DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1 - IL MAESTRO E LE BUGIE DEI BAMBINI...
Natalia Aspesi per "la Repubblica"
Una meravigliosa piccina, immagine poetica dell´innocenza, rivela alla direttrice dell´asilo, con le sue confuse parole infantili, che il maestro Lucas le ha mostrato il "pipì": si convocano i genitori, tra l´altro amici del maestro, si fa una piccola riservata inchiesta, altri bambini raccontano le stesse molestie. Attorno al maestro sospettato si fa il vuoto, viene pestato, arrestato, processato: assolto, perché la piccina ha mentito per gelosia e i compagni l´hanno seguita per imitazione.
Non è la storia vera di Rignano, ma il film "La caccia" del danese Vinterberg, a Cannes premio al miglior attore Mads Mikkelsen. Il film sostiene che i bambini sono naturalmente bugiardi, inventano, si piegano all´assedio persecutorio dei genitori confondendo realtà e fantasia. Gli amici riaccolgono Lucas perché credono nella giustizia: ma la sua vita sarà per sempre minacciata. Si è visto a Rignano, come per certi genitori che hanno inflitto ai loro figli anni di tormenti, sia impossibile accettare di aver drammaticamente sbagliato.
2 - RANCORI E I DOLORI DI RIGNANO
Claudio Cerasa per "il Foglio"
"L'ultima precondizione per una caccia alle streghe era l'esistenza di un'atmosfera che aumentasse la paura della stregoneria e spingesse la gente a combatterla. L'ansia poteva essere generata da discussioni sulla stregoneria ma anche, meno direttamente, da vicende economiche, politiche o religiose. Probabilmente, ciò che determinava più comunemente un'atmosfera favorevole alla caccia alle streghe era la discussione pubblica della stregoneria. In molti casi, i sermoni di un predicatore cacciatore di streghe preparavano gli animi dei parrocchiani a cercare le streghe fra i loro comuni conoscenti".
Brian Levack, "La caccia alle streghe in Europa agli inizi dell'età moderna"
La storia di Rignano Flaminio, almeno per questo giornale, comincia la mattina del 25 aprile di cinque anni fa. Sono le nove e trenta, l'anno è il 2007, e le agenzie battono una notizia bomba: "Sei persone sono state arrestate per presunti abusi in una scuola materna di Rignano Flaminio. L'ordinanza è stata notificata a tre maestre, il marito di una di loro, una bidella e un extracomunitario. La denuncia era partita da alcuni genitori. Le vittime, tra i tre e i cinque anni, venivano narcotizzate prima di subire gli abusi".
Un'ora dopo, oltre alla notizia, arrivano anche i dettagli. Le agenzie, a poche ore dall'arresto, riportano alcuni passaggi dell'ordinanza di custodia cautelare e iniziano a offrire i primi particolari su "i mostri", "gli orchi" e "l'asilo degli orrori". Sono le dieci e trenta e le descrizioni fanno davvero paura: "A quanto si apprende da fonti della procura, gli indagati inducevano i bambini nelle loro case a praticare reciprocamente su loro stessi atti sessuali con l'uso di strumenti che venivano inseriti negli organi genitali delle bambine.
In seguito, poi, dopo averli picchiati con alcuni oggetti e aver chiuso loro la bocca con lo scotch, li sottoponevano a giochi sessuali tra loro, facendosi toccare i genitali e altre zone erogene del corpo, effettuando fotografie e riprese dei giochi dei bambini, e costringendoli a tali pratiche sessuali, spesso assai cruente, valendosi anche di iniezioni o inoculazione di narcotici e sostanze varie.
Infine - riferivano sempre fonti della procura - gli indagati effettuavano con i bambini riti di sangue e violenza, con chiari richiami a pericolosi rituali di sette sataniche, e terrorizzandoli anche con l'uso di cappucci, vestiti da diavolo o coniglio nero, e mostrandosi loro, spesso, completamente nudi". La notizia, naturalmente, non passa proprio inosservata: i grandi giornali inviano i loro migliori cronisti a raccontare la storia di Rignano Flaminio, e nei giorni successivi, l'inchiesta, e l'indagine sulle maestre della Olga Rovere, comincia a occupare stabilmente le prime pagine dei quotidiani.
