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Franco Bechis per "Libero"
Per celebrare la vittoria di Matteo Renzi si è scomodato un po' di tutto: il Pci di Enrico Berlinguer, il primo Pd di Walter Veltroni, perfino la Dc di Amintore Fanfani del 1958. Un ex democristiano di lungo corso che ogni tanto torna nei corridoi di Montecitorio come Michelangelo Agrusti ieri correggeva i riferimenti: «A me è sembrata la copia della campagna elettorale che nel 1976 Silvia Costa si inventò per la Dc di Benigno Zaccagnini. Tutta centrata sul pericolo del sorpasso, della prospettiva che l'Italia finisse nelle mani dei comunisti. Funzionò.
Il Pci era a due punti dalla Dc, scese in campo mezza Italia - fu allora che Indro Montanelli decise di turarsi il naso e votare scudocrociato - e alla fine ci fu il risultato. Questa volta invece della Dc c'era Matteo Renzi. E il pericoloso rosso ventilato quello di Beppe Grillo. Come allora la gente votò per paura...».
Che sia per paura o per convenienza- per quei famosi 80 euro concessi alla vigilia delle elezioni a 10 milioni di italiani e promessi in extremis a un'altra trentina di milioni di cittadini non c'è dubbio che Renzi abbia stravinto anche aiutato dalla fortissima astensione e che abbia ottenuto un risultato elettorale che nessuno avrebbe previsto nemmeno domenica sera quando sono usciti i primi exit poll.
Che l'Italia si sia consegnata nelle mani di Renzi, è indubbio. Che questa ora sia una grana non da poco sia per il presidente del Consiglio che per chi l'ha votato, è altrettanto vero. Se hai il 40per cento dei consensi in mano, li puoi solo perdere, è proprio quello che è accaduto al Movimento cinque stelle nell'ultimo anno (come le traversie passate dal centrodestra nelle sue varie formule) evidenziano come l'elettorato italiano sia in grandissima mobilità .
Abbraccia, talvolta perfino stritola,ma è pronto a sciogliere la presa davanti a delusioni brucianti senza attendere nemmeno il bis. Quella valanga di voti ora impone al premier il rispetto delle promesse elettorali: gli 80 euro per sempre a chi l'ha già ricevuti. Un aiuto analogo alle categorie che ne sono state escluse: da chi aveva troppo poco per ottenere lo sconto, ai lavoratori autonomi, ai pensionati.
Purtroppo il voto di domenica ha riempito le urne del Pd, ma non le casse dello Stato di dobloni. Quindi se era difficile prima coprire la spesa degli 80 euro di base, sembra quasi impossibile ora trovare le coperture triple, visto che di promessa in promessa quegli 80 euro sono diventati 240.
Poi ci vorranno i soldi alle imprese, i pagamenti a tempo record della pubblica amministrazione, l'alleggerimento della pressione sulla casa, la fine della burocrazia, il nuovo mercato del lavoro, e via con la valanga di promesse che Renzi ha sfornato in una campagna elettorale che in teoria era per il rinnovo del parlamento di Strasburgo, ma che lui ha giocato come fosse una corsa verso palazzo Chigi.
Nella campagna elettorale Renzi ha mostrato i muscoli non solo nei confronti di Grillo,ma anche nei confronti di quei poteri forti che non sono così popolari presso il grosso dell'elettorato italiano: i sindacati, gli industriali, i banchieri e così via. Mentre lui accarezzava la pancia dell'elettorato con scudisciate a quei centri di potere, però in Parlamento si suonava ben altra musica: basti quel che accaduto sul suo decreto lavoro, svuotato dalla Cgil e dai suoi luogotenenti fatti eleggere in Parlamento da Pier Luigi Bersani (i parlamentari restano infatti quelli scelti da lui).
Il voto non ha cambiato i problemi degli italiani, né la possibilità di usare bacchette magiche. L'intera Europa ha dato una spallata ad anni di politiche di rigore con un voto choc che ha sconvolto la Francia, l'Inghilterra e molti altri Paesi. Sono usciti con le ossa rotte i due grandi partiti tradizionali che si affrontavano per una supremazia che nessuno dei due è riuscito ad ottenere: il Ppe e il Pse.
Paradossalmente proprio questo tsunami rischia di cristallizzare la conservazione della vecchia Europa: il nuovo potere di Strasburgo e Bruxelles potrebbe nascere proprio da un governassimo continentale che costringa a stare insieme a difendersi dai venti di tempesta i due grandi partiti ammaccati.
Si è votato chiaramente contro l'Europa di Angela Merkel, ma tutto ciò potrebbe al contrario fare cristallizzare nel continente proprio il modello tedesco: la grande coalizione a guida Ppe e trazione Pse. Ecco proprio questo quadro di potere che si arrocca rischia di diventare la camicia di forza per Renzi, che sarà ancora più imbalsamato nei movimenti dalla necessità di guidare da luglio il consiglio d'Europa.
Più che dare spago al premier italiano per mantenere le difficili promesse elettorali, è probabile che arrivi una camicia di forza, che la cappa del rigore imponga all'Italia nuovi sacrifici, forse anche manovre di rientro se si sono sbagliati come molti tecnici sostengono i conti della prima ora. Tutti speriamo che non sia così, e non c'è ragione di gufare, come sostiene spesso Renzi. Però la realtà va affrontata come è. Sia pure dall'alto di quella montagna di voti su cui ora siede il premier italiano...
MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE LA MANO DI RENZI SULLA SCHIENA DI MARIA ELENA BOSCHIMARIANNA MADIA MARIA ELENA BOSCHI STEFANIA GIANNINI FEDERICA MOGHERINI IN SENATO FOTO LAPRESSE MATTEO RENZI TRA ANDREOTTI E BUTTIGLIONERENZI TOTTI GRILLO SCONFITTO DALLA PESTE ROSSA RENZI
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