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1 - LA METAMORFOSI DI SAVONA CHE ADESSO NON ESCLUDE LE DIMISSIONI
Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
SERGIO MATTARELLA PAOLO SAVONA GIUSEPPE CONTE
«A questo punto non bisogna cambiare soltanto la manovra». Ormai s'è trasformato in una specie di star della Rete, ogni spiffero che arriva da lui genera clic su clic, su Twitter dilaga anche se lui non twitta, su Facebook anche se lui non «posta», forse persino su Instagram anche se non si mette in mostra.
Lo propongono indifferentemente per la segreteria del Pd o la guida di un governo tecnico, ne esaltano le retromarce, «Savona-Rola», «Indietro Savona» e via dicendo. Dietro il Savona 2.0, però, c'è l'originale, Paolo Savona, l'uomo che ha spiegato ai colleghi che «a questo punto bisogna cambiare anche il governo, non solo la manovra».
È l' impossibile che diventa possibile, il clamoroso al Cibali, l'imponderabile che confonde la mente. L'uomo che spaventava Bruxelles, l' estensore del piano B dell' uscita dall' euro, il teorico del «cigno nero», la personificazione di tutti gli incubi veri o presunti di un' Italia da indirizzare verso una versione tricolore della Brexit si trasforma nel principe dei «responsabili». In colui che s' è convinto che i rischi di uno scontro con l' Europa sono superiori alle opportunità. Talmente convinto dall' essere di fatto il primo ministro del governo Conte ad aver messo sul tavolo nientemeno che l' ipotesi delle dimissioni.
Perché Savona pensa questo, ormai. Che il governo vada cambiato. «Credimi, Matteo. Un conto è che certe cose le leggi sui giornali. Altre cose è sentirle dal diretto interessato. Per Savona, insomma, siamo al capolinea», spiegava l'altro giorno uno dei ministri leghisti a Salvini in persona. E Salvini, gelido: «Lo so, ci ho parlato».
Persino le tante malelingue di Palazzo, che nelle settimane passate avevano iniziato a far passare i mugugni di Savona per un tentativo di accreditarsi a sostituire Giovanni Tria al ministero dell'Economia, sono spiazzate. Certo, il rapporto tra il titolare delle Politiche comunitarie e l'uomo che lui stesso aveva indicato per via XX settembre s'è incrinato. E, per usare l' efficace sintesi che un ministro attribuisce a Conte in persona, «Tria s'è tramutato in Savona e Savona in Tria».
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
L'eterodosso professore vicino al centrodestra e amico di Renato Brunetta s'è trasformato nel custode dell'ortodossia gialloverde, pronto a trattare fino all'ultimo pur di non toccare la manovra. E il custode dell'ortodossia gialloverde - l'uomo del «non esiste l'Europa ma solo una Germania circondata da pavidi», il granitico assertore che «quelli che oggi si dicono europeisti sono solo anti-italiani» - diventa una specie di cavallo di Troia europeista spuntato come un fungo all' interno di Palazzo Chigi. E dire che dopo l'estate, quando Tria aveva frenato sul reddito di cittadinanza, al primo consiglio dei ministri Savona l'aveva punzecchiato.
«Professor Tria, che cosa dicono i suoi amici in Europa?». Ora è tutto diverso. A centosettantacinque giorni dalla nascita del governo, che stava per non nascere proprio per il braccio di ferro tra Salvini e il Colle sul suo nome, Savona sembra sventola bandiera bianca per tutti.
Su un punto amici e detrattori sono d'accordo. Savona sta giocando una partita «alla Cossiga», si mormora a Palazzo evocando genio e sregolatezza degli ultimi vent'anni di vita dell' ex presidente della Repubblica, che il ministro ha sempre considerato, l'altro era Guido Carli, uno dei suoi due maestri. E di Cossiga, ieri l'altro, Savona ha citato una frase: «L'economia è un grande imbroglio politico». Chi lo conosce bene giura che abbia previsto per gennaio, quando ci saranno le aste Btp più importanti, il «momento più delicato» per l'Italia. Ecco, in «quel momento più delicato» lui non ci sarà. O riesce a scongiurarlo prima, non si sa come. Oppure lo guarderà da lontano.