I titoli sono questi: "Violentavano i bambini e li filmavano", "Dovevamo bere il sangue e fare massaggi alle maestre", "I bambini dell'asilo, drogati dalle maestre", "La mia piccola vomitava di notte", "Quei bimbi hanno paura del mondo", "Spuntano nuovi orchi", "Quei pedofili ogni domenica a messa", "Tu scappi, io ti mangio", "Spariscano per sempre", "Bambini drogati e filmati", "Orrore a scuola: ci violentava il diavolo", "L'asilo dei mostri", "Nessuna pietà per gli orchi", "L'incubo durava da un anno", "Il lungo silenzio nel paese dei mostri", "Narcotizzavano i bimbi, poi gli abusi", "Le caramelle per farci dormire", "Quegli uomini incappucciati", "Droga e stupri sui bimbi a scuola", "Anche le donne lo fanno con i loro bimbi", "Mamma, ho visto l'uomo nero".
Sono le 9,15, è lunedì mattina, i sei indagati sono in carcere ormai da tre giorni e a un certo punto della giornata il giovane cronista viene convocato dal direttore. "La storia non torna: leggiti gli articoli, studiati le carte, vai a Rignano, stai una settimana lì, e poi scrivi due pagine". "Ma...".
"Non sai niente, lo so, e quindi capirai tutto". Il giovane cronista, che effettivamente all'epoca capiva di giustizia più o meno come Adriano Celentano di politica, si piazza a Rignano, recupera alcuni numeri di telefono, riceve le carte della procura, ottiene le carte della difesa, inizia a studiare, trova le sue fonti, scrive i suoi articoli; e giorno dopo giorno, cronaca dopo cronaca, a poco a poco si rende conto di quello che stava succedendo in questo piccolo paesino a trentotto chilometri da Roma. Non solo con la semplice storia dell'inchiesta giudiziaria ma anche con tutto quello che girava attorno al racconto, alla narrazione, alla descrizione e persino alla rappresentazione del mondo degli orchi.
"Quando si sentono vicende come questa di Rignano, di maestre che narcotizzano e abusano dei loro piccoli e anche piccolissimi alunni, non si può non evocare la macina di mulino che farebbero meglio a legarsi al collo - e andare poi ad annegarsi - coloro che approfittano di un bambino".
Isabella Bossi Fedrigotti, 25 aprile 2007, Corriere della Sera (prima pagina)
La storia dell'inchiesta di Rignano Flaminio - con i suoi arresti, le sue scarcerazioni, le sue indagini, i suoi incidenti probatori, le sue lacune, le sue contraddizioni e infine con le sue assoluzioni - la conoscete tutti, ormai. Tutto nasce nel luglio del 2006, quando tre famiglie, dopo aver ascoltato alcuni racconti dei propri figli, sporgono denuncia contro alcune maestre della scuola materna Olga Rovere.
Di giorno in giorno, le accuse si moltiplicano: i carabinieri cominciano a installare cimici e telecamere presso la scuola, iniziano a intercettare gli indagati, poi interrogano le maestre, quindi ascoltano una bidella, pedinano un benzinaio e infine, il 25 aprile, su richiesta della procura di Tivoli, arrestano gli "orchi".
Gli orchi fanno dieci giorni di galera, dopo di che una sentenza del tribunale del Riesame di Roma, confermata poi da una successiva sentenza della Cassazione, demolisce l'impianto accusatorio dell'inchiesta (e la relativa ordinanza di custodia cautelare): permettendo agli indagati di uscire di prigione, rilevando l'inesistenza di seri e robusti elementi di riscontro, mettendo in rilievo la possibilità che alcuni adulti, durante le indagini, abbiano influito con domande suggestive sulla spontaneità del racconto dei bambini, e notando, infine, oltre a una forte opera di induzione e di suggerimento nelle risposte dei bambini, la forma profondamente scorretta con cui nella prima fase delle indagini sono state raccolte le testimonianze dei bambini.
