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Alessandro Trocino per il "Corriere della Sera"
Una giornata tutta fiorentina, forse l'ultima, prima di tornare a Roma per salire al Colle, quasi certamente lunedì. Comincia seminando i cronisti, con l'auto che lascia Pontassieve e sfreccia in direzione sconosciuta per incontrare due ministri possibili, Andrea Guerra e Alessandro Baricco. E finisce con il quasi ex sindaco di Firenze che si dedica all'unica occasione di relax di questi giorni: la partita della Fiorentina. Nel mezzo, Matteo Renzi scopre quant'è difficile fare il (quasi) premier e ingaggia il primo braccio di ferro con il Nuovo centrodestra. Al termine del quale si sfoga con i suoi: «Non hanno capito bene con chi hanno a che fare, non mi metto di certo a fare il manuale Cencelli».
A Palazzo Vecchio il suo ufficio al primo piano è sbarrato. Le segretarie Eleonora e Maria Elena stanno infilando carte e libri negli scatoloni. Restano a far la guardia i ritratti di Giorgio La Pira e Nelson Mandela. E il quadro del presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, che presto Renzi vedrà di persona.
Di mattina ha due faccia a faccia. Il primo è con Andrea Guerra. Per incontrarlo la sua auto imbocca il Lungarno a tutta velocità e semina i cronisti. Arrivato a Palazzo Vecchio, basta un cenno ed ecco la paletta dei vigili a fermare i fotografi in motorino. Poi il lungo colloquio in un hotel, lontano da orecchie indiscrete, per cercare di convincere l'amministratore delegato di Luxottica a far parte della squadra. I due si conoscono da tanto e già una volta Renzi cercò di convincerlo a entrare in un governo.
Anzi, ci riuscì ma il giorno dopo, a sorpresa, Letta nominò Flavio Zanonato. Forse anche a questo è dovuta la resistenza di Guerra, che a sera non è ancora vinta. L'altro colloquio è con Alessandro Baricco. Scrittore e fondatore della Holden, i due sono amici da tempo. Chi conosce bene lo scrittore giura che non sarà ministro. E infatti Baricco spiega: «Non sarò ministro, non ho il talento per questo. Ma spero di poter collaborare con Matteo sul tema dell'educazione».
Un messaggio per commemorare un pittore improvvisamente scomparso, Giuliano Ghelli. E un sms a Eugenio Giani, presidente del consiglio comunale fiorentino, che vorrebbe fare le primarie per la successione a Renzi (ma Dario Nardella è in pole position). Ed ecco, all'una, l'attesa chiamata dal Quirinale che l'avrebbe convocato per lunedì. Renzi chiama subito Delrio: «Graziano, sbrighiamoci, io vorrei avere la squadra già pronta per giovedì». Ma Delrio gli racconta i mal di pancia del Nuovo centrodestra: «Vogliono il programma nero su bianco. Sono arrabbiati per i contatti con Verdini. E insistono per avere tre uomini. Mi sa che dobbiamo ritardare di qualche giorno».
Renzi si impenna, irritato: «Se Alfano pensa di tenermi più di quattro giorni a discutere di poltrone si sbaglia. Io non sono Letta. E poi l'ultima persona al mondo che vuole tornare a votare con il Consultellum è proprio lui». Ma il Nuovo centrodestra non è l'unico ostacolo. La squadra di governo è diventata un rompicapo. Il nodo del ministero dell'Economia preoccupa di più Renzi. «Meglio un politico che un tecnico».
Qualcuno mette in dubbio anche l'incarico alle Riforme della fedelissima Maria Elena Boschi. Un renziano la racconta così (non a lui): «Ma come si fa a farla ministro. à come se io diventassi campione di Masterchef . Certo, so fare le seppie ripiene, ma forse non basta per fare lo chef».
A dare conforto a Renzi ci sono alcuni sondaggi interni che dicono che l'umore della gente sta cambiando. à quello che sperava: superato lo choc della staffetta, ora si pensa solo ai risultati. In serata Renzi si rilassa allo stadio, al fianco di Diego Della Valle e di Carlo Rossella (che in mattinata avevano visto Enrico Mentana). Rossella nega incontri con Renzi: «Non ha tempo da perdere con me». Al presidente di Medusa il futuro premier piace: «Fa molto cinema, ma è un bel cinema, pieno di sorprese, come nei gialli. Io non sono renziano, ma lui è uno coraggioso, butta il cuore oltre l'ostacolo. Proprio come Berlusconi».
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