IL MACRO RIDOTTO A MICRO - CI VOLEVA UNO DE’ SINISTRA COME MARINO PER AMMAZZARE IL MUSEO ROMANO E TUTTE LE ISTITUZIONI CULTURALI DELLA CAPITALE (TORNA ALEDANNO, TUTTO E’ PERDONATO!)

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1 - IL MACRO RIDOTTO A MICRO ECCO L'AGONIA DELLA CULTURA
Giuseppe Cerasa per "la Repubblica - Roma"


Oggi parliamo di cultura e lo facciamo senza troppi giri di parole, senza buonismi, ma anche senza accanimento. Lo facciamo ricordando i tempi in cui un sindaco, straripante ma innamorato di Roma, si era messo in testa che di cultura la città poteva vivere, spostando milioni di turisti, facendo girare le rugginose rotelline dell'economia metropolitana, sfidando il mondo con le apparenti sovradimensionate strutture del Macro, del nascente Maxxi, del rinnovato Palazzo delle Esposizioni, del Parco della Musica.

In questi mesi di traballante avvio dell'era Marino abbiamo visto il contrario, abbiamo assistito ad un imbarazzante balletto di probabilità che hanno via via depotenziato, spogliato, quasi svenduto un patrimonio. La cultura a Roma è agonizzante. Il Macro della straordinaria Odile Decq è a un passo dalla chiusura.

Ieri sono arrivate le lettere di congedo del personale, da otto mesi nessuno ha avuto il coraggio di dire a Bartolomeo Pietromarchi che la sua corsa era finita, presentandogli il suo successore e consentendo a quella meritoria associazione dei Macroamici di mettere, come hanno sempre fatto, mano al portafogli e garantire finanziamenti privati per portare a Roma le più importanti firme di arte contemporanea del mondo.

Da otto mesi tutti sanno che il Palaexpò, la cui ristrutturazione è costata una montagna di soldi, è senza guida, è senza presidente e con un consiglio scaduto. Nessuno dice al pur bravo Mario De Simoni se resterà o no al suo posto e, nonostante questo, qualcosa di buono si continua a produrre come le mostre su Frida Kahlo, sugli Anni '70 e quella dedicata ad Augusto alle Scuderie.

Ma non è tutto: nessuno dà un indirizzo sicuro a chi dirige da anni la Casa delle
Letterature e si è inventata il Festival di Massenzio. Maria Ida Gaeta non va bene? Sostituitela. Va bene? E allora mettetela in condizione di lavorare, di programmare eventi. Lo stesso discorso riguarda il festival della Fotografia, analoga fine stanno facendo la casa del Jazz, la casa del Cinema, il museo Bilotti, la galleria comunale di via Crispi, i Mercati di Traiano, il teatro Palladium. Ma anche il Macro Testaccio e l'Ara Pacis, vivacchiano in attesa, forse, di morire.

Non ci sono soldi, ma soprattutto non ci sono idee, non c'è consapevolezza che di cultura una città come Roma può invece vivere e può riconquistare il ruolo primario che le spetta nel mondo. Così è la fine di un sogno e di una realtà. Il sindaco Marino e l'assessore alla Cultura, Barca, se ne debbono fare una ragione, debbono investire e credere in un settore che fa di Roma un unicum insuperabile. E su questo saranno severamente giudicati.


2 - ADDIO MACRO. LA CADUTA DI UN MUSEO, SENZA CONTRATTI NÉ MOSTRE
Carlo Alberto Bucci per "la Repubblica - Roma"

«Cari amici, il mio incarico al Macro è chiuso. Ho mandato una mail con indicato chi rimane». Questo l'sms spedito ieri da Maria Bonmassar che priva il Museo d'arte contemporanea di Roma del suo capo ufficio stampa. E che straccia il velo sul futuro del museo bifronte, diviso tra le sedi di Nomentana e Testaccio. Un domani nero, con poche centinaia di migliaia di euro in cassa dal 2013.

E con un 2014 senza certezze se non quella che «a giorni dovrebbe essere pubblicato il bando, pronto da tempo, che ci darà il nuovo direttore», assicura l'assessore alla Cultura, Flavia Barca. Il bando era stato annunciato dal sindaco il 3 novembre. Ora si spera che presto arrivino i curricula.

Altre 13 colleghe seguiranno - salvo ripensamenti - la Bonmassar a fine febbraio. Anche per loro il contratto con Zètema è (quasi) scaduto. Le 15 costano alla società in house (che riceve 34 milioni l'anno dal Comune per gestire il sistema musei), 430 mila euro, sui 3 milioni e rotti incassati per far funzionare il Macro.

Togliere forza lavoro qualificata, come quella garantita dalle contemporaneiste Carolina Pozzi, Benedetta Carpi de Resmini o Maria Licata, è una mazzata alla macchina organizzativa del Macro. Che, nonostante sia privo di direttore dalla scorsa estate (Bartolomeo Pietromarchi, l'ultimo, ha perso anche la pazienza dopo essere stato tenuto a
bagnomaria per mesi), a gennaio ha registrato ben 15mila visitatori a via Reggio Emilia e 9000 a Testaccio, grazie alla spettacolare installazione della giapponese Horiuchi MacAdam, 21mila presenze a dicembre, pagata dall'Enel. E sono stati 150mila gli ingressi nel 2013, la metà del gemello statale Maxxi che per lo stesso periodo si vanta di 300mila presenze.

«Alcuni di quei 15 contratti al Macro saranno forse prorogati, altri non si può per problemi di carattere normativo: comunque la Sovrintendenza comunale sta mandando personale altrettanto qualificato» spiega Barca. E per l'anno in corso? Conferma il budget del 2013? «Spero di sì e mi auguro anche che, grazie all'alto profilo del nuovo direttore, Enel confermi il suo contributo (250mila euro, ndr) e magari si convinca a farsi coinvolgere anche di più».

Ci vuole ben altro a convincere Beatrice Bulgari, e gli altri 49 collezionisti di Macro-Amici, a versare i loro 150mila per sostenere l'incremento della raccolta, la didattica, le inaugurazioni. «È una situazione allucinante, si prendano le loro responsabilità. A settembre, e ancora 15 giorni fa, ho detto ai soci che il rinnovo delle tessere è sospeso...
A ottobre abbiamo fatto una petizione al sindaco e a Barca per chiedere, semplicemente, un direttore di valore internazionale e una programmazione seria. Senza, è impensabile un nostro impegno». E cosa le hanno risposto? «Marino, chi l'ha sentito? Dalla Barca solo la promessa del bando».

 

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