Passano alcuni mesi, l'inchiesta va avanti, i bambini - che intanto naturalmente crescono - vengono interrogati dalla procura, e così, nel febbraio del 2010, dopo tre anni di indagini in cui è successo tutto e il contrario di tutto (compreso l'arresto di un benzinaio di colore identificato come "l'uomo di colore con il codino e con la macchina che avrebbe accompagnato i bambini nella casa degli orrori" in seguito alla testimonianza di un genitore, che di fronte agli inquirenti avrebbe ricordato che sua figlia aveva salutato quel benzinaio di colore "con sorrisetti e occhiate da fidanzatina";
e in seguito al racconto di un altro genitore, che ancora di fronte agli inquirenti avrebbe ricordato che di fronte alla pompa di benzina suo figlio si sarebbe rivolto all'uomo di colore urlando "Cattivo, cattivo, uomo nero"; salvo poi scoprire, dopo averlo mandato in carcere per dieci giorni, che l'uomo di colore non aveva il codino, non aveva la macchina, non aveva la patente e soprattutto non c'entrava nulla con l'inchiesta di Rignano), dopo tutto questo, insomma, il gup decide il rinvio a giudizio.
L'inchiesta continua ad andare avanti, gli inquirenti continuano a non avere "robusti" elementi di riscontro e alla fine, eccoci qui, si arriva alla sentenza di primo grado; inaspettata solo fino a un certo punto: tutti assolti, il fatto non sussiste.
"Ho letto i documenti, mi sembra che il comportamento della procura sia giustificato. Le accuse sono fondate, si basano su fatti seri".
Luigi Cancrini, psichiatra, 10 maggio 2007
Al di là dell'inchiesta in sé, dunque, e al di là di un'inchiesta la cui fragilità risultava in fondo più che evidente dalla semplice lettura delle carte giudiziarie, ciò che più di ogni altra cosa colpì l'occhio del giovane e inesperto cronista fu il modo in cui in pochi giorni il caso di Rignano Flaminio si stava trasformando nella metafora perfetta di tutto ciò che fa fatica (eufemismo) a funzionare nello strano mondo della giustizia italiana.
E in effetti, a ripensarci oggi, il caso della scuola Olga Rovere, con le sue indagini, le sue inchieste, le sue perizie, i suoi interrogatori, i suoi arresti, i suoi racconti e la sua relativa caccia alle streghe, conteneva, e contiene, tutti gli elementi utili a osservare da vicino quali sono gli ingredienti che mescolati uno con l'altro ogni tanto danno vita al famoso cortocircuito mediatico giudiziario.
Le indagini difettose. Gli arresti spettacolari. La fragilità di un impianto accusatorio. L'abuso della carcerazione preventiva. L'ossessiva ricerca di un "sistema". Il rapporto tra i giornalisti e le procure. Il (non) rispetto dei diritti degli indagati. E soprattutto, come direbbe Brian Levack, "l'esistenza di un'atmosfera che aumentasse la paura della stregoneria e spingesse la gente a combatterla".
Il giovane cronista, con occhio insieme ingenuo e stupito, si rese conto così, in quei giorni drammatici, che di fronte a un grande caso di cronaca giudiziaria i giornalisti avevano fatto una scelta precisa: osservare le notizie che arrivavano dalla procura, leggere le carte che passavano i magistrati e ascoltare la versione dei fatti dei querelanti senza se e senza ma, senza i condizionali, senza gli "avrebbe", senza i "risulterebbe" e senza quei minimi accorgimenti necessari a ricordare al proprio lettore che la versione dei fatti che emerge quando si riporta la versione dei fatti di una parte è, semplicemente, quella di una parte, e non certo la verità .
Una considerazione forse banale, ok, ma una considerazione e una premessa che diede la possibilità al giovane cronista di raccontare la storia di Rignano Flaminio cercando di spiegare perché, nel paese degli orchi, gli orchi, forse, non erano orchi. "La pedofilia - raccontò in quei giorni al cronista un sociologo con la testa sulle spalle - rappresenta un terreno particolarmente scivoloso per il rapporto tra giustizia e informazione. Non si tratta di fare la morale a qualcuno, figuriamoci, si tratta solo di mettere in evidenza una dinamica giornalistica che di fronte al caso di un presunto abuso sessuale nei confronti di un minore viene particolarmente stressata.
Generalmente, capita con una certa frequenza che voi giornalisti, di fronte a un'inchiesta, vi concentriate più sulla versione dell'accusa che su quella della difesa. E' evidente: un titolo di un giornale, o il tema di una bella trasmissione in prima serata, attizza di più se ci si concentra sullo scandalo e si insiste sull'accusa; mentre perde un po' di consistenza, e di interesse, se quella storia viene ridimensionata dalla versione di chi è in qualche modo oggetto dello stesso scandalo.