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
2 - IL SILENZIO DI SAVONA AGITA IL GOVERNO
Ignazio Mangrano per “la Verità”
Se decidi di andare alla guerra, dovresti andarci con un esercito compatto, con una strategia efficace e pienamente condivisa, e senza liti nel comando militare. Di tutta evidenza, l'Italia è stata trascinata dalla Commissione Ue in una contesa (più politica che tecnica) che durerà molti mesi, e sarà carica di incertezze. Purtroppo però, per il momento, non è ancora chiaro, al di là delle prime risposte fornite dal governo, quali siano le carte che l' esecutivo intenda effettivamente giocare, salvo la questione degli investimenti in infrastrutture.
GIUSEPPE CONTE NELLE VILLE CASAMONICA
Sono invece evidenti i dissapori e le tensioni, non solo le differenze tutte politiche già emerse nei giorni scorsi tra Lega e 5 stelle. In ogni caso, la prima carta da giocare si conosce, ma non la si può gridare ai quattro venti. È infatti abbastanza chiaro che le misure più onerose incluse nella manovra (l' intervento sulle pensioni e il reddito di cittadinanza) possano essere modulate in molti modi, e saranno realisticamente diluite nel tempo, a maggior ragione in considerazione dei veicoli legislativi (non ultraveloci) che sono stati prescelti: insomma, non scatteranno il 1° gennaio.
Questo vuol dire che, spostando l'operazione in avanti di qualche mese, è davvero possibile risparmiare almeno tre dei miliardi teoricamente stanziati, e quindi restare sotto l'asticella del 2,4% , in termini di rapporto deficit/Pil. Il problema è che annunciare la dilazione in modo esplicito sarebbe elettoralmente costoso: ma è auspicabile che - almeno a porte chiuse - il ministro Giovanni Tria sia stato chiaro al riguardo con i suoi interlocutori europei
La seconda carta ha a che fare con la Costituzione, che non impone il «pareggio di bilancio», come si continua a leggere qua e là, ma un meno rigido e ossificato «equilibrio di bilancio». Non è una distinzione di lana caprina: la seconda formula offre ai governi un margine di manovra che è stato sempre sfruttato.
Non a caso, nelle ultime quattro leggi di bilancio (targate Renzi e Gentiloni), il rapporto deficit/Pil è stato del 3, del 2.6, del 2.5 e del 2.4%. Non si vede dunque perché il 2.4 di quest' anno debba creare scandalo. La terza carta ci sarebbe, ma - inutile nasconderlo - è una cartina tornasole delle tensioni, dicono alcuni tutt' altro che sopite, tra il ministro Tria e molti altri membri dell' esecutivo, a partire dal più autorevole, il ministro Paolo Savona.
Nel negoziato con l' Ue potrebbe infatti essere decisivo valorizzare il tema degli investimenti, su cui Savona ha pubblicamente espresso opinioni forti e coraggiose. Ma il Corriere della Sera attribuisce all' economista anche altre, di opinioni: «Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com' è non va più bene: è da riscrivere». Non risulta che al momento vi siano state smentite da parte dell' interessato. Ma cos' è che non può andare avanti? E in che direzione la manovra è da riscrivere? In attesa di un chiarimento dell' interessato, non c' è certezza.
paolo savona col suo libro (1)
La quarta carta ha a che fare con gli immobili. Nella sua risposta a Bruxelles, il governo ha molto valorizzato l' ipotesi di procedure di valorizzazione e vendita di immobili pubblici, di asset di real estate da mettere sul mercato. Ma non si sa molto di lavori preparatori al riguardo: mesi fa circolò un documento di pregio, ma non risulta un lavoro intenso del governo sul dossier.
È noto che attività di quel tipo (valorizzazione e vendita) non si improvvisano, e non hanno tempi brevi. Anche su questo punto occorrerebbe chiarezza. E se il silenzio di Savona va interpretato come una forma ripicca nei confronti di Tria, forse va detto che la strategia è quanto meno rischiosa.
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