FLASH! - LA GIORNALISTA E CONDUTTRICE DI CANALE5 SIMONA BRANCHETTI, STIMATA PROFESSIONALMENTE DA…
Monica Guerzoni per corriere.it
Se il governo riesce a lavorare continua, se non riesce a lavorare non continua. Quella che sembra un’ovvietà degna del signore di La Palice, è invece per Mario Draghi la vera, profonda ragione della sua permanenza a Palazzo Chigi. Andare avanti a colpi di aut aut e ricatti politici non si può e il premier lo dice con forza in conferenza stampa, scandendo le parole con un tono infastidito e un movimento eloquente delle mani: «Tanti dicono che a settembre faranno sfracelli, minacciano cose terribili... Il governo con gli ultimatum non lavora, perde il suo senso di esistere».
L’avvertimento è per Conte e anche per Salvini. Ed è la risposta alla «verifica di governo» invocata da Berlusconi. Il capo dell’esecutivo non ha perso la voglia di andare avanti per affrontare le emergenze, ma può farlo solo se le forze politiche confermano il patto di maggioranza sottoscritto nel febbraio del 2021. Anche perché lui non ha cambiato idea. Non ci sarà un governo Draghi senza i 5 Stelle e non ci sarà un Draghi bis, anche se il pallottoliere dice che i numeri parlamentari, grazie alla scissione di Luigi Di Maio, ci sarebbero anche senza quel che resta del Movimento.
Le fibrillazioni «sono importanti» ammette Draghi e rivendica di averle affrontate «abbastanza bene». Ma se impediscono al governo di fare il suo lavoro, andare avanti diventa impossibile. Gli chiedono se sia preoccupato anche per le richieste e gli annunci di Salvini, e Draghi, con un tono tra il seccato e il sarcastico: «Io ho fatto un esempio, lei ci metta il nome che vuole. Se si ha la sensazione che è proprio una sofferenza straordinaria stare in questo governo, che è una gran fatica e non si deriva nessuna soddisfazione dalle cose che il governo fa, bisogna essere chiari». E qui Draghi scandisce la sentenza che fa da architrave al suo ragionamento: «Se il governo riesce a lavorare continua, se non riesce a lavorare non continua».
BEPPE GRILLO - GIUSEPPE CONTE - MARIO DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
Lo spettro della crisi aleggia e se il premier sta attento a non enfatizzare le difficoltà, il segretario del Pd drammatizza. Dopo aver visto Draghi, Enrico Letta chiama il capo dello Stato Mattarella e convoca per oggi una riunione congiunta dei gruppi di Camera e Senato, per ribadire che «il Pd è il partito della stabilità e delle istituzioni». Domani potrebbe essere l’ultimo giorno del governo, eppure con i giornalisti Draghi rivendica il lavoro fatto e il «patto sociale» che vorrebbe stringere con sindacati e imprenditori.
Per illustrare le misure allo studio convoca la conferenza stampa, entra nella sala Polifunzionale con i ministri Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlando e, per prima cosa, invia al M5S il «segnale» richiesto con la missiva-ultimatum in nove punti: «Quando ho letto la lettera consegnata da Giuseppe Conte ho trovato molti punti di convergenza con l’agenda di governo. I temi affrontati con i sindacati sono assolutamente in quella direzione, sono punti che era necessario sollevare».
L’apertura è netta e rivela la determinazione di Draghi a salvare il governo di unità nazionale, per quanto i partiti siano scossi dalle tensioni e dalla tentazione delle urne anticipate. Se Conte e i suoi inquieti senatori vorranno coglierlo il segnale c’è e sta nell’intento di Draghi di seguire l’Europa sulla via del salario minimo, «mettere in campo misure strutturali per incrementare i salari netti», «ridurre il carico fiscale a partire dai redditi più bassi, in maniera decisa e grazie agli spazi nella finanza pubblica».
E nell’urgenza di fare qualcosa per combattere il lavoro povero, perché «i numeri dell’Istat sono drammatici e sono destinati a peggiorare a causa dell’inflazione». Tutti interventi che il premier giudica importanti e necessari, per poi chiosare, con un sorriso: «Se coincide con l’agenda di Conte io sono molto contento e penso anche lui». Un no forte e chiaro però c’è e riguarda la richiesta del M5S (e di Salvini) di finanziare le misure in extra-deficit: «Uno scostamento di bilancio per ora non è previsto».
Oggi Conte riunirà il Consiglio nazionale del M5S ed entro domani è atteso il verdetto: dentro o fuori. Cosa farà Draghi, se i senatori del M5S diserteranno l’Aula di Palazzo Madama e non voteranno la fiducia sul decreto Aiuti, pur avendola votata alla Camera? Il premier salirà dimissionario al Quirinale? E sarà rimandato alle Camere, per verificare se ha ancora la maggioranza?
Quando la domanda arriva, Draghi si fa scuro in viso e annuncia una risposta per punti, che sono rigidi paletti. Il primo, spiazzante: «Lo chieda al presidente Mattarella». Il secondo: «Per me non c’è un governo senza 5 Stelle e non c’è un governo Draghi che non sia l’attuale». Il terzo, sul rischio che i 5 Stelle decidano di aprire la crisi in autunno, portando il Paese al voto anticipato: «Non commento scenari ipotetici, perché sono parte di quel che succede. Essendo uno degli attori, il mio non sarebbe un giudizio oggettivo e distaccato».
In compenso l’incontro con Landini, Sbarra e Bombardieri è stato «positivo» e, con loro e i ministri presenti, il premier ringrazia anche Brunetta e Patuanelli. L’economia italiana va meglio delle attese, anche rispetto a quelle di altri grandi Paesi dell’Eurozona. La nostra «continua a crescere, ma le previsioni sono piene di rischi». Il primo e più grave è l’aumento del costo della vita, con l’inflazione che «erode il potere d’acquisto delle famiglie più deboli e aumenta i costi di produzione delle imprese». Bisogna intervenire per difendere l’occupazione, le pensioni e i salari e «per far questo bisogna essere insieme», governo e parti sociali.
Tra due settimane ci sarà un nuovo incontro, segno che la concertazione continua. Si parlerà ancora di contratti collettivi, di cuneo fiscale e del provvedimento «corposo» per aiutare famiglie e imprese e sostenere i salari, che arriverà alla fine di luglio. «Ma non è che non abbiamo fatto niente», chiarisce Draghi rivendicando i 33 miliardi di fondi già stanziati.
A sera, ospite d’onore alla cena con la stampa estera, Draghi concede un siparietto autoironico. «È un’occasione leggera — premette il premier, al suo esordio come barzellettiere — C’è uno che aspetta un trapianto di cuore e può scegliere tra un giovane di 25 anni in splendida condizione fisica e un banchiere centrale di 86. Sceglie il secondo». I giornalisti ridono: «Perché?». E Draghi, strappando l’applauso: «Eh, perché non è mai stato usato!».
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