BLACK BLOC TALK - “MACCHÉ 500, ERAVAMO DUE-TREMILA” - “GLI ALTRI MANIFESTANTI DEL CORTEO CI HANNO CAPITO E POI APPOGGIATO” - “UN PENSIONATO DEI COBAS RIEMPIVA LE SPORTE DI SAMPIETRINI E CE LE PORTAVA IN PRIMA LINEA” - “SIAMO ANDATI IN GRECIA E IN VAL DI SUSA A FARE IL ‘MASTER’ DI GUERRIGLIA URBANA PER IMPARARE A SFASCIARE TUTTO. ABBIAMO LASCIATO UN FURGONE A SAN GIOVANNI PIENO DI ARMI RUDIMENTALI PRONTE ALL’USO. ABBIAMO IMPARATO DAI REPARTI CELERE”…

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1 - PARLANO I BLACK BLOC: "I CORTEI PACIFICI NON SERVONO. NOI ISOLATI? CAZZATE"

Andrea Casadio per il "Fatto quotidiano"

"Voi non avete capito un cazzo. Non volete capire. Ci chiamate black bloc, dite che siamo pochi, che siamo isolati e che il resto del corteo non ci voleva. Cazzate!", mi dice Marco F. un diciassettenne romano in felpa nera. "Eravamo più di mille fin dall'inizio, dentro il corteo. E siamo diventati sempre di più. Due-tremila. Anche gente comune, che prima stava a guardare, quelli che prima ci urlavano "smettetela, il corteo è pacifico, ci feriranno e sarà colpa vostra, state rovinando tutto! Poi hanno capito".

"E sai perché?" prosegue Jacopo G., un ragazzetto di quindici anni con la maglietta della Roma addosso, che frequenta il liceo Virgilio, quinta ginnasio. "Perché la polizia caricava, aveva bloccato tutto. A San Giovanni era guerriglia pura. Se eri pacifico o se volevi fare a botte, le cariche te le prendevi comunque. Allora la gente ha cominciato ad aiutare i manifestanti. C'era chi portava le pietre, i Cobas hanno spento la musica perché sennò gli studenti non sentivano le cariche della polizia, altri portavano secchi d'acqua per spegnere i lacrimogeni, uno col pennarello s'era disegnato una croce rossa sulla maglia e soccorreva i feriti. Un pensionato dei Cobas, avrà avuto sessant'anni, riempiva le sporte di sampietrini e ce le portava in prima linea.

Ho visto un disabile che riempiva la carrozzina di sassi come una carriola, e ce li distribuiva. Altri ci dicevano: ‘Mostrate il volto, e fate gli scontri senza caschi o passamontagna perché siamo indignati! Non ci importa se ci schedano o no, non dobbiamo avere paura!' Non ci dicevano più di smetterla, ora ci appoggiavano proprio".

"Vuoi sapere perché la rabbia è tanta e crescerà?". Mi spiega Gabriele P., un compagno di scuola di Jacopo, che ha la fidanzatina al fianco. "Io ho sedici anni. Vivo a Palmarola, periferia nord di Roma. A fine luglio non avevamo più da mangiare. I miei non reagiscono, non fanno nulla, ma io vado a ogni manifestazione, faccio parte di un collettivo autonomi. Sai com'è il mio futuro? Sarò precario e farò fatica a trovare lavoro. Ci dicono che non ci sono soldi per i salari poi danno miliardi di euro alle banche che hanno la colpa della crisi?".

Eccoli qua, tre di quei black bloc che hanno devastato Roma sabato scorso. Sono tre fanciulli imberbi che appartengono a famiglie della media borghesia romana. Indignados, violenti, questi tre minorenni? Stenti a crederlo. Eppure hanno una lucidità, una rabbia innocente e determinata che sconcerta.

Gabriele prosegue il suo racconto. "Ci stavamo preparando da tempo. Avevamo fatto assemblee a Bergamo, a Milano, a Torino e da altre parti per preparare la guerriglia. Piccole rappresentanze di dieci persone da ogni città si riunivano, decidevano i piani e poi li comunicavano al resto di noi, a voce o attraverso internet. Quelli di Lecce e di Bari sono andati in Grecia, per farsi spiegare come agire, nella guerriglia. Io ero in Val di Susa, mi sono addestrato lì."

Jacopo racconta: "Alle sei, avevo già chiamato mia madre che mi diceva di andare via. Stavo raccogliendo qualcosa, non ricordo, mi sono visto venire addosso un blindato che m'ha preso in pieno. Ho fatto un volo di due metri e sono finito sul marciapiede. Ero ferito, con la gamba spezzata. Mi hanno soccorso otto neri incappucciati, mi hanno tolto la scarpa, caricato su un'ambulanza con altri quattro e portato all'ospedale. Uno aveva un sampietrino sulla testa, una ragazza s'era beccata una manganellata sulla faccia, anche se aveva le mani alzate. In ospedale il medico ha impedito ai carabinieri di schedarmi.

E se il blindato mi ammazzava?". "Ci poteva scappare il morto!," urla Marco, il più bellicoso dei tre. "Come Carlo Giuliani. Io manco me lo ricordo. Avevo sei anni. L'hai vista la foto di quello che lancia l'estintore? Come a Genova, paro paro. Io quello lo conosco. È uno dei No Tav, un torinese. Ha fatto bene. Un corteo pacifico non serve a niente, se ti scontri con la polizia forse capiscono qual è il tuo disagio. Tutte le rivoluzioni sono violente. Il 15 ottobre è stata una svolta. Abbiamo messo i piedi in testa alla polizia. Succederà ancora".