Quando si parla però di casi drammatici come quelli che riguardano il reato di pedofilia è come se scattasse un meccanismo perverso che potremmo riassumere con una mezza formula matematica: in Italia, non si sa bene perché, ma la difesa del diritto di un indagato è inversamente proporzionale alla gravità del reato contestato. Insomma, per farla breve, più è pesante il reato per cui sei accusato e meno certezze avrai che i tuoi diritti da indagato saranno rispettati.
La pedofilia, in questo senso, è uno dei reati socialmente più gravi per cui una persona può essere accusata. E in teoria, in casi come questi, considerando l'infamità delle accuse, gli indagati dovrebbero essere più tutelati del solito. In realtà , come abbiamo visto a Rignano, invece, succede esattamente il contrario: si scatena una caccia alle streghe, ci si dimentica di far notare che gli indagati potrebbero anche non essere colpevoli, e alla fine la sentenza viene in qualche modo socialmente e mediaticamente formulata prima ancora che arrivi un grado di giudizio. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: qualsiasi sarà l'esito del processo, chi è convinto che la strega sia una strega non avrà mai pace finché qualcuno non riuscirà a dimostrare che quella strega è davvero una strega".
"Auguro a tutti i pedofili e ai mercanti di innocenza di sparire dalla faccia della terra subito, chiunque siano. Se poi fosse vera quella colpa, che per ora rimane letteralmente incredibile, ai responsabili auguro indifferentemente di morire, di essere ammazzati, con o senza dolore, di provare fino alla morte il senso della sua minaccia. Nessuna pietà ".
Mina, 29 aprile 2007, La Stampa (prima pagina)
Gianfranco Scancarello è una delle cinque persone che a Rignano Flaminio ha passato gli ultimi sei anni della propria vita a difendersi dall'accusa di aver indotto alcuni bambini nella propria casa, "nel castello degli orrori", a praticare atti sessuali, spesso assai cruenti, con l'uso di strumenti che venivano inseriti negli organi genitali delle bambine, e di aver a lungo terrorizzato i bambini anche con l'uso di cappucci, di vestiti da diavolo o di coniglio nero. Gianfranco Scancarello ha sessantuno anni, due baffi molto folti, una faccia piuttosto lunga e due occhi piccoli incorniciati in un viso spigoloso che sarebbe stato un soggetto perfetto per uno dei volti stilizzati di Amedeo Modigliani.
Prima di finire coinvolto nelle indagini e nell'inchiesta e nel processo sugli abusi della scuola materna Olga Rovere, Scancarello era un personaggio televisivo conosciuto: aveva lavorato allo Zecchino d'Oro come autore, aveva condotto alcuni programmi per bambini su RaiUno, aveva ideato un paio di format televisivi per ragazzi (Big e Solletico) ed era infine arrivato a collaborare con i conduttori di "Uno Mattina" e di "Buona Domenica".
Poi, a un certo punto, inizia la storia che conoscete: Scancarello diventa uno degli orchi di Rignano; sua moglie, che si chiama Patrizia del Meglio e che fino a sei anni fa insegnava alla scuola materna Olga Rovere, diventa una delle streghe di Rignano; la loro casa, che Patrizia e Gianfranco avevano comprato vent'anni fa sulla Flaminia, a pochi passi dal bivio tra Rignano e Calcata, e dove erano andati a vivere con i loro quattro figli, diventa improvvisamente la casa dove "i bambini venivano violentati dal diavolo"; e da un giorno all'altro, così, i due prima finiscono sotto indagine, e poi, per dieci giorni, finiscono in isolamento nella sezione G-12 del carcere romano di Rebibbia.
Oggi Gianfranco Scancarello, come gli altri quattro ex indagati di Rignano Flaminio assolti in primo grado quattro giorni fa dal tribunale di Tivoli, con formula piena, si sente naturalmente sollevato. Ma nonostante l'esisto per lui positivo del processo di Rignano non riesce ancora a darsi pace. Scancarello lo incontriamo giovedì mattina a Roma a pochi passi da Ponte Sisto, e con lui, per una buona mezz'ora, proviamo a ricostruire quelli che sono, in qualche modo, i danni collaterali di una caccia alle streghe.
