DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratti da open.online
netanyahu e il gabinetto di guerra israeliano
L’Iran è pronto a usare un’arma «mai vista prima» contro Israele. Lo farà in caso di risposta al contrattacco di sabato 13 aprile. Che a sua volta rispondeva al colpo di Tel Aviv contro l’ambasciata a Damasco. A dirlo il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano Abolfazl Amouei. E l’arma usata potrebbe essere il missile ipersonico. Teheran l’ha svelato nel giugno scorso e la tecnologia sarebbe in grado di penetrare tutti i sistemi di difesa.
Ma secondo gli esperti gli armamenti dell’Iran «non possono colpire così lontano». Intanto il programma nucleare di Teheran non è mai stato a uno stadio così avanzato. Oggi la Repubblica Islamica potrebbe produrre almeno tre bombe atomiche sui venti chilotoni. E potrebbe farlo in un mese.
Dopo i droni dal Libano che hanno bucato le difese di Israele Tel Aviv prepara una rappresaglia. «Teheran dovrà aspettare nervosamente senza sapere né e quando», è stata la promessa di Benjamin Netanyahu. Ma l’Iran intanto pensa a una risposta in caso di nuove rappresaglie. E avverte che «la risposta che riceveranno non sarà calcolabile in ore o giorni, sarà data in pochi secondi», secondo il viceministro degli Esteri Ali Bagheri Kani. Per questo si pensa al missile ipersonico.
(...) Ma per il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, non è da escludere che gli iraniani usino gli ipersonici. Dovrebbero però appoggiarsi agli Hezbollah.
Il missile ipersonico
proteste contro il governo di benjamin netanyahu in israele 18
Tricarico spiega oggi al Messaggero che gli strumenti che Teheran ha a disposizione non possono colpire così lontano. «L’unica ipotesi è che possano appoggiarsi agli Hezbollah, che possono contare su Hassan Nasrallah. Del resto ormai hanno dei sistemi missilistici superiori.
Anche come armamenti ormai sono riforniti dall’Iran». Il rischio di penetrazione dello scudo israeliano non è da escludere. «Se dovessi tentare un’ipotesi è che qualunque sistema di difesa aerea non ha da temere che l’ipersonico. Che lo mette a dura prova», spiega il generale. «Perché i tempi di reazione non sono sufficienti. Il sistema Arrow 3 riesce a neutralizzare anche a 100 chilometri di quota. Il punto è sempre quando riescono ad intercettare il lancio. Secondo fonti Usa, che in genere non mentono, di tutti i missili sparati dall’Iran il 50% non è mai partito».
Le armi dalla Russia
«Altri non sono nemmeno arrivati sul territorio iraniano», aggiunge Tricarico. Un altro punto sono gli scambi di armi con la Russia. Mosca ha ricevuto i droni Shahed con cui colpisce il territorio ucraino. Teheran potrebbe aver negoziato in segreto in cambio la consegna di aerei Su-35. Mentre sono già attivi gli S-300 per la difesa antiaerea. L’obiettivo per loro è ottenere anche gli S-400. Che potrebbero rendere più difficile il raid dello Stato ebraico. La Russia ha dichiarato di aver testato un altro tipo di missile ipersonico, il Khinzal. Tre sono stati sparati e abbattuti da Kiev qualche tempo fa. E gli scienziati che ci hanno lavorato sono stati accusati di alto tradimento.
L’atomica
ANTONY BLINKEN - BENJAMIN NETANYAHU
Intanto secondo un rapporto dell’Aiea che risale alla fine di febbraio il programma nucleare iraniano ha oggi a disposizione 121,5 chilogrammi di uranio 235 arricchito al 60%. E portarlo al 90%, con le macchine e le competenze necessarie. In un mese Teheran potrebbe arricchire tre blocchi da 33,6 chili di uranio al 60%. Il Quotidiano Nazionale spiega che per Israele sarebbe molto difficile colpire i siti atomici dell’Iran. Per colpire i complessi si può usare solo una bomba anti-bunker. Che si chiama Gbu-57 Mog e pesa 13.600 chili. Un ordigno ritenuto capace di penetrare per 60 metri in una montagna. Anche se dipende dal tipo di roccia.
