DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1. IL PIANO DI DI MAIO PER IL DOPO VOTO RIMPASTO E CONGRESSO ENTRO OTTOBRE
Federico Capurso per “la Stampa”
Luigi Di Maio ha le idee chiare, sul proprio futuro e su quello del suo Movimento.
"Suo", perché se anche assicura di «non voler tornare a fare il capo politico», su ogni progetto del partito resta ben impressa la firma del ministro degli Esteri.
Il ragionamento, fatto in questi giorni con i big del partito, è che il giorno dopo il voto si dovranno prendere decisioni forti, perché i sondaggi fanno paura. Il M5S sembra destinato a scomparire in alcuni territori e gli alleati del Pd rischiano di perdere anche la Puglia, con il referendum come unica ancora di salvezza, sempre che il fronte del No non continui a recuperare terreno.
Ecco perché il piano di Di Maio si articola intorno a due punti cardine: sarà necessario un forte rimpasto di governo e si dovranno programmare gli Stati Generali del Movimento entro ottobre, per dare nuovi obiettivi al partito e costruire una leadership «collegiale, forte e legittimata dal voto», come ha ribadito ai microfoni di Rtl. In alcuni colloqui interni al Movimento si inizia a parlare di un «Conte ter». Una crisi pilotata che porti alla sostituzione di almeno quattro ministri.
Quelli che circolano negli ambienti di governo in questo momento sono nomi di donne: Lucia Azzolina (Istruzione) e Nunzia Catalfo (Lavoro) per il M5S, Paola De Micheli (Trasporti) per il Pd e la ministra dell' Interno Luciana Lamorgese, che verrebbe sostituita per dare un' impronta più politica al ministero.
Si aprirebbe, così, un caso "quote rosa" all' interno del governo e, in senso più ampio, sulla natura del giudizio e degli attacchi riservati alle ministre in questi mesi. Resterebbero inalterate poi le pedine di Italia viva e Leu; i soci di minoranza della coalizione potrebbero guadagnare dei sottosegretari, utili da un lato a calmare il possibile impeto di Matteo Renzi nel day after elettorale e, dall' altro, a ricucire con la sinistra dopo il caos delle presidenze delle commissioni dello scorso luglio, quando l' unica poltrona a loro destinata, in Senato, venne silurata dal fuoco amico. Nei giorni scorsi si parlava anche della possibilità che Di Maio tornasse a fare il vicepremier, stavolta in tandem con il segretario del Pd Nicola Zingaretti, ma lui non pare convinto dell' opportunità di questa soluzione.
Sul fronte interno, l' ex leader M5S spinge per arrivare a degli Stati generali "veri", nei limiti imposti dall' emergenza sanitaria. Tra le ipotesi sul tavolo, quella attualmente più concreta prevede un congresso entro ottobre, con dei delegati nominati tra gli eletti di ogni territorio (parlamentari, sindaci, consiglieri regionali e comunali) e con una partecipazione online degli attivisti.
Il reggente Vito Crimi non vede di buon occhio l' idea di escludere la base, ma così lo liquida Di Maio: «Crimi sta facendo l' impossibile, però è reggente, non è stato eletto». Insomma, non può imporre le sue idee perché in scadenza e, soprattutto, perché privo di truppe.
DAVIDE CASALEGGIO LUIGI DI MAIO VITO CRIMI
Intorno alla futura leadership, Di Maio sta cercando di trovare una sintonia con tutti i big del Movimento, chiamati a entrare nella segreteria allargata, lui compreso. Quasi tutti, in realtà. Roberto Fico resterebbe escluso, per via del suo ruolo istituzionale, lasciando in rappresentanza della sua corrente il fedelissimo Giuseppe Brescia.
Un posto verrebbe poi lasciato ad Alessandro Di Battista, anche se non si conta molto sulla sua adesione al progetto. Tutto passerebbe poi da un voto su Rousseau. Una ratifica, poco di più. Compresa, però, la mozione che porterebbe a estromettere Davide Casaleggio dalla proprietà della piattaforma Rousseau, modificando lo Statuto. Così, alla fine, nel testo istitutivo del Movimento resterebbe un solo nome, quello di Di Maio.
