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Marco Del Corona per il "Corriere della Sera"
Per il Partito e per i posteri. Perché il Partito sopravviva e perché i posteri sappiano. Era l'ultimo discorso di Hu Jintao da segretario del Partito comunista cinese, e con quasi un'ora e quaranta ha fatto coincidere il suo commiato con l'inizio del 18° Congresso che coopterà la leadership dei prossimi anni. La lotta alla corruzione, soprattutto, poi cautela nelle riforme, l'appianamento dei conflitti sociali e una Cina finalmente potenza marittima: Hu ha battuto su temi che frequentemente o ciclicamente Pechino affronta.
Gli scandali recenti, Bo Xilai su tutti, hanno però ispirato al numero uno uscente un monito apocalittico, pronunciato dopo essersi seduto alla tribuna della Grande Sala del Popolo: «Combattere la corruzione e promuovere l'integrità politica, che sta molto a cuore al popolo, è un decisivo impegno a lungo termine del Partito. Un nostro fallimento potrebbe essere fatale al Partito stesso, provocandone il collasso, e potrebbe portare persino al crollo dello Stato». Dunque, chi trasgredisce «dev'essere trascinato davanti alla giustizia senza pietà ».
Nonostante le insidie che lo minacciano, però, il Partito ha voluto mostrarsi in tutta la sua potenza. Circa 2.300 delegati (alcuni senza diritto di voto, come il Panchen Lama fedele a Pechino) in rappresentanza di oltre 82 milioni di iscritti. Ne uscirà a fine Congresso il comitato centrale che sceglierà il Politburo che a sua volta indicherà il comitato permanente, probabilmente di 7 membri (ora sono 9), primo dei quali Xi Jinping, erede designato. A lui Hu affida la realizzazione degli obiettivi formulati ieri, uno dei quali è «il raddoppio entro il 2020 del Pil nazionale e del reddito pro capite del 2010».
Dal welfare all'«armonia sociale», Hu ha toccato tutti i temi cari al Partito (o alla sua retorica) senza curarsi di chi lo accusa di immobilismo. Ha anzi gelato gli incauti che avevano sperato nella chiara formulazione di una svolta: certo, «la riforma dell'impianto politico è una parte importante della riforma complessiva della Cina», tuttavia «dobbiamo garantire l'unità della guida del Partito» (e infatti «il socialismo con caratteristiche cinesi» è stato citato un'ottantina di volte). In altre parole: «Non copieremo mai un sistema politico occidentale».
La piazza Tienanmen, là fuori, è lontana. Lontanissima la protesta solitaria di una donna portata via molto presto. Sul palco incombe una falce-e-martello colossale incorniciata dalle rituali bandiere rosse. Inno, applausi, megaschermi con i primi piani dei capi. Dopo mezz'ora la silenziosa coreografia delle mescitrici di acqua calda per il tè.
Sullo sfondo 2.268 delegati e davanti a loro, allineati, 39 tra leader attuali e figure del passato, compresi gli ex premier Zhu Rongji (quasi l'unico non tinto) e Li Peng (il duro della repressione della Tienanmen nell'89). Al centro, accanto a Hu, come a rivendicare il suo peso politico ancora decisivo, sedeva l'unico altro segretario del Pcc ancora in vita, il predecessore Jiang Zemin. Omaggiatissimo all'ingresso, dopo un'ora e mezza non ha resistito e ha dato un'occhiata all'orologio. Una sola donna fra 38 uomini, Liu Yandong, anche se nel conto generale dei delegati mai come quest'anno la quota rosa era stata più cospicua (521, il 23%).
Le parole di Hu sulla Cina «potenza marittima», mentre continua la tensione sulle isole contese Diaoyu/ Senkaku, hanno spinto il Giappone a raccomandare a Pechino «il rispetto del diritto internazionale». Su Taiwan, invece, le parole calde di un tema caro a Hu. «La distensione con l'isola - spiegava al Corriere prima del Congresso Li Datong, giornalista epurato e intellettuale critico - è stato un successo per Hu. Anzi: si tratta dell'unico risultato positivo dei suoi dieci anni. Per il resto...».
Ma il segretario uscente ha un'eredità da lasciare. E dunque ha voluto impiegare il discorso finale per celebrare il proprio contributo teorico al sistema ideologico della Repubblica Popolare. Dopo il marxismo-leninismo, il «pensiero di Mao Zedong», la «teoria di Deng Xiaoping», le «tre rappresentanze» formulate da Jiang Zemin, Hu esalta la propria «visione dello sviluppo scientifico», che - a futura memoria - «integra il marxismo con la realtà della Cina contemporanea». Il re-filosofo, dunque, si congeda. Si prepara a consegnare la Cina a Xi Jinping. E la Cina si consegna a un futuro che sarà anche rosso ma non del tutto roseo.
STRETTA DI MANO TRA HU JINTAO E JIANG ZEMIN jpegSMORFIE DI JIANG ZEMIN POSTATE SUL TWITTER CINESE WEIBO LAUDITORIUM CHE HA OSPITATO IL XVIII CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE jpegHU JINTAO AL XVIII CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE jpegWEN JABAO XI JINPING MENTRE PIANTA UN ALBERO A PECHINO jpegmao zedong
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