L’AMORALE DELLA FAVO-LETTA: TUTTO IN FAMIGLIA! - LO “ZIO GIANNI” PROVA A RASSICURARE IL NIPOTE SULLE INTENZIONI BOMBARDIERE DEL CAV

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Francesco Bei e Alberto D'Argenio per "La Repubblica"

«Non cambiamo linea sulla decadenza, non ci facciamo ricattare, questo se lo possono scordare: se buttano giù il governo se ne dovranno assumere la responsabilità». Al telefono da New York con Dario Franceschini, poco prima di intervenire davanti alle Nazioni Unite, Enrico Letta è categorico.

Il presidente del Consiglio, sempre impassibile, stavolta è furioso per la pugnalata alle spalle che il Pdl gli ha inferto mentre si trovava all'estero. Un gesto «incomprensibile», un «attacco a freddo» compiuto mentre il capo del governo italiano è in missione negli Stati Uniti per tentare di convincere gli investitori a puntare i loro soldi su un'Italia finalmente più stabile e credibile. Tutto inutile.

Letta stavolta è determinato a non subire condizionamenti. La notizia della bomba che sta per esplodere a Roma lo coglie al palazzo di vetro, mentre sta limando il suo intervento. Nella delegazione italiana - presenti anche i ministri Emma Bonino e Andrea Orlando - sono momenti di concitazione. Il premier esce dall'aula e si attacca al telefono. Non trova Alfano e parla con Maurizio Lupi. Sembra tranquillizzarsi quando ritorna in sala.

Con Franceschini, che a Roma presidia "Forte Chigi" fino a tarda sera, il premier concorda parola per parola il comunicato che verrà diffuso dal ministro alle agenzie. In particolare quel passaggio in cui vengono definite «pressioni a vuoto» quelle messe in atto dal Pdl.
Quell'annuncio di dimissioni di massa è l'ennesimo bluff o il pericolo stavolta è reale? Il 2 agosto, all'indomani della sentenza di condanna, i parlamentari del Pdl fecero un'identica solenne offerta di dimissioni, poi non seguirono i fatti.

Sarà diverso stavolta? Pier Ferdinando Casini, all'Onu come presidente della commissione Esteri, si mostra abbastanza tranquillo. Gessato e noccioline in mano, il leader Udc passeggia lungo la riva dell'Hudson davanti al grattacielo dell'Onu: «Ho parlato con Letta - confida - e l'ho trovato molto sereno. Ognuno si dovrà assumere la responsabilità dei suoi comportamenti, ma non credo che stiamo assistendo a una cosa seria».

In ogni caso, al suo rientro a Roma e prima del Consiglio dei ministri di domani, Letta ha deciso di andare a vedere le carte del Pdl, convocando i ministri di Berlusconi per un chiarimento. Già ieri i primi contatti gli hanno fatto maturare la convinzione che la
situazione è grave ma non è seria.

Anche lo "zio Gianni" gli ha spiegato chiaramente che il Cavaliere non intende rompere l'alleanza. Almeno per il momento. Nessuna dimissione dei parlamentari, come pure avevano fatto trapelare i falchi dopo il pranzo a palazzo Grazioli, ma solo un annuncio di future dimissioni. Subito derubricato dai moderati, all'uscita della riunione dei gruppi Pdl, come un «gesto simbolico per dimostrare affetto a Berlusconi». Come ci tiene a precisare la colomba Roberto Formigoni.

Niente di irreparabile insomma. Tanto più che nei capannelli di parlamentari azzurri, mentre sciamavano per il centro di Roma dopo la riunione con il Cavaliere, si potevano ascoltare diverse voci scettiche sulla reale praticabilità di un gesto simile. Malumori e perplessità molto forti specie tra deputati e senatori eletti nel Regno delle due Sicilie. «Le dimissioni - spiega una colomba - sono sempre individuali. Si danno ma si possono anche ritirare prima che l'aula le voti. E poi bisogna vedere se la maggioranza le accoglie».

Insomma, a parte i pasdaran, nella truppa forzista non è che ci si spelli le mani per questa ennesima provocazione. E persino tra i falchi c'è il timore che per Napolitano, se il Cavaliere dovesse davvero strappare, non sarebbe difficile mettere in piedi una maggioranza alternativa per - almeno - portare a casa la legge di stabilità e la nuova legge elettorale.


Resta l'interrogativo di fondo sul perché di questa improvvisa drammatizzazione del clima senza una ragione scatenante. Anzi, proprio nel giorno in cui Letta, da New York, aveva ribadito che la riforma dell'Imu «si farà». A scatenare l'ira del Cavaliere sembra sia stata la paura concreta di un ordine di custodia cautelare già firmato da Napoli e pronto a essere eseguito il giorno stesso della sua decadenza da senatore. «Mi manderanno in carcere », ha ripetuto ieri ha pranzo, «non possiamo stare fermi ad aspettare».

Sono giorni che Berlusconi vive con questa angoscia e Alfano è stato mandato sul Colle martedì anche per chiedere a Napolitano di fare «qualsiasi cosa in suo potere» per impedire un simile esito. Evidentemente la risposta del capo dello Stato non deve aver soddisfatto il leader di Forza Italia.

Da qui la decisione di alzare il livello dello scontro, a dispetto delle scadenze di governo impegnato a trovare 3 miliardi di euro per non aumentare l'Iva e per rientrare sotto il tetto del 3 per cento del Deficit/Pil. «Berlusconi - spiega un ex ministro del Pdl guarda ormai al voto dell'aula del Senato sulla sua decadenza. E spera che, minacciando le nostre dimissioni dal Parlamento, qualche decina di franchi tiratori del Pd lo possano salvare a scrutinio segreto».

 

MARIO DRAGHI ED ENRICO LETTA FOTO INFOPHOTO Enrico Letta a colloquio con obama article LA CONDANNA DI BERLUSCONI PELLEGRINAGGIO A PALAZZO GRAZIOLI GIANNI LETTA BerlusconiSILVIO BERLUSCONI Fassino Franceschini e Bianco PIERFERDINANDO CASINI