"CHIESI A DELL'UTRI SE FOSSE PREOCCUPATO PER IL PROCESSO?' MI RISPOSE: 'HO UN CERTO TIMORE E NON……
Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo per “la Stampa”
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
Sono passate da poco le dieci di sera, è appena terminato il vertice a Palazzo Chigi sulla manovra. Luigi Di Maio invia un messaggio nella chat dei ministri e dei sottosegretari economici del M5S: «Tutti convocati». L'appuntamento è in un ristorante dietro il Parlamento. Il vicepremier del M5S è furioso.
Non è per nulla contento di quello che ha sentito in oltre tre ore di discussione con il ministro dell'Economia Giovanni Tria, il premier Giuseppe Conte, il vicepremier della Lega Matteo Salvini, alla presenza anche del sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti e del ministro degli Affari europei Paolo Savona. «Non vogliono consentirci di fare il reddito di cittadinanza...- minaccia il grillino - Non hanno proprio capito allora...Se continua così Tria può andare a casa».
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
IL LIMITE DEL DEFICIT
La tenuta del governo balla tra due cifre: 1,6 per cento e 2 per cento di deficit. Sono miliardi. È su questa differenza di 0,4 che si contrappongono i due blocchi di governo, in un gioco delle parti mutevole. Salvini e Di Maio hanno bisogno di risorse per finanziare le loro promesse elettorali. Per l'ennesima volta lo dicono a Tria, fermamente convinto invece che non si possa andare oltre l'1,6, se si vuole ottenere la collaborazione dell' Ue. Il vertice si prolunga in una tensione che diventa ora dopo ora più soffocante.
A fine incontro gli staff di Conte, Di Maio e Salvini fanno filtrare frasi e rassicurazioni quasi identiche. «Vanno tagliati tutti gli sprechi, tutti i rami secchi, per recuperare risorse. Siamo pronti a fare scelte coraggiose» dice il grillino. «Siamo al lavoro per recuperare sprechi e assicurare riforme necessarie e coraggiose » gli fa eco il leghista. E Conte conferma: «Ci siamo soffermati sugli sprechi da tagliare».
Tagli, sprechi, coraggio, sono i concetti che ripetono i protagonisti di Palazzo Chigi. Parole che si consumano però nel giro di qualche minuto, bruciate dall'ira di Di Maio, pronto a concedere un serio piano di spending review solo dietro la promessa di ottenere il reddito di cittadinanza. Ma non è così facile come sembra. I grillini ormai sono in piena guerra con Tria.
E, se dovesse essere necessario, anche con la Lega, che a differenza degli alleati si tiene più cauta nell'assalto al Tesoro. La competizione con Salvini è a tutto campo (manovra, Rai, servizi segreti, il commissario per la ricostruzione del ponte di Genova) e Di Maio non fa più nulla per tenerla nascosta. «Ora tocca alle nostre battaglie, basta inseguirlo sull'immigrazione» ripete da ormai più di una settimana. La camomilla sparsa dai comunicati di facciata non basta a celare le fratture sulle ricette economiche.
LA SFIDA DEI VICEPREMIER
Prima di entrare al vertice, anche Salvini è irritato: «Se stiamo dietro alle paturnie di tutti ci facciamo del male». Qualche ora prima Luigi Di Maio aveva bollato come «inaccettabile condono» l'idea della pace fiscale proposta dalla Lega. Dopo diverse riunioni, l'ultima ieri pomeriggio, il capo politico grillino arriva con intenzioni bellicose a Palazzo Chigi.
Il vicepremier leghista lo attende spazientito: non gli sono piaciute le dichiarazioni di Di Maio in cui boccia i piani del Carroccio sulla pace fiscale, le stesse in cui risponde anche a muso duro al consulente leghista Alberto Brambilla che a sua volta aveva definito un rischio per il sistema alzare, come promesso dal M5S, le pensioni minime a 780 euro.
Non solo. Salvini ha ricevuto chiaro il messaggio di irritazione dei 5 Stelle, fatto filtrare dopo l'incontro avvenuto ad Arcore domenica sera tra il leader della Lega e l'ex alleato Silvio Berlusconi. I grillini temono un patto sulle tv e per la prima volta mettono nel mirino la candidatura di Marcello Foa a Viale Mazzini: «Se non verrà eletto presidente ce ne faremo una ragione» dicono. Per Salvini è una «ritorsione» dopo le sue rassicurazioni all'ex Cavaliere sui tetti alla pubblicità su Mediaset.
IL MILIONE
Da parte sua, Di Maio non può permettersi di fronte al la base grillina di accettare la sanatoria leghista sulle cartelle fiscali. E lo dice chiaramente a Salvini, alla presenza di Tria e di Conte. Soprattutto non lo può fare a quella cifra, un milione, che il partner di governo ha fissato come tetto, guardando all' elettorato più tradizionale del centrodestra: «Così è un vero e proprio condono. Un milione - accusa il leader dei 5 Stelle - è una cifra enorme, un regalo agli evasori».
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