2 - IL BLACK BLOC SVELA I PIANI DI GUERRA "CI SIAMO ADDESTRATI IN GRECIA LE ARMI ERANO NASCOSTE IN PIAZZA" - UN DUCATO COME CAVALLO DI TROIA: "COSÌ ABBIAMO BEFFATO LA POLIZIA"
Carlo Bonini e Giuliano Foschini per "la Repubblica"

F. è un "nero". Ha 30 anni all´anagrafe, una laurea, un lavoro precario e tutta la rabbia del mondo in corpo. Sabato le sue mani hanno devastato Roma.

E lui, ora, ne sorride compiaciuto. «Poteva esserci il morto in piazza? Perché, quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?».

Non i poliziotti o i carabinieri a 1.300 euro al mese su cui vi siete avventati, magari. Non quelli che pagano a rate le macchine che avete bruciato. Non il Movimento in cui vi siete nascosti.
«Noi non ci siamo nascosti. Il Movimento finge di non conoscerci. Ma sa benissimo chi siamo. E sapeva quello che intendevamo fare. Come lo sapevano gli sbirri. Lo abbiamo annunciato pubblicamente cosa sarebbe stato il nostro 15 ottobre. Ora i "capetti" del Movimento fanno le anime belle. Ma è una favola. Mettiamola così: forse ora saranno costretti finalmente a dire da che parte stanno. Ripeto: tutti sapevano cosa volevamo fare. E sapevano che lo sappiamo fare. Perché ci prepariamo da un anno».

Vi preparate?
F. sorride di nuovo. «Abbiamo fatto il "master" in Grecia».

Quale "master"?
«Per un anno, una volta al mese, siamo partiti in traghetto da Brindisi con biglietti di posto ponte, perché non si sa mai che a qualcuno viene voglia di controllare. E i compagni ateniesi ci hanno fatto capire che la guerriglia urbana è un´arte in cui vince l´organizzazione. Un anno fa, avevamo solo una gran voglia di sfasciare tutto. Ora sappiamo come sfasciare. A Roma, abbiamo vinto perché avevamo un piano, un´organizzazione».

Quale organizzazione avevate?
«Eravamo divisi in due "falangi". I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour. Altri 300 li proteggevano alle spalle, per evitare che il corteo potesse isolarli. L´ordine che avevano i 300 era di non tirare fuori né caschi, né maschere antigas, né biglie, né molotov, né mazzette fino a quando il corteo non avesse girato largo Corrado Ricci.

Non volevamo scoprire con gli sbirri i nostri veri numeri. E volevamo convincerli che ci saremmo accontentati di sfasciare via Cavour. Ci sono cascati. Hanno fatto quello che prevedevamo. Ci hanno lasciato sfilare in via Labicana e quando ci hanno attaccato lì, anche la seconda falange dei 300 ha cominciato a combattere. E così hanno scoperto quanti eravamo davvero. A quel punto, avevamo vinto la battaglia. Anche se loro, gli sbirri, per capirlo hanno dovuto aspettare di arrivare in piazza San Giovanni, dove abbiamo giocato l´ultima sorpresa».

Quale?
«La sera di venerdì avevamo lasciato un ducato bianco all´altezza degli archi che portano in via Sannio. Dentro quel Ducato avevamo armi per vincere non una battaglia, ma la guerra. Il resto delle mazze e dei sassi lo abbiamo recuperato nel cantiere della metropolitana in via Emanuele Filiberto».

Sarebbe andata diversamente se avessero caricato subito il corteo in largo Corrado Ricci e vi avessero isolati.
«Non lo hanno fatto perché, come ci hanno insegnato a fare i compagni greci, sono stati confusi dal modo in cui funzionano le nostre "falangi"».

Come funzionano?
«Siamo divisi in batterie da 12, 15. E ogni batteria è divisa in tre gruppi di specialisti. C´è chi arma, recuperando in strada sassi, bastoni, spranghe, fioriere. C´è chi lancia o usa le armi che quel gruppo ha recuperato. E infine ci sono gli specialisti delle bombe carta. Organizzati in questo modo, siamo in grado di assicurare un volume di fuoco continuo. E soprattutto siamo molto snelli. Ci muoviamo con grande rapidità e sembriamo meno di quanti in realtà siamo».

È la stessa organizzazione con cui funzionano i reparti celere.
«Esatto. Peccato che se lo siano dimenticato. Dal G8 di Genova in poi si muovono sempre più lentamente. Quei loro blindati sono bersagli straordinari. Soprattutto quando devono arretrare dopo una carica di alleggerimento. Prenderli ai fianchi è uno scherzo. Squarci due ruote, infili un fumogeno o una bomba carta vicino al serbatoio ed è fatta».

Parli come un militare.
«Parlo come uno che è in guerra».

Ma di quale guerra parli?
«Non l´ho dichiarata io. L´hanno dichiarata loro».

Loro chi?
«Non discuto di politica con due giornalisti».

E con chi ne discuti, ammesso che tu faccia politica?
«Ne discuto volentieri con i compagni della Val di Susa».

Sei stato in val di Susa?
«Ero lì a luglio».

A fare la guerra.
«Si. E vi do una notizia. Non è finita».

 

BLACK BLOC A ROMABLACK BLOC IN AZIONE A ROMA INDIGNADOS A ROMASCONTRI A PIAZZA SAN GIOVANNIINDIGNADOS A ROMASCONTRI A PIAZZA SAN GIOVANNISCONTRI A PIAZZA SAN GIOVANNISCONTRI A PIAZZA SAN GIOVANNIINDIGNADOS A ROMASCONTRI NO TAV IN VAL SUSA SCONTRI NO TAV IN VAL SUSA SCONTRI NO TAV IN VAL SUSA PROTESTE ATENEPROTESTE AD ATENE GRECIA