"Vedi: io credo che il mio caso, e naturalmente quello delle maestre di Rignano, a prescindere poi da come sia andato a finire, è la metafora perfetta di quale sia la conseguenza di quel cortocircuito che spesso si crea quando un'inchiesta giudiziaria viene gestita in modo non appropriato, e quando l'informazione attorno a quell'inchiesta viene gestita ancora peggio. Vi faccio un piccolo esempio; un esempio che vale per la mia storia e che mi sento di garantire che vale per tutte quelle persone accusate di qualcosa e condannate prima ancora che un giudice o un tribunale abbia emesso la sua sentenza.
E' inutile che io vi dica che la mia vita, e quella di mia moglie, per non parlare di quella dei miei figli, è stata distrutta dall'oggi al domani, come si dice in questi casi. E badate bene: qui non si tratta soltanto di un'accusa che mi è arrivata addosso senza che io abbia commesso quel reato ma si tratta soprattutto di un timbro di fuoco che è stato stampato sulla mia fronte e su quella di mia moglie e che so che nessun tribunale, e nessuna sentenza, e nessuna assoluzione, potrà mai cancellare del tutto. Pedofilo, sì.
Perché forse chi leggerà questo articolo non si ricorderà di quello che successe quando all'improvviso, dall'oggi al domani appunto, fummo portati in carcere, quando fummo tenuti in isolamento, quando gli altri carcerati ci minacciarono di morte, quando a me dissero âtu da questa cella uscirai in orizzontale e con i piedi verso la porta', quando mia moglie fu picchiata da altre carcerate, quando i secondini si âdimenticarono' per tre giorni di consegnare le pillole salvavita a mia moglie e quando persone che mi volevano bene mi consigliarono per un paio di giorni di non toccare il cibo in cella perché poteva essere avvelenato.
Vedete, io lo so che tutti possono sbagliare, e che anche la giustizia può commettere i suoi errori (anche se sono gravi come quelli che hanno commesso con noi e anche se sono gravi come quelli commessi dagli inquirenti che sapevano perfettamente che, come si dice in gergo tecnico, il fatto non sussisteva, e che non c'erano prove, e che c'era solo un teorema, e che ogni giorno aggiuntivo di caccia alle streghe non avrebbe contribuito a fare giustizia, ma avrebbe semplicemente distrutto le vite di alcune persone che con questa storia semplicemente non c'entravano nulla).
Insomma, sì, capisco tutto, ma dall'altra parte permettetemi di non trovare accettabile che un sistema che sa di essere malato non cerchi in tutti i modi di proteggersi e di sviluppare quegli anticorpi che non servono a difendere solo l'indagato in quanto tale ma che semmai servono a proteggere l'indagato come soggetto giuridico; ché oggi è successo a me, che sono stato accusato di pedofilia senza aver mai capito dove, come, quando e perché questo reato sarebbe stato commesso, ma domani naturalmente può succedere anche a chiunque altro.
Vedete - dice Scancarello, riprendendo fiato e concludendo il discorso - io, tutto sommato, in questi anni sono stato fortunato perché ho continuato a lavorare qua e là , e sono riuscito a mettere da parte qualche soldino per pagare gli avvocati e tutte le spese processuali.
Mia moglie però, così come le altre maestre di Rignano, ha dovuto lasciare il suo lavoro, ha dovuto abbandonare la scuola in cui lavorava da trent'anni, ha dovuto allontanarsi dal suo paese, ha dovuto spiegare ai nostri figli che non è vero che eravamo due pedofili che terrorizzavamo i bambini vestiti da diavolo o da conigli, e ha dovuto accettare, soprattutto, che tutte le istituzioni nelle quali abbiamo creduto per una vita ci chiudessero la porta in faccia. Parlo della giustizia, naturalmente, ma parlo anche della scuola. Perché io, scusate, ma certe cose non le dimentico.
E chi, anche tra le istituzioni, in quei giorni, invece che fare gli interessi di tutti i cittadini, ci condannò, e gettò altro carbone nel rogo che ardeva sotto i nostri piedi, prima ancora che fossimo condannati o assolti da un tribunale, ditemi voi come diavolo faccio a dimenticarlo, o magari a giustificarlo. Ché qui non è solo questione di garantismo o innocentismo o giustizialismo: è solo, e sarebbe stata solo, questione di buon senso".
"Siamo di fronte a comportamenti di gravità inaudita: gli atti non mi esimono tuttavia dal chiedere scusa a tutte le famiglie coinvolte. Sarà ovviamente tolleranza zero nei riguardi di tali ignobili crimini. E oltre ai provvedimenti di sospensione si procederà all'immediato licenziamento dei docenti coinvolti appena la magistratura avrà concluso il proprio operato".
