AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Dimenticate per un attimo la scaramuccia fra Roma e Bruxelles sulla correzione dei conti da tre miliardi attesa entro fine aprile. Le probabilità che l' Italia vada al voto prima del 2018 sono ormai prossime allo zero. Ciò permette a Gentiloni di allungare lo sguardo oltre quello che nella prima Repubblica chiamavano l' orizzonte balneare. Le riunioni di questi giorni a Palazzo Chigi si concentrano su ben altro, ovvero la manovra per il 2018. Sembra un paradosso, non lo è: Bruxelles attende entro il 10 aprile il testo del Documento di economia e finanza, di fatto la bozza della legge di bilancio per l'autunno.
Una volta quel documento somigliava ad una lista dei desideri, oggi le procedure europee rafforzate impongono che quei numeri siano scritti con coerenza e realismo. Per restare nella metafora acquatica, ecco come un esponente di governo sintetizza lo stato dell' arte: «Quello che stiamo scrivendo non è un documento di galleggiamento, ma un progetto coerente di governo». Vai poi a sapere se il futuro inquilino di Palazzo Chigi lo rispetterà o meno.
Le questioni da mettere a punto sono molte, e tutt' altro che alate. La scorsa settimana sono già state oggetto di una riunione fra il premier, Padoan e Calenda, il trio che ha preso le redini del governo dopo l' uscita di scena di Renzi. Il punto di partenza è una clausola di salvaguardia da quasi venti miliardi di euro, pari ad un aumento dell' ultima aliquota Iva al 25 per cento dal primo gennaio.
A Bruxelles sono perfettamente consapevoli delle conseguenze potenzialmente devastanti di un simile aumento delle tasse sulla crescita italiana, così come lo sarebbe un taglio alle spese della stessa entità. Nelle trattative già avviate fra Roma e Bruxelles si ragiona già su un compromesso per dimezzare quel pesante fardello. Nei piani europei l'Italia avrebbe dovuto far scendere il deficit di quest' anno all'1,8 per cento, all' 1,2 nel 2018.
Quest' anno si è fermata al 2,3, la correzione chiesta entro aprile da Bruxelles dovrebbe far ridiscendere l'asticella al 2,1 per cento. Se la trattativa andrà in porto, il Def per il 2018 potrebbe indicare un deficit fra l'1,9 e il 2 per cento, sette-otto decimali sopra gli attuali obiettivi ma in ogni caso in una traiettoria ancora discendente. Significherebbe uno sconto di circa dieci-undici miliardi di euro.
Ciò non significa che la manovra per il 2018 non sarà impegnativa. La finestra di opportunità spalancata due anni fa da Mario Draghi con il piano di acquisto titoli della Bce si sta lentamente chiudendo: l' inflazione sta salendo, e con essa la pressione tedesca perché viri la rotta della politica monetaria.
Il Documento di economia e finanza ne prenderà atto, prevedendo per il 2018 l'inizio del «tapering» da parte di Francoforte; la conseguenza sarà un aumento dei rendimenti sui titoli pubblici e della spesa per onorare il debito. Se l' azionista di maggioranza del governo - ovvero Renzi - insisterà nel dire no ad un aumento anche solo lieve dell' Iva (al Tesoro da tempo accarezzano l' ipotesi di ritoccarla di un punto), dovrà accettare una forte riduzione della spesa pubblica nell' ordine di qualche miliardo di euro.
Quest' anno gli verrà in aiuto la riforma del bilancio e i nuovi poteri affidati al presidente del Consiglio, il quale entro il primo maggio dovrà approvare un decreto presidenziale che fissi gli obiettivi ministero per ministero. D'altra parte la questione che preoccupa di più Bruxelles resta la sostenibilità del debito. Per questo il Def prometterà anche quest' anno una lieve riduzione dello stock da finanziare con i proventi da privatizzazioni: su tutte Trenitalia e una nuova tranche di Poste. Quelle privatizzazioni che ormai trovano l' aperto dissenso di esponenti e ministri Pd.
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