RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Marco Bresolin per “la Stampa”
La mediazione targata Germania non sta producendo i risultati sperati. E di conseguenza il rischio di un ritardo del Recovery Fund «è sempre più probabile», come hanno lasciato filtrare nelle ultime ore fonti tedesche. Per l'Italia sarebbe un grande problema, per questo la questione è stata discussa ieri a Berlino dal ministro Vincenzo Amendola e dal suo collega tedesco Michael Roth. Il titolare degli Affari Ue ha confermato il «pieno sostegno» di Roma alla proposta messa sul tavolo dal governo guidato da Angela Merkel, che punta a sbloccare lo stallo sul meccanismo introdotto per legare l'erogazione dei fondi Ue al rispetto dello Stato di diritto.
Ma l'appoggio di Roma ovviamente non basta e finché non si trova l'accordo tra i 27 e con l'Europarlamento non potrà esserci il via libera al maxi-piano da 750 miliardi di euro. Per l'Ungheria la proposta sul tavolo rimane «inaccettabile». Mentre per i Paesi del Nord, che hanno tutto l'interesse a ritardare il Recovery, questa soluzione è già un cedimento a Orban. Insomma: non se ne esce. Roma e Berlino hanno però ribadito la strategia: bisogna continuare a trattare.
E bisogna farlo in fretta, perché i tempi sono strettissimi: senza un'intesa entro metà mese non sarà possibile avere il «Next Generation Eu» operativo da gennaio. Oggi ci sarà un nuovo confronto tra gli ambasciatori dei 27 per cercare un accordo sulla base della proposta tedesca. Nessuno è però disposto a scommettere sull'intesa: il caso finirà inevitabilmente sul tavolo del Consiglio europeo, che si riunirà domani e venerdì a Bruxelles.
Sulle barricate ci sono la Polonia e soprattutto l'Ungheria. Merkel ha provato ad addolcire il meccanismo con due correzioni. Innanzitutto ne ha ristretto l'ambito di applicazione, in modo da punire con il blocco dei soldi solo le violazioni dello Stato diritto direttamente legate all'uso dei fondi Ue. Per fare un esempio: istituire zone «vietate ai gay», come ha fatto la Polonia, non diventerebbe un valido motivo per fermare i pagamenti dal bilancio Ue. Berlino ha inoltre modificato l'iter decisionale per decretare lo stop dei fondi, riducendo i poteri della Commissione per trasferirli in parte al Consiglio (con decisione a maggioranza qualificata).
Per andare ulteriormente incontro a Budapest e Varsavia, il governo tedesco ha anche introdotto una sorta di «freno di emergenza», un sistema per consentire ai singoli Paesi di contestare il provvedimento e di sollevare il caso davanti al Consiglio europeo.
LA «DEMOCRAZIA MALATA»
L'Ungheria però non ci sta: «Questo è un ricatto - attacca Judit Varga, ministra della Giustizia -. La proposta tedesca è inadeguata». Proprio ieri il premier Viktor Orban si è scagliato contro la Commissione Ue e ha chiesto le dimissioni della commissaria allo Stato di diritto, Vera Jourova, che aveva definito quella ungherese «una democrazia malata».
Per il ministro Amendola, l'attacco di Orban «complica il clima». Oggi l'esecutivo Ue pubblicherà un report sullo Stato di diritto in tutti i Paesi. Sull'altra riva del fiume, con motivazioni opposte a quelle dei Paesi dell'Est, ci sono i Frugali. Austria, Danimarca, Svezia, ma soprattutto Paesi Bassi e Finlandia, vogliono rafforzare le condizionalità sullo Stato di diritto e considerano troppo debole il compromesso tedesco. Da sempre contrari al Recovery Fund, non vedono l'ora di picconare il piano di aiuti.
O quantomeno di ritardarlo, in modo da ridurre il tempo a disposizione dei Paesi come l'Italia per spendere i soldi. Il partito dei Veri Finlandesi (alleato della Lega a Strasburgo) ha raccolto 50 mila firme per indire un referendum contro il Recovery. Qualche spiraglio si intravede al Parlamento Ue, soprattutto nel gruppo dei popolari e in quello dei socialisti-democratici. Le due famiglie politiche sarebbero pronte ad accettare la proposta tedesca, che però lascia molto scettici i Verdi e i Liberali.
Il problema è che i negoziati sul bilancio con l'Eurocamera si sono arenati in attesa che il Consiglio definisca una posizione sullo Stato di diritto. E resta sempre la distanza sul volume totale del bilancio: i parlamentari chiedono 113 miliardi in più e la fine degli sconti per i Frugali. Senza un accordo non può iniziare il processo di ratifica del Recovery Fund.
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