DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Due settimane fa il dicastero dell’Economia ha pubblicato un comunicato stranamente in contrasto con i toni, di solito diplomatici, del ministro Pier Carlo Padoan. Erano poche righe, ma segnavano una frattura senza precedenti con la Commissione europea. Il Tesoro italiano faceva presente che per dieci mesi aveva cercato di concordare con Bruxelles un modo per liberare le banche dei loro crediti in default, che ormai valgono sulla carta più di 200 miliardi di euro.
Ma da Bruxelles sono arrivate perplessità sempre diverse, ha sostenuto il Tesoro. Il punto contestato dalla direzione Concorrenza della Commissione resta sempre lo stesso: aiuti di stato. L’uso di una garanzia pubblica per incoraggiare un mercato privato dei crediti in default avrebbe fatto scattare nel 2016 penalità che potevano arrivare a sforbiciare i conti superiori a 100 mila euro dei clienti delle banche «aiutate».
È anche per questo che, più di sette anni dopo il fallimento di Lehman, centinaia di istituti nel Paese restano intrappolati dall’eredità della Grande recessione. Secondo l’Agenzia bancaria europea, i crediti deteriorati italiani pesano per quasi un terzo di un totale europeo da mille miliardi di euro e rappresentano più del 17% del Pil del Paese. Oggi in Spagna o in Irlanda, due Paesi dove sistema del credito era imploso a inizio decennio, ma la pulizia dei bilanci è iniziata prima, i prestiti alle imprese o alle famiglie costano meno e crescono di più. Quindi anche gli investimenti e l’occupazione sono più dinamici.
Chiunque abbia ragione, nei palazzi della politica economica di Roma l’insofferenza verso la Commissione Ue non è mai stata così palpabile. Al punto che è allo studio per le banche una soluzione per aggirare le obiezioni di Bruxelles: un meccanismo puramente di mercato per i crediti deteriorati, ammesso che sia possibile e venga accettato come tale in Europa. Vista da Bruxelles, è una nuova prova in un rapporto in cui la fiducia reciproca è ormai inesistente. Visto da Roma, questo sta per diventare anche un test sull’utilità di aver sostituito i vertici di Cassa depositi e prestiti chiamando Claudio Costamagna alla presidenza e Fabio Gallia come amministratore delegato.
Al progetto «di mercato» per le banche si lavora con la consulenza di Jp Morgan e Mediobanca. Nella versione di base del piano, si prevede che un gruppo di investitori privati crei una società veicolo con un capitale di circa dieci miliardi di euro; la società si indebita sul mercato fino a raccogliere circa 40 miliardi e con essi compra dalle banche (a prezzi svalutati) crediti verso le aziende per un valore teorico di 110 miliardi circa. La società veicolo punta a guadagnare qualcosa su quei pacchetti e le banche si libererebbero delle sofferenze.
La Sace, la società di assicurazione all’export controllata da Cdp, faciliterebbe gli scambi garantendo eventuali perdite sul debito della società-veicolo in cambio di una commissione fissata con criteri di mercato. Non ci sarebbe intervento pubblico, perché Cdp e Sace sono esterne al perimetro dello Stato anche se controllate dal Tesoro.
Molto dipenderà dai prezzi dell’eventuale garanzia di Sace, che non possono essere artificiali e di comodo. Ieri Danièle Nouy, la presidente della vigilanza nella Banca centrale europea, ha a detto a Milano che spera che l’operazione vada in porto; ma, ha aggiunto, «possono esserci altri modi». L’alternativa sarebbe semplicemente offrire (a pagamento) una garanzia del gruppo Cdp sulle perdite di chiunque compri un credito deteriorato da una banca italiana.
Prima di possibili obiezioni di Bruxelles, tutto sembra logico meno un dettaglio: Sace ha appena 1,5 miliardi di capitale libero, troppo poco per coprire transazioni per circa 30 miliardi sulle sofferenze bancarie italiane. Da sola non potrà mai. Di qui l’ipotesi di associare come assicuratore un gruppo privato, magari estero, in modo da alzare la potenza di fuoco e dimostrare che questa non è un’operazione di sussidio pubblico camuffato.
È presto per dire se questo ennesimo piano riuscirà. Ma di rado una struttura finanziaria così complessa ha avuto questa importanza politica per l’Italia in Europa.
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