DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, ti confesso che avevo seguito con gran disagio il confronto televisivo su La7 con Matteo Renzi da una parte e Lilli Gruber, Massimo Giannini e Marco Travaglio compattamente schierati contro di lui a mordergli le caviglie anche quando respirava. Come tu sai ho un interesse così e così per la politica politicante, di certo sbalordisco nel vedere giornalisti politici che nella materia vanno addobbati di elmetto e giubbotto antiproiettile.
Ovvio che avevo trovato sconcertante il “piano del lavoro” di Fabrizio Rondolino, ovvero di mettere in campo un team di Forze Speciali nel dare addosso ai nemici politici di Renzi, ma che cos’è quel che gli avversari di Renzi fanno sui loro giornali e nelle loro esternazioni se non una serie di agguati mortali a Renzi?
draghi mattarella renzi partita di poker
Una volta che mi avevano chiesto quali fossero i migliori giornalisti italiani, avevo messo nel mazzo Andrea Scanzi che è mio amico e che conosco dal tempo dei suoi debutti. Ebbene quando Scanzi scrive di Renzi che cos’altro fa se non un accanito cecchinaggio ad avvicinare sempre più i colpi al cuore del “personaggio” Renzi (quello che Rondolino chiama “character assassination”)?
Ora Renzi è lontanissimo da un santo almeno quanto io da eventuale giocatore di basket (non ho mai giocato al basket in vita mia) lo sarei da Michael Jordan. Nello scontro politico frontale nemmeno lui usa i guanti neppure per sbaglio, ciò che del resto non ho mai visto fare a nessun politico a mia memoria d’uomo. Così pure reputo che il denaro ottenuto con il proprio lavoro e con il proprio talento non puzza, eppure in Arabia Saudita non ci sarei andato. E così via.
fabrizio rondolino simona ercolani foto di bacco
Solo che non è questo che si staglia in primo piano se vuoi avere a che fare con il politico toscano men che cinquantenne Matteo Renzi, quello cui dobbiamo il fatto che a capo del governo ci sia oggi Mario Draghi. Quello cui dobbiamo l’entrata perfetta a togliere la palla dai piedi del governo Lega/Cinque Stelle, forse il più squallido governo dell’intera storia repubblicana.
Quello è il Renzi di cui discutere, di cui decidere se approvarne o no la postura politica, cui fare domande e averne delle risposte.
Così come di Bettino Craxi c’erano cento cose da discutere e commentare, l’ultima delle quali la valigia con le “tangenti” che gli portavano dritto filato nel suo studio milanese, una valigia che non credo contenesse più contanti di quelli che il Pci (uno dei grandi partiti della nostra storia recente) aveva ricevuto per poco meno di mezzo secolo dall’Urss, tanto che nel 1989 il Parlamento italiano votò compatto l’amnistia per i partiti (tutti tranne il Msi) che avevano incassato tangenti. Possibile che non abbia insegnato nulla la ferocia e la sovrana ingiustizia della campagna che assassinò il “character” Craxi, uno che nella sua battaglia contro “l’onesto” Enrico Berlinguer aveva non una ma cento e una ragioni?
VIGNETTA DI VAURO SU RENZI E LA FONDAZIONE OPEN
E invece siamo qui a prendere sul serio questa grottesca indagine giudiziaria sui soldi che faceva viaggiare avanti e indietro la Fondazione Open, soldi tutti alla luce del sole e rendicontati fino all’ultima lira, soldi che ovviamente erano destinati a giovare al “politico” Renzi e a chi altri se no? E quando mai in politica i soldi non sono stati necessari se non indispensabili?
Nel caso di Open erano soldi limpidissimi, che hanno contribuito anch’essi a creare la forza del Renzi che in un certo momento aveva della sua il 40 per cento dell’elettorato italiano. Semplice. Semplicissimo. Elementare. Nel 1948 il Psi non aveva neppure i soldi di che pubblicare l’ “Avanti!”. Li chiedeva in prestito al Pci, di cui ho detto prima il perché avesse un tutt’altro budget. Era il tempo in cui il Pci era elettoralmente tre o quattro volte più forte del Psi, e durò così sino ai fatti d’Ungheria.
Ne sto parlando da cittadino repubblicano. Quando faccio il giornalista, di certo non mi metto l’elmetto e il giubbotto antiproiettile quando affronto un politico che abbia idee diverse o molto diverse dalle mie. Una volta che alla trasmissione di Nicola Porro mi avevano detto di intervistare Giorgia Meloni, una che gli imbecilli patentati chiamano “fascista”, le ho fatto alcune domande, lei ha risposto, alla fine ci siamo stretti la mano. Il destino della Repubblica non dipendeva certo da quelle domande e da quelle risposte.
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