell'Ue nato da un patto di pace e democrazia e da alcuni valori che sono lo stato di diritto, la coesione sociale, la dignità di ogni persona e la volontà di accrescimento sociale. Chiunque ne faccia parte deve averle sempre come rifermento”.

 

MARIO DRAGHI - GIORGIA MELONI - MEME BY EDOARDO BARALDI

Come a dire: sì, i partiti dell’Ue devono valutare i rapporti di forza emersi dalle urne, ma non possono prescindere dai valori fondanti il progetto europeo. Tradotto: non si fa l’Europa con putiniani, neo-franchisti, vecchi fascistoni e nazionalisti dell’Est.

 

Fuori dalla partita anche Mario Draghi. L’ex Presidente della Bce non viene usato come possibile pontiere con gli eurocrati di Bruxelles, visto che il Governo di centrodestra vede come uno spauracchio più che come una risorsa.

 

A consigliare la premier sulla politica estera e sull’euro-risiko che verrà, ci sono sostanzialmente i ministri Fitto, Tajani, Crosetto, e come decisore di ultima istanza, il suo braccio destro (e teso), Giovanbattista Fazzolari. E poiché la strada per le ambizioni della premier si è fatta via via più stretta e impervia, ormai alla Meloni non interessa più tanto un risultato “di potere”, ma più uno “di immagine”. Il suo obiettivo è poter tornare a Roma, sbandierando a televisioni unificate: “Ho sbattuto i pugni sul tavolo e ho ottenuto ciò che serviva all’Italia”.

 

meloni fazzolari

In tutto questo Giorgia Meloni vuole rimanere salda alla presidenza di Ecr, ma rischia di vedere sfaldarsi il gruppo conservatore qualora votasse al Consiglio europeo il via libera alla nomina di Ursula von der Leyen. I polacchi del PiS sono già pronti a “sfiduciarla” e a darle della “traditrice”, insieme a Matteo Salvini e Marine Le Pen.

 

Questo rischio potrebbe concretizzarsi già al prossimo Consiglio europeo, che la premier vorrebbe posticipare a dopo le elezioni legislative francesi, per potersi sedere al tavolo delle trattative con un Macron notevolmente indebolito. L’Eliseo, invece, appoggiato dal crucco Scholz, vuole anticipare al 27-28 giugno, come peraltro già previsto dal merluzzone macroniano Charles Michel.

 

EMMANUEL MACRON OLAF SCHOLZ

Scrive Tommaso Ciriaco su “Repubblica”: “L'orientamento italiano resta quello di frenare un accordo al vertice del 27-28 giugno. Non è un risultato nella disponibilità di Meloni, certo: ma la premier può comunque complicare un'intesa rapida. Attendere il voto francese, sperando nel definitivo collasso di Macron, è considerato da Roma un vantaggio da sfruttare per ottenere poi il massimo da un bis di von der Leyen o, nello scenario migliore, l'ascesa di un nome alternativo del Ppe ancora più disponibile a trattare con la destra.”

 

BARROSO TAJANI

Macron e Scholz, invece, non esiterebbero “a proporre un voto a maggioranza qualificata”. Come fanno notare Anais Ginori e Tonia Mastrobuoni, sempre su “Repubblica”: “La minaccia viene da alcuni macronisti a Strasburgo, convinti che il pacchetto delle nomine europee dei top jobs riuscirà a essere varato tra una settimana, nel Consiglio dei capi di Stato e di governo. La tentazione di un passaggio di forza […] ha cominciato a serpeggiare lunedì sera, quando Emmanuel Macron e Olaf Scholz si sono accorti che l'accordo per i top jobs non era così blindato come speravano. Per entrambi il fattore tempo è decisivo”.

 

tazze per ursula von der leyen al vertice ppe

Che farà a questo punto la Ducetta? Darà l’ok alla candidatura di Ursula facendo esplodere Ecr e scoprendo il fianco destro al tandem Salvini-Le Pen? Voterà contro, perdendo la faccia, dopo mesi di flirt e reciproci elogi con von der Leyen, finendo all’opposizione senza toccare più palla? O si asterrà al Consiglio europeo per poi, con la solita mossa paracula, sostenere Ursula al voto segreto?

 

manfred weber antonio tajani

Non si sa. Quel che si sa è che aleggia un fantasmagorico piano B qualora la candidatura di Ursula fosse uccellata dai capi di Stato e di Governo: Giorgia Meloni potrebbe candidare Antonio Tajani alla Presidenza della Commissione.

 

Forte del suo inattaccabile pedigree europeista, non può essere tacciato di sovranismo o di simpatie putiniane. È uno dei membri più illustri del Partito Popolare europeo, quindi soddisferebbe anche la condizione di dare al Ppe l’incarico.

 

Il passato da presidente del Parlamento Ue e da ex commissario a Trasporti e Industria, inoltre, danno all’ex monarchico un’aura da “riserva dell’Unione”. L’ostacolo? Strappare un difficilissimo sì ai soliti Macron e Scholz. Nel caso di un Tajani alla presidenza della Commissione, con la maltese Metsola presidente del parlamento e il socialista Costa al vertice del Consiglio europeo, è chiaro che i posti top finirebbero in mano all'Europa del sud, con ovviea incazzatura dei paesi del nord.

 

ursula von der leyen roberta metsola emmanuel macron

Ma, una volta zompato in aria il progetto Ursula, non è detto che francesi e tedeschi non possano trovare un nuovo accordo. In un fanta-scenario con Tajani investito del ruolo di presidente in pectore, Parigi e Berlino, nelle trattative tra capi di Stato e di Governo, potrebbero dare il via libera in cambio delle poltronissime a cui dichiaratamente ambiscono: Difesa per Macron, che guida l’unica vera potenza nucleare dell’Ue, Economia per Scholz e i suo alleati super-falchi, che vogliono mettere la mordacchia ai Paesi del sud spendaccioni.

 

Ps. La discussione sull’ingresso in maggioranza di Giorgia Meloni non è l’unico tema che divide popolari e socialisti. Le due maggiori forze in Europa, infatti, hanno già trovato un accordo per assegnare al Ppe la guida del Parlamento europeo (Roberta Metsola) e la Commissione (Ursula von der Leyen).

 

antonio tajani ursula von der leyen manfred weber donald tusk

C’era un’intesa di massima per dare ai liberali l’Alto rappresentante per la politica estera (l’estone Kaja Kallas) e ai socialisti la presidenza del Consiglio europeo nella persona del portoghese Antonio Costa.

 

Il mandato di quest’ultima carica, formalmente, dura soltanto due anni e mezzo, ma viene rinnovato senza troppe formalità fino a fine legislatura. Stavolta, però, i popolari nicchiano e vorrebbero una “staffetta” sul modello di quella che si realizza storicamente al Parlamento Ue.

 

MANFRED WEBER SILVIO BERLUSCONI ANTONIO TAJANI

Il Ppe, dunque, è disposto a lasciare i socialisti alla guida del Consiglio europeo per due anni e mezzo, soltanto alla condizioni di reclamare a sé la poltrona successivamente