DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Francesco De Dominicis per “Libero Quotidiano”
Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi. Francesco Giavazzi e Guido Tabellini. Stefano Fassina e Oskar Lafontaine. E ancora: i Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen. Olivier Blanchard e Frits Bolkestein. Alcuni sono usciti allo scoperto già da qualche anno; altri, invece, hanno cambiato idea in tempi più recenti.
Sono i cosiddetti «pentiti» dell' euro: grandi sostenitori della moneta unica della prima ora che, tuttavia - a distanza di 14 anni dalla sua entrata in circolazione e a 18 anni dai trattati europei che l' hanno creata - si ricredono, tornano sui loro passi e avanzano più di un dubbio sulla valuta del Vecchio continente.
Pochi, per la verità, suggeriscono di sbarazzarsi dell' area euro, smentellandola. Nessuna uscita di massa, insomma. La maggior parte dei «pentiti», pur condividendo la diagnosi e cioè il sostanziale fallimento del progetto dell' unione monetaria, ritiene che la soluzione sia in un passo in avanti, sia sul piano politico (con la nascita degli Stati Uniti d' Europa, con un modello federativo mutuato dagli Usa) sia sul versante dell' integrazione economica (in particolare per quanto riguarda il fisco).
Puntano il dito contro il «germanocentrismo» (anche il saggista Roberto Sommella, intervistato ieri su queste colonne, ha preso di mira lo strapotere di Berlino) e soprattutto contro le regole sulla finanza pubblica, troppo rigide specie in una fase di crisi e recessione che avrebbe bisogno di flessibilità per dare fiato alla ripresa economica. E invece, i governi dei paesi membri hanno fatto i conti con austerity e rigore, i due pilastri dei trattati di Maastricht così pesanti da soffocare la crescita.
Gli europentiti non sono una novità dell' ultim' ora, dicevamo. Certo, mentre il dibattito sull' euro s' infiamma, non solo nel nostro Paese (dove fa discutere la campagna di Libero che raccoglie firme per un referendum), fa una certa impressione mettere in fila tante voci critiche. Pezzi da novanta delle istituzioni, premi Nobel, economisti, politici e gli stessi «padri» della moneta unica.
È il caso di Romano Prodi, premier italiano negli anni in cui la valuta europea prendeva forma, col cambio fissato a 1.936,27 lire. «Con l' euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più» diceva l' ex presidente del consiglio nel 1998 per far ingoiare il progetto agli italiani.
Negli ultimi anni, tuttavia, si è ricreduto. Non solo ha sentenziato che «la Germania grazie all' euro è la nazione di gran lunga più potente d' Europa», ma ha pure auspicato «un asse tra Francia, Italia e Spagna, capace di condizionare i tedeschi e imporre una diversa politica economica».
A fianco di Prodi c' era Carlo Azeglio Ciampi come ministro del Tesoro, poi al Quirinale dal 1999 al 2006. L' ex presidente della Repubblica, la scorsa settimana, in una intervista al Messaggero, ha spiegato che «serve un rilancio ideale sul versante dell' Unione politico-economica, altrimenti le stesse fondamenta dell' Ue sono a rischio».
Ciampi ha parlato di «un' Europa a più velocità», dunque con due valute al posto dell' euro. «È ovvio che l' impresa è ardua, ma forse è arrivato il momento» ha detto.
Non aveva un ruolo di primo piano, in quegli anni, Stefano Fassina. Ma l' ex responsabile economico del Partito democratico era tra i fan dell' euro. Oggi non più. In più occasioni, Fassina, negli anni più recenti, ha detto che «l' euro è il tassello di una linea di politica e economica che non funziona e che sta portando l' Eurozona al naufragio. Come dimostra la Grecia, non ci sono le condizioni politiche per una correzione della rotta economica. Non è un problema dell' Italia o della Grecia. È un problema di tutti. Anche della Francia e della Germania». E ancora: «L' euro non solo non ha avvicinato i paesi, ma anzi li ha allontanati. Ha divaricato le opinioni pubbliche degli Stati. L' integrazione politica è stata minata dall' euro stesso». Come dire: tutto da rifare, finora è stato un clamoroso disastro.
Meno severi, ma in ogni caso con una visione profondamente riformatrice, parecchi economisti internazionali. Un gruppo di cui fanno parte anche gli accademici italiani Francesco Giavazzi e Guido Tabellini ha sottoscritto un documento, lo scorso novembre, col quale è stata lanciata la proposta di un sostanziale ripensamento (in inglese «rebooting» cioè riavvio) dell' unione monetaria, anche per mettere in campo strumenti indispensabili per far fronte a eventuali, future crisi.
Fuori dei confini nazionali, la voce più critica è quella di Oskar Lafontaine, dirigente socialista tedesco. Costui è stato uno dei fondatori dell' area euro, da ministro delle finanze della Germania. La realtà lo ha portato a cambiare nettamente posizione.
E recentemente ha scritto che «è necessario abbandonare l' euro, tornare in maniera ordinata alle monete nazionali e realizzare un sistema flessibile e concordato di cambi in Europa. Lafontaine, come risulta da un articolo pubblicato sulla rivista Micromega, vorrebbe che i paesi più deboli possano svalutare per riguadagnare competitività di fronte alla potenza dominante tedesca e quindi tornare a crescere.
Nelle file dei «pentiti», come accennato, figurano pure i Nobel. Di Joseph Stiglitz («l' euro flessibile, con due monete per Nord e Sud, è l' unica risposta per salvare il progetto Europa») questo giornale ha riferito ampiamente nelle scorse settimane.
L' altro «ribelle» è Amartya Sen, secondo il quale «l' euro sta rovinando l' Europa: «Sono stato contrario all' euro per motivi di tempistica. L' unione monetaria avrebbe dovuto essere adottata dopo l' unione fiscale e politica e non prima di questa. Saltando lo scalino, invece, gli Stati ancora nazionali hanno perso il controllo sulla propria politica monetaria».
Guarda di traverso l' euro anche Olivier Blanchard: a giudizio dell' ex capo economista del Fondo monetario internazionale, nemmeno l' unione fiscale e una istituzione politica con più poteri sarebbero in grado di risolvere i problemi della moneta unica.
E poi c' è Frits Bolkestein. Ministro olandese e commissario Ue dal 1999 al 2004, proprio mentre l' euro entrava nelle tasche dei cittadini europei: oggi Bolkestein avanza, come altri, l' ipotesi di due valute distinte, ricetta per evitare la completa disintegrazione della moneta unica. «I paesi in crisi si sono preoccupati molto di più della redistribuzione degli aiuti europei che di promuovere la loro competitività: il patto di stabilità è fallito». E se lo dice lui.
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