DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
Emiliano Guanella Per “la Stampa”
Come sulle montagne russe; quando hai che fare con l'economia argentina non si può mai stare tranquilli. Dopo un periodo di relativa calma il fantasma di una nuova crisi è apparso a Buenos Aires seguendo un copione già visto varie volte in passato; forte svalutazione della moneta locale, panico nei mercati, un massiccio intervento del governo per salvare il salvabile.
Non siamo ancora sul bordo del precipizio, come con il default del 2001, ma i tempi sono difficili e lo spazio politico a disposizione del presidente conservatore Mauricio Macri è oggi particolarmente stretto.
Macri governa dalla fine del 2015 e in questi due anni e mezzo ha raccolto molti elogi da parte degli organismi di credito e dagli ambienti finanziari internazionali. Dopo i dodici anni di autarchia protezionistica dei governi di Nestor e Cristina Kirchner, ha ristabilito regole del gioco chiare, con l'obiettivo di attrarre gli investimenti stranieri che mancavano da tempo.
La prima mossa, applaudita dal Fmi, è stata quella di abolire il tasso fisso di cambio del dollaro, che aveva causato un mercato nero che falsava i prezzi dell' economia reale. Poi è venuta la scure sul gigantesco fardello della spesa pubblica, gonfiata a dismisura dai suoi predecessori per alimentare un'enorme macchina clientelistica.
Macri ha tagliato alcuni piani di assistenza sociale, ma soprattutto ha messo fine ai sussidi governativi attraverso i quali, in pratica, lo Stato si faceva carico di buona parte del costo di gas, acqua, luce e trasporti urbani. Il «tarifazo» ha colpito soprattutto la classe media, che si è trovata da un giorno all' altro a dover pagare per intero le bollette domestiche; gli aumenti fino al 300% hanno inciso notevolmente sui bilanci familiari.
Alla Casa Rosada hanno spiegato che si trattava di un sacrificio necessario per rimettere in sesto l'economia; lacrime e sangue oggi, per poter crescere domani. La scelta è stata apprezzata dai soci del G20, che hanno riconosciuto in Macri l'uomo giusto nel panorama dei presidenti populisti latinoamericani. Gli investimenti stranieri sono, di fatto tornati, ma non al ritmo che ci si aspettava.
daniel scioli cristina kirchner
Il taglio alla spesa pubblica, al contrario, ha volatilizzato gli sforzi per ridurre l'inflazione, l'altro grande spauracchio, assieme al valore cambiario del dollaro, degli argentini; oggi si assesta ancora intorno al 25%, lontano dalla soglia del 15% auspicata dal governo. L'ultima scure è arrivata dagli Stati Uniti; l'aumento dei tassi d'interessi deciso dalla Fed ha trascinato in una spirale al ribasso tutte le monete dei Paesi emergenti, dal Brasile al Messico alla Turchia, ma è andato al peso argentino il trofeo della moneta più svalutata, meno 17% da gennaio ad oggi.
Settimana scorsa il dollaro è passato a valere da 18 a 23 pesos, il suo record storico; la Banca centrale è intervenuta aumentando di 12 punti (dal 28 al 40%) i tassi d'interesse. Una scelta drastica per frenare l'emorragia, ma che «raffredda» l'economia, perché polverizza i risparmi e l'accesso ai mutui.
Il grande problema argentino rimane l'eccessiva dipendenza esterna; coscienti della volatilità della loro moneta, gli argentini pensano, risparmiano e programmano la loro vita in dollari. Ogni mese, chi può, cambia un po' di pesos e mette al sicuro i dollari per le vacanze di fine anno o i regali di Natale. Case, auto, viaggi sono quotati in dollari, cosa che non succede nel vicino Brasile, dove si usa solo il real. «Verde, te quiero verde» (Ti desidero verde) è la battuta imperante ovunque e nessun governo, di destra o sinistra, è mai riuscito a scalfire questa dipendenza dalla moneta americana.
Macri si è impegnato nella fase finale delle negoziazioni per un accordo di libero scambio fra il Mercosur e l'Unione europea e punta a un accordo simile anche con i Paesi dell'Efta, come Svizzera e Norvegia. Ma l'apertura al mondo non basta se non riuscirà a risolvere i problemi interni.
A fine anno Buenos Aires ospiterà il vertice annuale del G20 e si potrà capire se avrà ancora qualche chance di restare al potere dopo le presidenziali del 2019. Nel frattempo ci saranno state le elezioni in tre Paesi importantissimi dell' America Latina come la Colombia, il Messico e il Brasile. La situazione economica, ovunque, avrà un peso decisivo per determinare il futuro politico della regione.
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