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INCONTRI RAVVICINATI CON CICCIO KIM - ORE D’ATTESA, PERQUISIZIONI E ALL’IMPROVVISO SI È AMMESSI NELLA SALA DEL CONGRESSO - L’INVIATO DEL ''CORRIERE'' RIESCE A INCONTRARE KIM JONG-UN E L'UNICA COSA DI CUI PARLA E' LA SICUREZZA: “PERCHÉ QUESTI CONTROLLI OSSESSIVI? DI COSA HA PAURA KIM JONG-UN?” (TUTTO QUI? MANCO 'NA NOTIZIA?)

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Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”

 

In questi giorni avevo visto Kim Jong-un alla tv di Stato per tre ore di seguito, mentre teneva il discorso-proclama al Settimo Congresso del Partito dei Lavoratori: alla fine aveva la voce roca. Ho incontrato Kim Jong-un in una serie impressionante di ritratti e mosaici appesi in fabbriche, scuole, musei appositi, ogni sorta di edificio di Pyongyang.

 

Per essere ammesso al cospetto del leader e ammirarlo in azione dal vivo, nell’esercizio delle sue funzioni di Rispettato Maresciallo appena nominato anche Presidente del Partito, ieri sono state necessarie due ore e mezza buone di controlli di sicurezza: quattro check-point, con metal detector, raggi e perquisizioni varie.

 

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Erano giorni che chiedevamo di poter vedere in carne e ossa Kim Jong-un e sabato c’era stato un primo tentativo: appuntamento al Palazzo della Cultura del Popolo. Anche se nessuno dei funzionari nordcoreani aveva avuto il coraggio di pronunciare il nome di Kim, al gruppetto di giornalisti stranieri invitati era stato «suggerito» di vestirsi in «modo appropriato». L’ingresso dell’edificio maestoso profumava singolarmente di popcorn. Un’ora di anticamera poi improvvisamente il contrordine, senza alcuna spiegazione tutti via.

 

Due del pomeriggio di ieri, il funzionario del ministero degli Esteri che ci accompagna dice che è il caso di rimettersi la cravatta: si ritenta. Il gruppetto di giornalisti è ulteriormente ridotto. Siamo di nuovo al Palazzo della Cultura del Popolo: intorno decine di ufficiali dell’esercito. Primo controllo all’esterno: niente telefoni, bisogna consegnarli. Si entra e questa volta l’attesa è in una saletta, invece che nell’atrio. Non si sa ancora chi potremo-dovremo vedere.

 

I giornalisti vengono chiamati uno alla volta: per primo l’inviato della Cnn , e sembra un riguardo dovuto alla consuetudine della rete americana in Nord Corea. Arriva il turno del Corriere della Sera e si scopre che dopo questa stanza si deve entrare in un’altra, per un nuovo controllo e siamo tutti lì ad aspettare, compresa la Cnn .

 

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Si passa sotto un metal detector da aeroporto, niente scarpe, e ci si consegna a un tipo che sembra un cattivo da film di 007. Impugnando come un randello un rilevatore di oggetti e sostanze sospetti, il tipo inespressivo ha cominciato a mostrare allarme per il taccuino degli appunti: lo ha rigirato tra le mani come se fosse stata un’arma segreta, lo ha scosso, lo ha fatto cadere.

 

Poi la penna biro, poi gli occhiali da vista che ha quasi stritolato, i biglietti da visita scovati con sconcerto nella tasca della giacca sono stati spiegazzati con cura per assicurarsi che non fossero lame assassine. Non contento ha passato una a una le mie carte di credito con il rilevatore (sono sicuro che le ha smagnetizzate tutte) e poi ha chiesto che cosa fossero: «Money, good capitalism», gli ho spiegato.

 

Finita questa procedura ci fanno uscire dal palazzo e sembra una nuova beffa. Si risale su un pullmino scortato da auto della polizia. Agli incroci delle strade di Pyongyang bande musicali festeggiano l’ultimo giorno del Congresso «epocale».

 

Arriviamo alla Casa della Cultura 25 Aprile, il palazzo dove è riunito il vertice del Partito-Stato. Ancora sicurezza da stato d’assedio: ci invitano a salire di corsa la scalinata e in cima un altro passaggio sotto i metal detector. Si sono fatte le 5 del pomeriggio e siamo in un’ennesima saletta ad aspettare.

 

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Perché questi controlli ossessivi? Di che cosa ha paura Kim Jong-un che da quando è salito al potere a fine 2011 ha apparentemente purgato il regime da ogni elemento sospetto? Viene in mente il film The Interview , la parodia surreale nella quale la Cia incarica due giornalisti di assassinare Kim durante un’intervista a Pyongyang.

 

Un collega cinese, corrispondente qui da anni dice che controlli analoghi a quelli a cui siamo stati sottoposti noi toccano a tutti al cospetto di Kim, compreso il primo ministro, eccetto «the big one».

 

Si esce dalla saletta e attraverso corridoi con pareti di marmo che esibiscono quadri e foto dei tre membri della dinastia Kim, si passa in un salone vastissimo con una parete rossa lunga 50 metri e alta 10: al centro i volti sorridenti e in altorilievo di Kim Il-sung, fondatore del Partito e della Repubblica e del figlio Kim Jong-il, i predecessori di Kim Jong-un.

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Sono le 17.30 e finalmente si entra nell’emiciclo del Congresso, il 7° nella storia e il primo da 36 anni. Siamo in piedi quasi al centro del primo livello della platea. Davanti a noi il tavolo della presidenza con 17 sedie ancora vuote. I 3.467 delegati aspettano in silenzio, l’ala destra è occupata dai circa 800 militari del gruppo dirigente. Entra Kim Jong-un: tutti scattano in piedi e applaudono freneticamente, cominciano a scandire «Manse!» (lunga vita).

 

L’ovazione è proseguita per minuti, fino a quando Kim si è seduto e ha cominciato a segnalare che poteva bastare, con gesti delle mani compiaciuti. Ancora ovazioni. Allora Kim ha fatto segno a quelli che gli stavano di fianco, gli eletti del Politburo, muovendo le mani con una certa impazienza. Alla sua sinistra un generale ha cominciato a scrutare gli altri, e i 16 del Politburo si scrutavano e prendevano tempo, nessuno aveva il coraggio di sedersi per primo. Alla fine si sono mossi tutti insieme.

 

Kim Yong-nam, il capo dello Stato della Repubblica nordcoreana (ruolo onorifico), ha annunciato il risultato del Congresso: Kim Jong-un, che era Primo segretario, è promosso presidente del Partito del Lavoratori. La nomina sarà celebrata oggi con una parata di centomila figuranti con torce accese.

 

Incontro «ravvicinato» con Kim finito. È il massimo di accesso al leader concesso dal protocollo nordcoreano.

 

 

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