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Milena Gabanelli per il ''Corriere della Sera''
L' Istat ha fatto un lavorone: ha analizzato l' Italia e l' Europa durante i 60 anni di matrimonio. Il confronto è esteso anche all' Ue a 28, ma qui ci guardiamo allo specchio fra i sei Paesi fondatori, quelli che nel '57 diedero vita alla Cee firmando il Trattato di Roma. All' epoca Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo erano più o meno nella stessa barca.
Da allora la struttura produttiva è cambiata profondamente, ma almeno fino al 2008, le economie di questi Paesi sono andate convergendo, il potere d' acquisto procapite ha avuto una crescita impetuosa, e noi abbiamo anche beneficiato delle solidità delle economie più forti, specie quelle tedesche.
Poi la crisi ci ha trascinato al crollo della domanda interna, al blocco degli stipendi e all' arresto de consumi, a cui si aggiunge, nel 2011, il «rischio Paese». Le imprese più dinamiche, dalla manifatturiera alla meccatronica, si sono orientate verso i mercati esteri, e dal 2012 l' export ci sta salvando.
Una ripresa faticosa e ancora lontana dai «soci» europei, che nel rapporto debito-pil stanno a quota 90, mentre noi siamo a 132,6.
GRAFICO DI LIBERO PERFORMANCE ITALIA EUROPA PIL EUROZONA E NON
Eravamo in coda negli investimenti in ricerca e sviluppo negli anni 60, e lo siamo ancora oggi: 1,3% del pil contro il 2,3%.
Gli altri Paesi fondatori hanno da sempre, più o meno, investito il doppio di noi. Il dato curioso è che abbiamo un numero di dipendenti occupati nella ricerca non lontano dalla media europea: 1,12% rispetto all' 1,42%.
Il tasso di disoccupazione a 2 cifre ce lo trasciniamo dalla metà degli anni 80. C' è stato un bel recupero con il passaggio all' euro, ma dal 2012 siamo tornati a numeri preoccupanti: 11,9% contro una media del 7,5%.
L' Italia è in ritardo in generale sul lavoro: il numero di persone in attività è sempre stato più basso, nel 1960 lo scarto era del 5% , oggi supera il 12%. In Italia lavora il 57% della popolazione contro il 69% della media europea. Una differenza dovuta al fatto che le donne lavorano meno. Negli anni 60 erano più occupate in agricoltura, negli anni 80 si è recuperato terreno, (forse un riflesso del femminismo), per poi precipitare, ed allontanarsi sempre di più dalla media europea.
Le donne italiane guadagnano il 5% meno degli uomini, ma la distanza rispetto all' Ue è minore. In Germania nel 2015 hanno guadagnato mediamente il 22% in meno rispetto ai loro colleghi maschi.
Siamo invece il Paese con il più alto numero di automobili: 61 ogni 100 abitanti, contro i 54 dell' Europa a 6. C' è un perché: non siamo messi bene con il trasporto pubblico.
Altro dato preoccupante: tutti gli europei sono poco prolifici, però noi siamo a livelli molto bassi a partire dalla metà degli anni 60. Il dato allarmante è che negli ultimi 2 anni la popolazione italiana sta diminuendo. Di solito succede durante la guerra.
Una conseguenza anche attribuibile al fatto che si sposta sempre più in là nel tempo il ciclo di vita (prima finisco di studiare, poi mi cerco un lavoro, quindi metto su famiglia e faccio figli). Oggi le donne arrivano sempre più spesso a fare il primo figlio al limite del tempo massimo.
L' età media è di 32 anni contro il 30,9 dei paesi fondatori.
L' Istat registra che le donne italiane si laureano di più rispetto al resto d' Europa, però il dato complessivo dei laureati ci vede all' ultimo posto con un 26,2%. Quindi meno laureati, ma anche meno capaci di utilizzare le nozioni imparate a scuola, perché l' università non indirizza all' applicazione concreta. La ricaduta è una minore competenza rispetto a francesi o tedeschi.
Un dato positivo: siamo passati da Paese con la più alta mortalità infantile entro il primo anno di vita, a quella più bassa: 2,8 per mille contro il 3,4. Altra notizia fantastica, siamo il Paese più longevo d' Europa e il secondo al mondo. Questo grazie alla qualità del nostro sistema sanitario, dell' attività di prevenzione e uno stile di vita più sano.
Il rovescio della medaglia è che stiamo diventando un Paese di anziani; noi che alla fine degli anni 50 eravamo tra i Paesi più giovani, con metà della popolazione poco più che trentenne, oggi supera i 45.
Ma anche il resto d' Europa è brizzolato, e questo sarà un problema, perché bisogna produrre ogni anno un Pil che garantisca le condizioni di vita a cui ci siamo abituati.
Se le teste che lavorano sono poche, il Pil complessivo resta basso. Sarà complicato uscirne se non si rivedono le politiche della famiglia, e in modo strutturato quelle migratorie, perché dall' altra parte abbiamo la Cina: un colosso di un miliardo e mezzo di persone.
Solo un' Europa integrata (così detestata dai movimenti populisti) permette di affrontare i problemi che la dimensione di uno stato nazionale non potrebbe mai risolvere da solo.
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