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Tommaso Labate per “Il Corriere della Sera”
«Signori, facciamo i seri. Le differenze tra il Senato che vogliono gli amici come Chiti e il Senato che prevede il testo del governo sono differenze quasi tecniche. Se uno lo riconosce, bene. Ma se vengono a dire che la differenza tra i due disegni è la stessa che passa tra una democrazia compiuta da un lato e dall’altro la dittatura, il Pcus, Stalin, Mao, Lin Biao... Ecco, questo non è vero, non ci siamo».
Alle 19.50, poco prima di infilarsi nell’assemblea dei senatori del Pd, il senatore Giorgio Tonini si prepara per il dibattito con la fronda che si oppone al governo. «Sia chiaro, a persone come Chiti e Mineo io parlo in amicizia. Se dici che il tuo partito propone una riforma che sa di dittatura, è ovvio che da quel partito finisci fuori. E non certo perché ti cacciano. Ricordo per esempio che Cesare Salvi non aderì al Pd perché diceva che il Pd non sarebbe stato nel socialismo europeo. Oggi il Pd è il primo partito del socialismo europeo. Salvi, invece, non c’è...».
Corradino Mineo, prima di entrare nella riunione, lancia un telegramma. «Non facciamo una bella figura se trasformiamo questo scontro in una battaglia personalistica. Non mi si può dire “ah, Mineo, tu sei stato nominato e non eletto”. Anche perché lo sto dicendo io che basta col Parlamento dei nominati. E per sempre».
L’assemblea comincia dopo le 20. Anna Finocchiaro annuncia un mezzo colpo di scena. «Giovedì la relazione va in Aula. E i primi voti saranno da martedì prossimo». Tutto slitta , insomma. «Oggi eviterei di contarci», scandisce il capogruppo Luigi Zanda. L’atmosfera sembra serena. Ma basta che nel menù della riunione entri il tema dell’Italicum ed ecco che, da Palazzo Madama, si sente una puzza di bruciato che arriva anche a Palazzo Chigi.
Il super-lettiano Francesco Russo la mette così: «Se la riforma del Senato fosse stata quella prevista dal primo testo Boschi, allora avrei votato no. Ma ora il testo è profondamente cambiato. Ora — qui la parte più “calda” del suo intervento — siamo più forti per cambiare l’Italicum su parità di genere, soglie di preferenza e scelta ai cittadini». Quest’ultima, probabilmente, è una formula eufemistica dietro la quale si nasconde la parola «preferenze». «È una forzatura mettere insieme legge elettorale e riforma costituzionale», prova a parare il colpo il renziano Andrea Marcucci. Ma poi ecco che, in soccorso di Russo, arriva lo storico Miguel Gotor.
«La riforma è migliorata ma resta il tema dell’elezione del capo dello Stato. Non è possibile che, se un partito vince il premio di maggioranza alla Camera, possano bastargli solo 26 senatori per eleggersi l’inquilino del Colle da solo». E poi, ecco l’affondo del senatore bersaniano, «l’Italicum dovrà cambiare. Non possiamo andare avanti con un Parlamento di nominati. Dobbiamo evitare a tutti i costi una deriva oligarchica».. Non sono soltanto parole. Nella riunione, infatti, piomba un documento bersanian-lettiano in cui si chiede, esplicitamente, di rimettere mano alla riforma elettorale. Magari reintroducendo le preferenze, magari anche solo per una quota di eletti.
La trappola dell’Italicum, evidentemente, è scattata. In un solo giorno, oltre agli interventi nell’assemblea del Pd, dalla legge dell’accordo Renzi-Berlusconi si smarca un ministro del governo (Maurizio Martina, che boccia la legge durante un’intervista con l’Huffington Post ). E torna a parlare anche Pier Luigi Bersani: «Facciamo pure in fretta, ma sulle riforme non si può scherzare, vanno corrette».
E ancora, sempre dalla voce dell’ex segretario del Pd, che non si pente «affatto» di avere accettato a suo tempo il dialogo con Grillo: «Se la riforma del Senato rimane così insieme all’Italicum si creerebbe una situazione insostenibile.».
Poco prima, la renzianissima senatrice Rosa Maria De Giorgi s’era lasciata scappare quanto segue: «Dentro Forza Italia si vedono cose strane. Ma sarà vero che Berlusconi vuole il rinvio del voto? Se è così, quelli della fronda del Pd daranno una mano alle strane mosse dei berlusconiani...». Ce ne sarà un’altra, di assemblea, prima che la riforma arrivi in Aula. Si discuterà dei problemi relativi all’elezione del capo dello Stato. E dell’Italicum, ovviamente. E si voterà, la prossima volta.
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