DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Rachel Kramer Bussel per http://www.salon.com/
Non sono offesa dall’idea del “bonus moglie ”che Wednesday Martin ha proposto sulle pagine del New York Times e nel suo prossimo libro “Primates of Park Avenue”. L’autrice scrive: “Un bonus per le mogli, mi hanno detto, dovrebbe essere previsto dagli accordi matrimoniali, e distribuito non solo in base alla ricchezza del marito, ma anche secondo come si comporta la moglie. Da come spende i soldi per la casa, in base all’educazione che dà ai figli, circa allo stesso modo in cui i mariti sono retribuiti dalle banche per investimenti”.
Ma se questi bonus esistessero, o esistono, sono sessisti? Sì, per il fatto che sia la donna a essere pagata per fare i lavori di casa. Ma se invece questo ruolo è il frutto di una scelta, allora è più furbo mettere tutto nero su bianco, invece di affidarsi alla carità del proprio marito quando si ha bisogno di denaro. Chissà se sono le mogli dell’Upper East Side che vogliono regolamentare i loro compiti, in modo da ricevere uno stipendio minimo garantito. Se è così, le facciamo un applauso.
Su Vogue, Michelle Ruiz chiede alle casalinghe se vogliono uno stipendio formale, trasformando il “bonus-moglie” in qualcosa di più ufficiale, e dice che il problema fondamentale è che molte donne non vedranno mai un centesimo per i lavori fatti in casa e per la maternità. “Infatti – scrive Michelle Ruiz - per ogni casalinga benestante dell’Upper East Side, ce ne sono decine che lavorano senza vedere un centesimo, senza bonus e nemmeno la possibilità di richiederlo”.
Per Wednesday Martin i bonus servirebbero a garantire “un po’ d’indipendenza finanziaria”, ma ha senso parlare d’indipendenza quando, in definitiva, sei dipendente da tuo marito per averla? Un avvocato esperto di divorzi dice che, quando le coppie ricche come quelle di cui parla Martin si lasciano, il marito dice: “Posso crescere io i bambini, ma tu non potrai mai guadagnare un milione di dollari a Wall Street”.
Ma lasciando perdere Wall Street e i milioni, anche le mogli delle persone meno ricche possono comunque essere succubi della generosità dei loro mariti, se non si stabilisce qualcosa per contratto. Personalmente mi preoccupo quando vedo delle colleghe contare sul proprio compagno per qualunque tipo di spesa.
Non parlo di condivisione dei beni o di prestiti occasionali, ma di situazioni in cui la donna non ha nessun reddito e nemmeno la possibilità di riiniziare a lavorare in breve tempo. Questo mette le donne, a prescindere dallo stipendio dei mariti, in netto svantaggio.
Come scrive Wednesday Martin “attingere dal conto di tuo marito può essere bello. Ma non ti darà mai il potere che avresti se fossi tu a portare a casa i soldi”. Non invidio queste donne che vivono bene, anzi, mi preoccupo che un giorno le tolgano il cuscino da sotto il sedere.
Da quando mi sono trasferita con il mio compagno, ho fatto di tutto per guadagnare quanto più possibile, affinché lui non si debba curare di me. Certo, voglio usare i miei soldi in maniera responsabile, ma non voglio dover chiedere tutte le volte che vado a comprare qualcosa. Sarebbe troppo fastidioso. Per me, che sono stata cresciuta da mia madre, mentre mio padre spesso non pagava per le nostre spese, è una questione di autostima.
Mi sentirei diversamente se il mio ragazzo guadagnasse milioni? Forse, ma anche in questo caso, se non avessi alcuna entrata e dipendessi in toto da lui, non mi sentirei a mio agio.
Lo dedico alle mogli che ricevono dei premi per stare al gioco dei loro mariti. Se l’unico modo in cui potete avere dei soldi è prendere quelli di vostro marito, fatelo, piuttosto che rifiutarli per un falso senso di orgoglio. Ma spero che ne stiate tenendo un po’ da parte, nel caso in cui, o per necessità finanziarie o per capriccio, quel premio dovesse scomparire.
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