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Ugo Magri per "la Stampa"
Berlusconi lascia lo studio presidenziale tra due corazzieri in divisa. Sono venuti per arrestarlo, come invoca il «popolo viola» che rumoreggia davanti al Quirinale? Niente affatto: i militi si piazzano sull'attenti davanti al Pregiudicato e idealmente, commenta entusiasta la Santanchè, sullo sfondo sventola il Tricolore.
L'ex premier ed ex senatore della Repubblica, con voce che tradisce un filo di emozione, annuncia un'«opposizione costruttiva» capace di giudicare caso per caso senza pregiudizi, garantisce che sulle riforme Forza Italia non si tirerà indietro e le sosterrà come da accordi, manifesta «preoccupazione e stupore per questa crisi opaca, nata fuori del Parlamento e nell'ambito di un solo partito», chiaramente il Pd.
Concetti anticipati il giorno prima nel comizio di Oristano, quando il Cavaliere aveva attaccato a fondo Napolitano, accusandolo di golpe e di complotto ai suoi danni. Per cui è naturale chiedersi come sia andato il colloquio tra i due, in che clima. E visto che non si vedevano dal giorno della famosa condanna, se ne hanno magari profittato per chiarirsi con la dovuta franchezza...
La risposta è no, zero discorsi fuori del seminato. Berlusconi ha detto in salotto le stesse cose che poi ha ripetuto davanti alle telecamere. Il Capo dello Stato è rimasto ad ascoltare compunto, annuendo spesso e talvolta con convinzione, in particolare quando il suo interlocutore ha manifestato rammarico per come Letta era stato cacciato. Grande reciproca freddezza e imbarazzo che si tagliava a fette.
«Mai che abbia osato guardarmi negli occhi», ha relazionato più tardi Silvio. Il quale a sua volta, secondo certi frequentatori del Colle, è apparso «mansueto come un agnellino». Il padrone di casa si è sempre rivolto a lui chiamandolo con inappuntabile cortesia «presidente Berlusconi» e non Cavaliere, tantomeno dottore (come nel comunicato ufficiale del Colle). Dopo 20 minuti di colloquio, si erano già detti tutto. L'ospite ha fatto per alzarsi dalla poltrona.
Ma Napolitano, controllato l'orologio, si è accorto che era ancora presto, l'intervallo con la delegazione successiva del Pd sarebbe stato troppo lungo, per cui ha ripreso il filo del discorso facendosi raccontare dai capigruppo Brunetta e Romani l'ingorgo parlamentare della decretazione d'urgenza. à rimasto infine il tempo per lamentarsi di «una certa informazione, che ha il brutto vizio di farmi dire quanto non ho mai nemmeno pensato», «ah, presidente, non lo venga a dire a me che sono travisato ogni giorno...». Ed è stato l'unico accenno che, volendo, potrebbe in qualche modo alludere ai reciproci tormentati rapporti.
Contesto a parte, il Cavaliere ha dato la netta impressione di nutrire parecchi dubbi sulla riuscita di Renzi. Per dirla tutta, non è nemmeno così convinto che riuscirà a formare il governo. E ben che gli vada, «si sta cacciando in un vicolo cieco». Perché pure se riuscisse a mettere in piedi un esecutivo con il Nuovo centrodestra e gli altri centristi, è il ragionamento che il Cav va sviluppando in queste ore, il segretario Pd «sarà sempre vittima del peccato d'origine», cioè della «brutale defenestrazione di Letta che a sinistra prima o poi gli faranno scontare».
Gasparri, reduce da un pranzo chez Berlusconi, ha diramato nel pomeriggio via Twitter certe immagini della fiction televisiva sui Borgia, accompagnate dall'avviso scandalizzato dei sanguinari protagonisti: «Noi con Renzi non c'entriamo nulla, diffidiamo chiunque dall'accostarci a lui... ».
Per cui il Caimano aspetta guardingo sulla riva del fiume, pronto ad approfittarne. Falso, se si dà ascolto a Verdini, che Forza Italia sia pronta a sostenere Renzi con un «soccorso azzurro» di 10-15 senatori, casomai Alfano all'ultimo momento si tirasse indietro... «Tutte bischerate» taglia corto l'uomo che tesse la tela del rapporto Berlusconi-Renzi. E il suo tono è di chi non ammette repliche.
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