Giuseppe Fioroni, ministro dell'Istruzione, 24 aprile 2007
Una delle cose che in quei giorni di primavera colpì di più il giovane e inesperto cronista fu un'osservazione che alcune persone che ebbero l'occasione di interessarsi agli articoli scritti sul caso di Rignano Flaminio fecero sulla narrazione dell'inchiesta. "Ma quindi tu sei innocentista?". Di fronte a quella domanda, il giovane cronista spesso rispondeva con una formula che aveva imparato ad ascoltare da alcuni colleghi più grandi.
Una formula semplice, buona per tutte le stagioni: "Non sono innocentista, sono semplicemente garantista". In un primo momento, il giovane cronista offriva ai suoi interlocutori quella risposta quasi avesse attivato la modalità default; ma più passava il tempo, e più prendeva dimestichezza con la materia dell'inchiesta, e più il giovane cronista si rendeva conto che dietro a quella domanda apparentemente banale si nascondeva forse il più grande equivoco sul quale misurare lo stato di salute della giustizia italiana.
Per dirla con parole più semplici, quella domanda nascondeva, in un'unica parola, quelli che sono oggi alcuni dei riflessi più pericolosi che si attivano nella testa di molte di quelle persone che per una ragione o per un'altra si ritrovano ad avere a che fare con questa o con quell'altra inchiesta giudiziaria.
"Il sei innocentista?", infatti, è una domanda che sottintende una profonda e distorta convinzione che sia l'indagato a dover dimostrare la sua innocenza, e non che sia l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell'indagato (un processo, questo, detto tra parentesi, che si trova alla radice della ragione per cui alla fine di un'inchiesta resta spesso l'impressione che qualcuno l'"abbia fatta franca", che qualcuno l'"abbia scampata" e che l'imputato assolto, per il semplice fatto di essere stato imputato, non sia innocente ma semplicemente non condannato).
Ma è una domanda che in un certo senso lega anche in modo perverso chi cerca di fare uno sforzo per tutelare e riconoscere i diritti e le libertà fondamentali degli indagati con l'interesse di quegli stessi indagati: col risultato che spesso il garantista che ha a cuore solo i diritti e le libertà fondamentali degli indagati finisce per essere accusato di essere dalla parte degli indagati, e in questo caso, nel caso di Rignano, di essere, oplà , semplicemente dalla parte degli orchi. "Mica sarai un pedofilo anche tu?".
D'altra parte, è vero, il "garantismo" spesso è solo una parola che viene brandita come una clava da una singola parte per giustificare il malaffare della propria parte, e tutti sappiamo che non è raro che i tifosi di un partito o di una squadra abbiano un pregiudizio positivo rispetto alle inchieste che riguardano la propria parte e un pregiudizio negativo rispetto alle inchieste che riguardano la squadra o il partito avversario.
In processi drammatici come quelli legati alla pedofilia, però, il discorso diventa diverso e più complicato, ma di base il meccanismo di valutazione dell'inchiesta non cambia: si tifa sempre per qualcuno; e generalmente, quando il terreno è neutrale, e non c'è nessun amico per cui tifare, si tifa e si urla sempre contro chi si ritrova a passare per primo sotto la gogna. E in questi casi, poi, in casi come quelli legati alla pedofilia, il processo riesce a raggiungere persino dinamiche ancora più perverse: perché il più delle volte ti porta a scegliere da che parte stare non seguendo semplici criteri razionali ma partendo da una domanda drammatica: e tu che fai; credi oppure no a quello che dicono i bambini?
"Probabilmente le maestre d'asilo lo facevano anche per denaro, dal momento che il denaro è diventato l'unico generatore simbolico di tutti i valori e i disvalori della nostra e delle altre culture".
Umberto Galimberti, 25 aprile 2007, Repubblica
Fabrice Burgaud è il nome di uno dei giudici diventati più noti nella storia recente della giustizia francese. Burgaud, qualche anno fa, fu protagonista di un processo sensazionale che occupò a lungo le prime pagine dei giornali transalpini. La storia del processo portato avanti dal giudice Burgaud - storia anche questa legata a un clamoroso caso di presunta pedofilia - si è sviluppata per quattro anni in un piccolo comune di 14 mila abitanti a una manciata di chilometri da Calais, nel nord della Francia.
