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Carlo Bertini per “la Stampa”
Come un fulmine a ciel sereno, Marco Minniti squarcia il velo di ipocrisia che ha circondato finora la linea ufficiale del Pd del «mai con Berlusconi»: e apre una crepa gigantesca, alimentando la vulgata di un solco profondo tra lui e Renzi dopo il caso delle candidature, malgrado i due vadano da giorni a braccetto sulla scena. Il titolare dell' Interno, stimolato da Vespa, benedice un governo di larghe intese. «Farei parte di un governo di unità nazionale? Assolutamente sì, purché ci fosse anche il mio partito».
Minniti insomma certifica quel che tutti pensano, mettendoci la faccia: senza aver concordato quest' uscita con Renzi. Che ci resta di sale, visto che da giorni lui va sbandierando la linea opposta. «Champagne per brindare a un incontrooo...», canticchia mentre arriva negli studi di Quinta Colonna. E continua così dopo aver ascoltato la domanda dei cronisti su Minniti.
Un dribbling che certifica il gelo totale. «Ora siamo in piena competizione elettorale - dice candidamente Minniti - ma dal 5 marzo la partita è nelle mani solide ed equilibrate del presidente della Repubblica e spetterà a lui dare una soluzione alle grandi questioni che si porranno».
Come a dire, per convenzione tutti sono ora sono obbligati a dire no alle larghe intese, ma la verità è un'altra. Con una chiosa: «C'è un momento in cui si discute, ad esempio sulle liste, e poi c'è la partita elettorale in cui si combatte per il consenso e lo si fa insieme. La leadership è di Renzi, io non gli ho rimproverato niente, ho solo espresso una mia opinione nota».
Il ministro non finisce neanche di pronunciare le sue frasi, rilanciate immediatamente dalle agenzie, che i cellulari dem già ribollono. «Nessuno di noi si sogna di dire una cosa del genere, evidentemente lui pensa già al domani, vuole continuare a stare al Viminale, e pianta una bandierina per comunicarla ai possibili partners», è il commento più benevolo che si coglie tra i renziani.
Infuriati anche perché stavano cominciando a respirare e si ritrovano di nuovo nel frullatore dopo aver passato la via crucis dei fatti di Macerata, pagati a caro prezzo nei sondaggi interni, che ieri sera malgrado tutto certificavano una lieve crescita del Pd (e anche dei grillini, al lordo del caos rimborsi).
Renzi giocoforza non può dire una sillaba né a favore né contro il suo portabandiera di questi giorni, portato in palmo di mano malgrado tutto. Mentre Minniti deposita questa perla, tracciando la via del governissimo nello studio di Vespa, lui sta omaggiando il candidato gentiloniano Luciano Nobili della sua presenza ad un aperitivo elettorale. Di lì a poco da Del Debbio a Quinta Colonna se la cava con una battuta.
«Ci spiega la linea del presidente Minniti sull' immigrazione?», è il lapsus freudiano di Del Debbio. «Si è avvantaggiato...», ci scherza su Renzi. Del resto gli uomini del segretario provano a gettare acqua sul fuoco. «Tranquilli, quando lui non sopporta qualcuno certo non se lo porta in tivù: e domenica invece gli ha chiesto di andare insieme dalla Annunziata».
Se è vero che Renzi lo incita ad andare in tivù, certo non gli fa piacere sentire dire a Minniti il rovescio di un ritorno alle urne in caso di stallo. «Minniti ha detto con un pelo di sincerità in più ciò che non si può ammettere», tagliano corto i renziani più smaliziati.
E se caldeggia un prosieguo di Gentiloni a Palazzo Chigi, nulla questio, perché è «chiaro che se nessuno vince va avanti il governo che c' è, nel caso non vi sia alcuna possibilità di formare una maggioranza». Certo, basta gettare qualche sonda nel cerchio stretto del leader per preconizzare maretta a due settimane dal voto, con una resa dei conti già anticipata. «Quando si faranno i gruppi parlamentari si vedrà che contano più quelli delle interviste...».
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