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ignazio marino presenta il suo libro 7
Giovanna Vitale per ''la Repubblica-Roma''
La sentenza che condanna Acea a pagare la bellezza di 839mila euro, più 15mila di spese legali, all’ex presidente del cda Giancarlo Cremonesi, boccia su tutta la linea la strategia adottata dall’ex sindaco Marino sulla multiutility di piazzale Ostiense. Rappresentando, anche, un monito per il prossimo inquilino del Campidoglio. Specie alla luce di alcune dichiarazioni elettorali, in primis quelle della grillina Virginia Raggi, che a metà aprile annunciò su Sky: «Una cosa che faremo di sicuro è cambiare il management dell’azienda». Se vincerà, dovrà aspettare. Pena, un cospicuo esborso e il rischio di un’indagine per danno erariale.
A stabilirlo è stato il 5 maggio scorso il tribunale del lavoro di Roma. Che ha accolto il ricorso presentato da Cremonesi (nominato al vertice di Acea nel 2008 per volere dell’allora sindaco di centrodestra), riconoscendogli il diritto di percepire «i compensi fissi e variabili» che avrebbe maturato per l’intera durata del mandato. Revocato, invece, «senza giusta causa» poco più di un anno dopo la sua riconferma, su input dell’azionista di maggioranza Roma Capitale allora guidata dal chirurgo dem.
Quella che due anni fa venne propagandata come una grande vittoria contro la prepotenza di Alemanno, reo di aver rinnovato il cda Acea alla vigilia delle elezioni, si è trasformata in un boomerang per l’azienda. Costretta adesso a svenarsi per il blitz con cui Marino, il 5 giugno 2014, impose all’assemblea dei soci la riduzione del cda da 7 a 9 componenti, così da far decadere il board in carica e sloggiare gli amministratori sgraditi. Salvo poi riportarlo a 9, poco più tardi. Un escamotage che il giudice del lavoro ha smascherato e silurato.
Non è l’unica tegola che pende su Acea. Altri tre membri del vecchio cda — Andrea Peruzy, Maurizio Leo e Giovanna Illuminati — hanno presentato analogo ricorso al tribunale delle imprese. Identica la richiesta: i compensi che avrebbero percepito se non fossero stati rimossi, circa 200mila euro a testa. E siccome la “sentenza Cremonesi” costituisce un precedente non eludibile, la controllata capitolina rischia di pagare un conto salato alla strategia dell’ex sindaco pd.
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