Il paesino si chiama Outreau, e dal 2001 al 2005 è stato teatro di un clamoroso processo che portò a decine di fermi, diciotto arresti, un processo di primo grado, un processo di appello, un suicidio in carcere e una assoluzione finale, in secondo grado, nel dicembre del 2005. Il processo, che decretò la condanna in primo grado di sei persone, che trascorsero tutte tre anni in galera prima di dimostrare che con quelle accuse non c'entravano nulla, si concluse con venti assoluzioni e un'accurata inchiesta parlamentare, che ai tempi venne trasmessa in prima serata su France 2.
Quel processo, nel corso degli anni, diventò sempre di più il simbolo, o meglio, la metafora di tutti gli effetti perversi che può trascinare con sé un'inchiesta condotta con lo stile di una "chasse aux sorcières" - una caccia alla streghe. Una giustizia che funziona male - era il ragionamento di Florence Aubenas, la giornalista di Libération che per prima in Francia mise in luce le contraddizioni del questo processo - e che ci mette troppo tempo a trovare delle risposte produce solitamente due dinamiche surreali: chi è convinto che un reato ci sia stato, resterà sempre dell'idea che quel reato c'è stato; mentre chi è convinto che quel reato non c'è stato non potrà mai essere del tutto assolto, perché dentro le teste delle persone sarà sempre colpevole, macchiato, per il semplice fatto di essere stato coinvolto in quel tipo di reato.
Il processo di Outreau, in seguito, ispirerà anche la pluripremiata pellicola del regista francese Vincent Garenq, "Présumé coupable", e offrirà materiale utile anche a un altro regista, il danese Thomas Vinterberg, che giusto quest'anno, con il suo "The Hunt", la sua versione cinematografica di una moderna caccia alle streghe, ha visto il protagonista del suo film, Mads Mikkelsen, alzare la Palma d'oro nella sezione migliore attore al Festival di Cannes. "Quando l'emozione popolare - disse anni fa Florence Aubenas al Corriere della Sera - entra nelle aule di tribunale, tutto può succedere.
Nel caso Outreau mancavano prove materiali: c'erano soltanto le accuse dei bambini e degli adulti, ma tutti i riscontri erano negativi: niente nelle intercettazioni, le indicazioni di tempi e luoghi non corrispondevano, nessuna prova del Dna, nulla. Allo stesso tempo però, a Outreau tutti accusavano âgli orchi', e tutti avevano una storia da raccontare contro di loro. Fu un linciaggio: in tanti in paese temevano di essere arrestati, e si era creata un'atmosfera di panico tale per cui accusare gli altri diventava un modo per sottolineare la propria innocenza.
Purtroppo però la lezione di Outreau non è servita a molto, e alla fine da questa vicenda non abbiamo imparato nulla; perché di fronte a qualcosa che è percepito come il male assoluto - può essere la pedofilia, il terrorismo, lo spaccio di droga - quando si creano dei âmostri', già per il semplice fatto di averli creati, la frittata e fatta, e tutto diventa possibile, e la storia si ripete all'infinito.
Almeno però, in Francia, una scelta è stata fatta". Una scelta, già . Una scelta che con il caso Outreau portò un giudice, un pm, un ministero della Giustizia e un presidente della Repubblica a presentarsi di fronte a una telecamera e a scandire una delle tante parole che forse continueremo a non sentire ragionando intorno a casi come di Rignano Flaminio. Una parola semplice, che in francese suona più o meno così: pardon.
locandina caccia vinterbergscuola materna olga rovere Le maestre Silvana Magalotti e Marisa Pucci dopo la scarcerazione Il marito di Marisa Pucci abbraccia il fratello di Silvana Magalotti Bimbi nell asilo di Rignano Flaminio h partb TRIBUNALE TIVOLI ATTESA SENTENZA SU ASILO RIGNANO Bimbi nell asilo di Rignano Flaminio h partb LA PORTAVOCE DEI GENITORI DI RIGNANO L AVVOCATO PIETRO NICOTERA FUORI DAL TRIBUNALE DI TIVOLI rignano romano asiloSCRITTE SUI MURI SULL ASILO DI RIGNANO jpegrignano romano asilo1scancarelloISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI DURSOluigi-cancriniMina in Posa Patrizia Del MeglioSCARCERAZIONE DELLE MAESTRE DI RIGNANO FLAMINIO GIUSEPPE FIORONI Umberto Galimberti
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