DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
MARIO DRAGHI E IL RABBINO ARTHUR SCHNEIER
1 - DAGONEWS
Nulla avviene mai per caso, soprattutto lì dove il potere ha il suo punto debole: gli interessi. Bisogna sempre unire i puntini che collegano luoghi, cerimonie, relazioni.
Durante la consegna del premio “Statista dell’anno” a Mario Draghi, da parte dell’organizzazione guidata dal potente rabbino Arthur Schneier, l’ex segretario di Stato americano Kissinger ha parlato dei rapporti tra Stati uniti e Cina.
Il suo discorso non è stato pronunciato a caso: aveva intorno a sé il gotha della finanza ebraica, con in testa l’amministratore delegato di Blackstone Stephen Schwarzman. L’invito alla distensione, che aveva come destinatario soprattutto Joe Biden, è stato chiaro: “Serve un dialogo con Pechino per evitare l’escalation della guerra in Ucraina. E’ necessario non solo per problemi immediati”.
Tradotto: nessuno ha intenzione di compromettere gli affari per future tensioni con la Cina. La Casa bianca, che non è insensibile ad alcuni dei suoi ‘grandi elettori’ (e veri poteri forti d’America), si è già attivata: un canale di comunicazione con Xi Jinping è già stato aperto e coltivato in questi ultimi mesi.
Non è un caso, infatti, che il regime cinese si sia rifiutato (su pressione americana) di fornire armi alla Russia. Né è piovuta dal cielo l’insistenza con cui Xi Jinping ha chiesto a Putin di desistere da ogni ipotesi nucleare: “Invitiamo le parti coinvolte al cessate il fuoco e a impegnarsi per il dialogo”.
stephen schwarzman di blackstone
A Washington e a Pechino hanno compreso che “l’operazione speciale” di Putin all’Ucraina è stata una picconata al sogno ingenuo della globalizzazione: facciamo soldi, non la guerra. Un mondo instabile, in cui i conflitti rischiano di andare fuori controllo, rende impossibili gli scambi commerciali.
E se oggi è il conflitto in Ucraina a minare gli affari globali, domani i guai potrebbero arrivare da Taiwan. Intorno all’isola le tensioni si sono via via gonfiate fino alla visita della Speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, vissuta dai cinesi come una provocazione. Era contraria persino l'amministrazione Biden che ha vissuto, anzi subìto, il viaggio come un atto di pura vanità da parte della Pelosi.
Per evitare che un nuovo marasma mondiale s’accenda a causa di un isolotto, Biden e Xi Jinping avrebbero trovato un accordo verbale: la Cina non attaccherà Taiwan. Almeno per il momento. Resteranno le solite schermaglie parolaie, a favore di propaganda, ma sarà scongiurata un’invasione. Ora come ora, non conviene a nessuno.
Attaccare Taipei vorrebbe dire innescare una sarabanda di sanzioni, reazioni, blocchi navali e commerciali, ritorsioni di ogni sorta che minerebbero il sogno di prosperità economica che è il prerequisito politico su cui si basa la legittimità al potere del Partito comunista cinese.
Come si potrebbe garantire pane e benessere a 1,5 miliardi di cinesi con una guerra che impegni il regime contro l’Occidente? Trascinare il Dragone in trincea, con un balzo all'indietro verso la miseria dei decenni passati, avrebbe come primo effetto quello di togliere solidità e consensi all’establishment cinese, Xi Jinping in testa. Nessuno vuole perdere poltrona, carriera e potere per giocare a Risiko nel Pacifico.
A lavorare per la distensione sino-americana c’è in prima fila la Germania. I tedeschi avranno anche a lungo flirtato con Putin nei decenni di Angela Merkel al potere ma è a Pechino che hanno i loro più consistenti interessi: la Cina è il primo partner commerciale dei crucchi, con un interscambio che nel 2020 ha toccato quota 212 miliardi di euro.
La recessione che s’annusa in Germania è anche figlia dei due anni di covid che in Cina hanno innescato lockdown severissimi e blocchi all’import-export. I tedeschi non vogliono lasciare in deposito neanche una Mercedes: ecco perché spingono per spegnere i fuochi della tensione tra Washington e Pechino.