LA TELEFONATA DI SUNAK
Mauro Evangelisti per il Messaggero - Estratti
La risposta militare di Israele non deve coinvolgere i siti nucleari iraniani. Questo è il monito degli Usa, ma anche degli altri alleati occidentali. Ieri sera l'Idf ha annunciato: «Abbiamo deciso come rispondere all'Iran, ma non quando lo faremo». Annalena Baerbock, ministro degli Esteri della Germania, ieri è salita su un aereo che l'ha portata in Israele dove oggi incontrerà Netanyahu.
La missione diplomatica serve ad assicurare il sostegno del suo Paese e del resto dell'Unione europea a Tel Aviv, ma anche a chiedere di evitare mosse avventate nella risposta militare all'Iran che il gabinetto di guerra israeliano sta preparando all'attacco con 300 tra droni e missili di sabato scorso. In queste ore a Tel Aviv arriverà anche David Cameron, ministro degli Esteri del Regno Unito.
E il primo ministro britannico Sunak ha detto a Netanyahu in una telefonata: «L'escalation non è nell'interesse di nessuno». Gli Stati Uniti da giorni stanno tentando di fermare i falchi israeliani: ci ha provato il presidente Usa Joe Biden, parlando al telefono con Netanyahu nelle ore successive all'offensiva di Teheran; continua a farlo il suo staff nel dialogo con Israele in queste ore. Per l'Nbc «i funzionari statunitensi si aspettano che una possibile risposta israeliana molto probabilmente comporterà attacchi contro le forze militari iraniane e gli agenti sostenuti dall'Iran, ma fuori dall'Iran».
MONITO Sintesi: Israele deve evitare di colpire i siti nucleari iraniani perché questo innescherebbe la più pericolosa delle dinamiche. Rafael Grossi, direttore generale dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica): «Domenica l'Iran ha chiuso i suoi impianti nucleari per motivi di sicurezza, li ha riaperti lunedì ma abbiamo tenuto lontani per prudenza i nostri ispettori». E rispetto all'ipotesi di un bombardamento israeliano sugli impianti nucleari iraniani, Grossi ha spiegato: «Siamo sempre preoccupati. Chiediamo estrema moderazione».
L'agenzia per l'energia atomica, che riferisce alle Nazioni Unite, negli ultimi anni si è ritrovata al centro dell'attenzione, anche alla luce dei rischi che si stanno correndo nella centrale nucleare di Zaporizhzhia in Ucraina. Il timore che l'Iran possa dotarsi di armi nucleari si trascina da decenni e a Vienna un accordo fu siglato nel 2015 da Teheran, dai paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu e dall'Unione Europea. Da quell'intesa gli Usa sono usciti nel 2018. In sostanza oggi sono quattro i siti nucleari in Iran, teoricamente a scopo civile.
Uno è a Isfahan, dove l'uranio è convertito in esafluoruro di uranio; altri due, più difficilmente raggiungibili da un attacco perché di fatto sono sotto terra, sono a Natanz e Fordo, dove avviene l'arricchimento dell'uranio. Infine ad Arak c'è un reattore. Nell'accordo del 2015 l'Iran si è impegnato a limitare l'arricchimento dell'uranio sotto la soglia del 3,67 per cento, ma già nel dicembre scorso l'Aiea ha rivelato: «L'Iran ha aumentato il ritmo di produzione dell'uranio arricchito al 60 per cento, invertendo un precedente rallentamento che era iniziato a metà di quest'anno». Gli esperti sottolineano che l'uranio arricchito al 60 per cento di purezza è un passaggio tecnico che può portare al livello del 90, dunque di sviluppo di armi nucleari. Questo è ciò che preoccupa Israele, ma non solo.
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