2 – DI MAIO TIRA IN BALLO DRAGHI PER FARE LE SCARPE A CONTE
Adalberto Signore per “il Giornale”
Dopo la svolta moderata, quella istituzionale. Con buona pace delle prima vita di Luigi Di Maio, quella del guappo barricadero che comiziando a Fiumicino invocava l' impeachment di Sergio Mattarella per «evitare reazioni della popolazione». O che dal balcone di Palazzo Chigi arringava la piazza festeggiando la «fine della povertà». Sono passati solo due anni da quell' epoca rivoluzionaria, eppure la politica è ormai così fluida che pare trascorsa un' intera era geologica. Anzi due.
Quella del Di Maio moderato, vicepremier nel Conte 1 e costretto a ritagliarsi un profilo più equilibrato per bilanciare il suo collega di governo Matteo Salvini. E quella del Di Maio istituzionale, iniziata formalmente con l' ingresso alla Farnesina, ma entrata davvero nel vivo quest' estate, quando il ministro degli Esteri ci ha tenuto a far sapere che aveva avuto un incontro con Mario Draghi.
La terza vita, appunto. Quella in cui Di Maio ha iniziato a mettere in conto l' eventualità di un governo di larghe intese se il Conte 2 dovesse finire a carte quarantotto, investito dalle prossime elezioni regionali. Anzi, se all' inizio il ministro degli Esteri la considerava solo «un' ipotesi percorribile», ora pare che sia lui uno dei principali sostenitori del governissimo. Sarà l' osmosi con gli ovattati corridoi di marmo bianco della Farnesina o la frequentazione quotidiana con i rituali della diplomazia, fatto sta che Di Maio si muove da mesi esattamente in questa direzione. Non è un caso, quindi, che abbia voluto andare ben oltre la forma quando qualche giorno fa ha fatto gli auguri di pronta guarigione a Silvio Berlusconi.
«Spero si riprenda presto e che combatta con la forza che lo ha sempre contraddistinto anche questa battaglia», ha detto il ministro degli Esteri. Nella sua prima vita - sempre due anni fa - gli dava addosso definendolo un mafioso, oggi lo considera addirittura un combattente.
Così, ancora ieri Di Maio è tornato ad elogiare Draghi, principale candidato alla guida di un esecutivo di larghe intese (nel quale, guarda un po', il ministro degli Esteri si immagina nuovamente vicepremier). «E' una risorsa per l' Italia», ha detto. E «per spendere bene i 200 miliardi di Recovery Fund potremmo avvalerci di una competenza indiscussa come la sua». Parole che devono aver fatto saltare dalla sedia Giuseppe Conte, visto che è del tutto evidente che la gestione delle ingenti risorse che arriveranno dall' Europa sarà l' unica vera partita che conta nei prossimi mesi. E poco importa che Di Maio abbia voluto precisare che «il premier ha tutta la sua fiducia» e nessuno «vuole fargli le scarpe», perché è del tutto evidente che certe uscite hanno un peso e non sono casuali.
Dopo il faccia a faccia di luglio, insomma, il titolare della Farnesina torna a chiamare in causa Draghi. Quella volta disse che gli aveva «fatto una buona impressione», quasi a volerci tranquillizzare sul fatto che l' ex presidente della Bce - chi l' avrebbe mai detto - non era proprio uno sprovveduto. Oggi, archiviata la sua prima vita nella quale accusava il numero uno dell' Eurotower di «avvelenare il clima» e «non rispettare l' Italia» (anno 2018), Di Maio fa un passo in più e arriva ad auspicare che possa essere proprio lui a gestire i miliardi in arrivo da Bruxelles.
Per certi versi un' uscita un po' scomposta, perché ci sono momenti in cui è meglio lavorare sottotraccia piuttosto che accendere i riflettori. Ma, evidentemente, durante il forum Ambrosetti l' ex capo politico dei M5s deve aver colto che il gotha imprenditoriale ed economico riunito nei giorni scorsi a Cernobbio tifa apertamente per Draghi.
E chissà che anche questa circostanza non abbia alla fine convinto Conte a partecipare alla festa nazionale dell' Unità a Modena. Dopo aver tergiversato per giorni, infatti, proprio ieri Palazzo Chigi ha fatto sapere che stasera alla 20.30 il premier sarà intervistato sul palco principale, arrivando direttamente da Beirut dove è in visita di Stato. Un modo per cementare i rapporti con il Pd ma anche per blindare un sempre più traballante Nicola Zingaretti proprio in chiave anti Draghi. Non è un mistero, infatti, che anche nel centrosinistra siano in molti a ventilare l' arrivo dell' ex presidente della Bce se il risultato delle regionali dovesse compromettere irrimediabilmente la tenuta dell' esecutivo.
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