DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Giovanna Vitale per “la Repubblica”
«L’unica certezza che ho è che non c’è stata alcuna censura». Prima ancora d’aver completato l’indagine interna da lui stesso avviata al grido di «chi ha sbagliato paga», l’ad Roberto Sergio si rimangia la linea dura — tutti i «provvedimenti drastici» annunciati ai giornali amici — e assolve i dirigenti meloniani della Rai: nessuno avrebbe impedito ad Antonio Scurati di partecipare al programma di Serena Bortone su Rai3 per declamare il suo monologo sul 25 Aprile.
IL CASO SCURATI - VIGNETTA BY VUKIC
Devono avergli fatto capire che non poteva più continuare a chiamarsi fuori: «Non sapevo nulla, non sono stato informato, si doveva agire diversamente, io di sicuro non lo avrei censurato», s’era sfogato a caldo il capo azienda in un colloquio mai smentito con la Stampa.
Una retromarcia inevitabile: dalle carte dell’istruttoria risulterebbe infatti che, alla vigilia della messa in onda di Chesarà, il suo staff era stato avvertito del tentativo di boicottaggio ai danni dello scrittore. Sergio, quindi, non poteva non sapere. Per cui insistere a recitare la parte del Torquemada non gli sarebbe convenuto.
Talmente chiaro, il messaggio ricevuto, che alla sua prima uscita pubblica dopo due giorni trascorsi rintanato in casa, l’ad ha scagionato ufficialmente tutti gli indiziati, a cominciare dal direttore degli Approfondimenti Paolo Corsini, il luogotenente di FdI accusato di aver cucito il bavaglio a misura di Scurati. Alleggerendo pure la posizione di Bortone che aveva fatto deflagrare il caso sul suo profilo Instagram: «Mai parlato di sanzioni disciplinari, stiamo aspettando una relazione e sulla base di quella si valuterà».
marinella soldi roberto sergio giampaolo rossi simona agnes
E pazienza se la relazione ce l’ha in mano già da lunedì. La tesi difensiva è pronta: «Siamo stati sommersi da valanghe di polemiche strumentali. Non dirò chi sta facendo male alla Rai, ma trovo tutto questo inaccettabile», sbotta a margine della mostra su Guglielmo Marconi.
Eccola la narrazione cucinata nel forno di Viale Mazzini, che nessuno può permettersi di disturbare. Tant’è che quando il Pd, d’accordo con le altre forze di opposizione, chiede alla presidente della Vigilanza di inserire nel calendario delle audizioni — oltre ai vertici Rai — anche i due principali protagonisti della vicenda, Corsini e Bortone, il centrodestra fa muro.
Bocciando sia la proposta di sentirli prima dell’8 maggio, data di convocazione in commissione dell’ad e del dg Giampaolo Rossi, sia dopo. Terrorizzati dalla possibilità che dai documenti prodotti in Parlamento dalla conduttrice possano emergere elementi in contrasto con la trama tessuta dai meloniani.
In grado di smentire quel che persino la presidente del Consiglio ha accreditato: è per una questione di soldi se Scurati è stata cancellato; se avesse voluto, l’autore di M. avrebbe potuto partecipare a titolo gratuito. «Una forzatura senza precedenti» per il centrosinistra, indice di un preciso disegno: «Imbavagliare la Vigilanza e insabbiare la verità» per impedire di smascherare le «interferenze del governo sul management della Tv pubblica».
arianna meloni - comizio a viterbo
Una tempesta finita sui più prestigiosi quotidiani del mondo, dal Nyt a Le Monde, che da giorni dipingono la premier italiana intenta a coartare le voci in dissenso e il pluralismo. Perfetta antitesi dell’immagine moderna e autorevole che Meloni era riuscita a proiettare oltre i confini nazionali. Un danno che non sarebbe disposta a perdonare agli uomini promossi, in nome e per conto di FdI, sulla tolda di Viale Mazzini. Cui imputa di aver mal gestito il caso Scurati.
Riflessioni all’origine della contromossa allo studio in queste ore a Palazzo Chigi. Dove starebbe prendendo corpo un’ipotesi ardita. Nominare ai vertici del servizio radiotelevisivo, in occasione del rinnovo del Cda ormai alle porte, un manager esterno, di alto profilo, in grado di far scomparire il marchio di TeleMeloni dal segnale Rai. Magari non come ad, che mettere in discussione Rossi sarebbe complicato. Ma, almeno, come direttore generale. Una sorta di affiancamento, che sarebbe in realtà un commissariamento dei “fratellini”.
E non solo il profilo, pure il nome sarebbe stato già individuato: Riccardo Pugnalin, un passato in Fininvest, transitato poi a Sky Italia, direttore degli Affari esterni di Vodafone prima di andare a guidare le Relazioni istituzionali di Autostrade. Dopo la vittoria alle politiche, Meloni lo avrebbe voluto a capo del suo gabinetto, ma il cerchio magico capitanato da Giambattista Fazzolari si mise di traverso e non se ne fece nulla. Ora però c’è un’emergenza. E Pugnalin potrebbe risolverla.
Lui, però, frena e precisa: “Smentisco categoricamente ogni voce di proposta ricevuta per ricoprire un mio qualunque ruolo in Rai: voglio continuare il mio attuale impegno manageriale.
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