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1. LA BARBARIE EGIZIANA CHE COLPISCE TRE CRONISTI
Antonio Ferrari per ‘Il Corriere della Sera’
i tre giornalisti di al jazeera condannati in egitto
Fare il giornalista, nei Paesi di frontiera, è spesso più pericoloso che indossare una divisa militare. Il numero dei nostri colleghi arrestati, feriti e uccisi ogni anno, cresce esponenzialmente invece di ridursi sul grande palcoscenico dell’informazione globalizzata. I tre colleghi di Al Jazeera, condannati a 7 anni di carcere da un tribunale egiziano con l’accusa di aver fiancheggiato i terroristi, sono l’esempio di un’intimidazione collettiva. Soprattutto dove i diritti umani non sono altro che un fastidio.
Il giornalista, alla fine, è quello che paga per tutti. Che crimine avevano commesso il collega australiano, quello egiziano canadese e il producer del Cairo? Avevano raccontato e documentato le violenze dei manifestanti durante le proteste di piazza contro il presidente Mohammed Morsi, che era espressione dei Fratelli Musulmani. I quali, dopo aver riconquistato per quasi un anno l’«onore politico», sono ridiventati, per la legge dell’Egitto, niente altro che «un’organizzazione terroristica».
i tre giornalisti di al jazeera condannati in egitto
È davvero imbarazzante che tutto sia accaduto proprio nelle ore che hanno visto al Cairo il segretario di Stato americano John Kerry, che ha incontrato il neo-presidente Al-Sisi. Il generale egiziano, appena eletto formalmente capo dello Stato, da una parte vuole rinsaldare lo storico rapporto con gli Stati Uniti, e dall’altra vuole compiacere i suoi più ricchi sostenitori, cioè l’Arabia Saudita, spaventata dalla violenta invadenza dei sunniti più estremisti, come coloro che vorrebbero trasformare l’Iraq in un califfato. Kerry ha definito la condanna dei tre giornalisti «agghiacciante e draconiana», ed è stato seguito, nelle reazioni, da quasi tutte le cancellerie occidentali.
Condanna generalizzata dunque, con qualche modesto distinguo, che riguarda proprio il lavoro del giornalista. È noto che Al Jazeera è un canale all news del ricco Qatar, che da sempre sostiene i Fratelli Musulmani. Non è un mistero che in Egitto, ma anche in Siria, i due giganti dell’informazione televisiva araba — Al Jazeera e Al Arabiya — abbiano seguito linee politiche diverse: la prima con i Fratelli Musulmani e con i ribelli, la seconda in difesa delle forze della tradizione e dell’ordine. Questo detta la politica, ma ci rifiutiamo di pensare che i giornalisti si pieghino al diktat.
2. EGITTO, 7 ANNI AI GIORNALISTI “HANNO DATO NOTIZIE FALSE”
Francesca Paci per "La Stampa"
Non è un paese per giornalisti, dicono adesso dell’Egitto l’Onu, le cancellerie di mezzo mondo e le associazioni umanitarie internazionali. Nelle ultime 48 ore sono arrivate dal Cairo la conferma di 183 sentenze capitali e la condanna dai 7 ai 10 anni di prigione per i 3 reporters di al Jazeera rei di «aver diffuso notizie false» favorendo il movimento fuorilegge dei Fratelli Musulmani: un uno-due esiziale per quell’occidente che iniziava a riallacciare i rapporti con il nuovo corso della tormentata transizione post Mubarak.
SOSTENITRICI DEI FRATELLI MUSULMANI SFILANO AL CAIRO
«È una sentenza spaventosa» commenta da Baghdad John Kerry che poche ore prima aveva incontrato il presidente al Sisi per sbloccare 575 milioni di dollari in aiuti militari, coprirsi sull’Iraq e chiedere il rilascio dei giornalisti (ora ha chiesto la grazia). Gli Usa sono lo specchio dei dubbi occidentali. Dopo aver tardivamente encomiato Tahrir, riconosciuto Morsi e protestato per la sua deposizione fino a sospendere la fornitura di armi all’esercito, dopo aver ricevuto critiche per l’appoggio a Mubarak prima e poi ai Fratelli Musulmani, Washington si ritrova a riavvicinare i generali a ridosso del loro ennesimo giro di vite.
Da mesi nubi nere si addensano sull’Egitto. La vicenda di Peter Greste, Mohamed Fahmy e Baher Mohamed (con loro anche 2 cronisti assolti, 4 condannati a 7 anni e la liberazione per motivi di salute di Abdullah Elshamy) è l’ultimo atto di una retromarcia sui diritti che a partire dai mille pro-Morsi uccisi un anno fa comprende 16 mila arresti di islamisti e liberal, centinaia di pene capitali, la legge anti-manifestazioni che ieri ha mandato in carcere una decina di femministe, il muro contro muro con i giornalisti di al Jazeera ma anche con quelli come il copto Mohamed Hegazy condannato a 5 anni per «incitamento al settarismo» dopo aver raccontato sulla tv al-Tareq le minacce ai cristiani nel 2013.
«Prima che la situazione vada meglio andrà peggio» ammette un attivista del «terzo tipo», né con i Fratelli né con l’esercito. C’è la possibilità di fare ricorso, butta là un altro. La speranza è che al Sisi conceda la grazia. «In questo momento l’Egitto è imprevedibile e la magistratura vuole mostrare impermeabile alle pressioni esterne» ragionano dalla redazione del battagliero sito Mada Masr. Il ministero degli esteri egiziano ha chiesto agli ambasciatori di spiegare la sentenza nelle rispettive capitali ma ha confermato «il rifiuto totale» del suo Paese di «qualsiasi ingerenza».
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