IL LATO OSCURO DELLA KYENGE SISTER – MENA LA VICINA, LE DÀ DELL’ALBANESE COME FOSSE UN INSULTO, E POI DICE “HO LE SPALLE COPERTE” (CHE DIRE? SI È PERFETTAMENTE INTEGRATA!)

Giordano Teodoldi per "Libero"

Non c'è che dire, Dora Kapya Kienge, sorella 46enne del ministro per l'Integrazione Cécile, si è integrata bene. Residente a Ginestreto, frazione di Pesaro, ha trovato un alloggio dall'ente per le case popolari, come tanti italiani di bassa e media condizione sociale. Il suo spirito d'integrazione, però, deve essere stato troppo zelante, perché ha acquisito anche i costumi peggiori dell'italiano medio, quel carattere rissoso e prepotente che credevamo essere un nostro brevetto esclusivo, e invece no.

Il fatto: ieri Dora Kyenge è stata rinviata a giudizio dal giudice di pace di Pesaro per una lite condominiale, degenerata in colluttazione, avvenuta il 18 aprile scorso. In quella circostanza, Dora Kyenge non ha soltanto «bistrattato » la vicina Aferdita Bquiri, come scrive pudicamente il Resto del Carlino riportando la notizia, ma l'ha insultata, minacciata e menata. Un mese dopo è arrivata la querela di Bquiri, e la giustizia si è messa in moto, arrivando al rinvio a giudizio di ieri.

La cronaca riferisce che durante la lite sono volate parole grosse, anch'esse di tipica grana nostrana. Dora Kyenge avrebbe dato alla vicina di «puttana», «troia», accompagnate dalla intimidazione «io ti ammazzo» e, non diremo «che faccia tosta» perché non vogliamo essere accusati di discriminare, da considerazioni razzistiche circa la sua origine albanese. Un repertorio che testimonia di una perfetta integrazione, oppure che il relativismo culturale è una grande scempiaggine: in Italia come in Congo ci si prende a male parole allo stesso modo, mutato il dialetto.

L'aggredita è stata anche ricoverata in ospedale, con prognosi di cinque giorni, dove le sono state riscontrate lesioni personali (un pugno in testa o sul collo, comunque un colpo, diciamo così, non regolamentare). Ora, ci potrebbero accusare di tirare in ballo il ministro Kyenge, assolutamente estranea alla benché minima manifestazione di violenza, per una faccenda che riguarda la sorella, peraltro una delle 38 tra fratelli e sorelle, azionando la «macchina del fango».

Alt! È stata la stessa scalmanata sorella del ministro a chiamarla in causa, suo malgrado: «Ho le spalle coperte, mia sorella è in parlamento», avrebbe infatti detto alla vicina dopo averla «bistrattata», facendosi forte del ruolo politico di Cécile, che di lì a poco sarebbe anche stata scelta da Letta con la funzione - di dubbia utilità, ci sia consentito osservarlo - di ministro per l'Integrazione.

Osserviamo che, quando a commettere atti inconsulti o semplicemente di dubbio gusto erano i parenti, di vario ordine e grado, figli, fratelli, oppure anche solo amanti o amici, degli intollerabili potenti di pelle bianca, dalle sortite del figlio di De Mita in Ferrari alle epiche vicende del Trota o Di Pietro junior, la stampa ci andava giù pesante senza timori di essere tacciata di «macchina del fango».

E si citava il famoso adagio sul fatto che non solo Cesare, ma anche la moglie deve essere onesta. Come dire: chi ricopre un ruolo politico importante, ad esempio il ministro, deve avere compagni (e parenti) all'altezza, e non si devono sospettare privilegi di consanguineità. Qui la sorella di un ministro prende a pugni un'albanese, la minaccia di morte, le dà di albanese come fosse un insulto, e dice «lei non sa chi è mia sorella». Possiamo dire che il fango scorre a fiumi senza bisogno di macchine?

 

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