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Alberto Flores D’Arcais per la Repubblica
Una riunione a porte chiuse, un “club dei milionari” progressisti che si interroga sulla sconfitta più cocente e su come affrontare la guerra (politica) a Donald Trump. Dietro le quinte a muovere le pedine è George Soros, finanziere, miliardario, filantropo e irriducibile liberal. È lui, con la sua Democracy Alliance (fondata nel 2004 nel tentativo, fallito, di strappare con John Kerry la Casa Bianca a George W. Bush) che in fretta e furia ha organizzato la “tre giorni” di Washington, chiamando a raccolta — nel lussuoso hotel Mandarin Oriental — i grandi finanzieri di area democratica per decidere strategia, tattica (e soprattutto finanziamenti) della resistenza al nuovo presidente Usa.
Tra questi, il miliardario e attivista per l’ambiente Tom Steyer (che ha profuso 140 milioni di dollari contro il cambiamento climatico), che ha detto di essere pronto a spendere tutto ciò che ci vorrà per combattere l’agenda di Trump. Il programma del presidente eletto è «un attacco terrificante alla nostra visione di un paese più giusto», dicono a Democracy Alliance e il presidente Gara LaMarche è netto: «Non si perde un’elezione che si doveva vincere senza commettere errori pesanti nella strategia e nella tattica».
Loro mettono i soldi, la testa pensante deve essere politica. In questo momento, con un vertice del partito annichilito dal fallimento elettorale della poderosa “Clinton Machine” e le manifestazioni di piazza, nessuno meglio di Elizabeth Warren, donna, senatrice e beniamina dei giovani della sinistra radicale appare come la persona più adatta a guidare la riscossa.
Mentre Sanders è in giro a presentare il suo ultimo libro, è lei che illustra alla platea i perché di una «sconfitta impossibile », è lei che spiega come e perché un paio di compromessi del passato — quello sulla riforma sanitaria di Obama e quello sullo stimolo all’economia — hanno contribuito alla vittoria di The Donald.
Se ci fosse stata una maggiore e più massiccia espansione della copertura sanitaria e interventi statali più robusti, questa la tesi della Warren, molti elettori democratici non avrebbero scelto Trump al posto di Hillary.
Sarà lei, insieme al “club dei milionari”, a valutare su chi l’ala liberal del partito deve puntare per riconquistare la Casa Bianca già nel 2020. Compito che potrebbe essere affidato a Keith Ellison (in corsa per la presidenza del partito), oppure a Kamala Harris, eletta trionfalmente al Senato per la California. Tutti e due cinquantenni, tutti e due amati (lei più di lui) dai militanti radicali e da chi ha votato (in odio a Hillary) per altri candidati.
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