Ps: per Putin aumentano i guai: i paesi ex sovietici suoi alleati (Kazakistan in testa) si stanno spostando sempre più nell’area di influenza cinese…
2 - LA NUOVA FASE DELLA GUERRA DI PUTIN E L’APPELLO DELLA CINA: «SERVE UNA TREGUA E IL RITORNO AL DIALOGO»
Guido Santevecchi per www.corriere.it
Che cosa pensa Xi Jinping della nuova fase della guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina e il campo occidentale? Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, a domanda ha risposto: «La posizione della Cina è stata sempre coerente e chiara nel chiedere un cessate il fuoco attraverso il dialogo e il negoziato, il rispetto della sicurezza, sovranità e integrità territoriale di tutti i Paesi, l’osservanza dei principi contenuti nella carta delle Nazioni Unite». Il diplomatico ha aggiunto che «servono sforzi internazionali per una risoluzione pacifica delle crisi».
Sono mesi che Pechino parla in linea di principio della necessità di un dialogo che porti a una tregua. All’inizio ha invocato ragioni umanitarie, ora comincia a fare i conti anche economici su quello che Xi chiama «il caos mondiale» e fa riferimento all’Onu (dove peraltro si è ripetutamente astenuta nei voti sulla crisi ucraina). Parlare di nuovo ora di cessate il fuoco potrebbe essere uno sviluppo?
Anche il rifiuto cinese di definire l’azione russa per quello che è, un’aggressione, era stato letto da alcuni governi ottimisti come un espediente di Xi per mantenersi neutrale e poter agire da mediatore (prima o poi). Di fatto, la Cina ha solo mantenuto la sua ambiguità strategica, non ha mai segnalato una volontà di impegnarsi in un negoziato tra le parti. L’interesse strategico di Pechino sembra la disunione dell’Occidente, più che la vittoria della Russia.
Una novità notevole è venuta da Vladimir Putin, che incontrando Xi a Samarcanda la settimana scorsa ha ammesso che «la Cina è preoccupata e ha delle domande sulla questione ucraina». Tradotto: significa che in questi mesi sono emerse tensioni con l’alleato. E che in realtà gli interrogativi cinesi sono centrati non sulla sorte di Kiev ma sulla tenuta di Mosca.
Interessante la reazione sui social media mandarini. Ieri mattina, subito dopo la dichiarazione incendiaria di Putin su mobilitazione di 300 mila soldati e nucleare, su Weibo sono piovuti commenti di cinesi comuni «colpiti dalla determinazione dei russi» e sulla «opportunità di porre fine all’egemonia degli Stati Uniti». E ancora, ha scritto qualcuno sullo sviluppo nella guerra d’Ucraina che subito è diventato il secondo argomento più dibattuto online: «La chiave è che se la Russia dovesse crollare, l’Occidente potrebbe concentrarsi sulla Cina».
Ecco forse perché Xi gioca da equilibrista. La Cina sarà anche preoccupata, ma per preparare il suo colloquio faccia a faccia con l’amico Putin, la settimana prima di Samarcanda Xi aveva mandato in Russia Li Zhanshu, il numero 3 del suo Politburo.
E il compagno Li aveva detto che «la Cina comprende e sostiene la necessità di tutte le misure prese da Mosca per proteggere i suoi interessi nazionali quando Stati Uniti e Nato hanno cercato di chiuderla in un angolo alla sua porta di casa (evidentemente l’Ucraina, ndr)». Quella dichiarazione è stata propagandata dalla stampa di Mosca e non citata dalla stampa di Pechino. E anche dopo Samarcanda, nel resoconto cinese del colloquio tra Xi e Putin, l’Ucraina non è comparsa nemmeno in una riga.
Qualche osservatore ha notato una coincidenza: Putin aveva lanciato la sua «operazione militare speciale» in Ucraina (l’aggressione) pochi giorni dopo l’incontro di febbraio con Xi a Pechino, quando i due proclamarono la famosa e famigerata «collaborazione senza limiti». E ora, la «mobilitazione parziale» delle forze militari russe arriva poco dopo che lo Zar ha parlato con Xi a Samarcanda.
Le difficoltà militari dei russi lanciati in un territorio che sembrava facile da conquistare hanno ricordato a Pechino quanto sarebbe incerto e pericoloso uno sbarco a Taiwan. Significativo quanto ha appena detto il ministro degli Esteri Wang Yi al vecchio Kissinger che invocava prudente realismo: «C’è un vecchio detto in Cina: è meglio perdere mille soldati che un palmo di terreno».
Molto più che di Ucraina, in questi mesi i cinesi hanno parlato di riunificazione taiwanese; arrivando a fare le prove generali di blocco aeronavale ad agosto, con la scusa della visita a Taipei di Nancy Pelosi. È per scongiurare l’apertura di un secondo fronte nel Pacifico che Joe Biden ha ripetuto che l’America difenderebbe militarmente l’isola in caso di attacco.
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