SINISTRATI SENZA SPERANZA - COL GOVERNO ALLA FRUTTA IN QUALUNQUE PAESE IL PIÙ GRANDE PARTITO D’OPPOSIZIONE FAREBBE FESTA, MA DA NOI IL PD RIESCE A SCAZZARSI SU TUTTO E UNO SCONSOLATO CULATELLO BERSANI È COSTRETTO A SUBIRE ANCHE UNA RICHIESTA DI DIMISSIONI NIENTEMENO CHE DAL PRODIANO PARISI! - VOTO O GOVERNO D’EMERGENZA? REFERENDUM SÌ O NO? - TUTTI CONTRO TUTTI IN DIREZIONE: “SE ANDIAMO AVANTI COSÌ, PENSERANNO CHE ANCHE NOI BADIAMO AGLI AFFARI NOSTRI”…

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Tommaso Labate per "Il Riformista"

Si scontrano sul referendum, sul voto anticipato, sulla Bce, e, sotto sotto, anche sulla leadership. Al termine della direzione del Pd, in cui Parisi evoca le sue «dimissioni», Bersani è sconsolato.

Alle 17.30, quando rientra nella sua stanza al termine di una riunione definita «senza controllo» anche dai fedelissimi («La situazione è sfuggita di mano un po' a tutti», spiega un componente della segreteria), il leader del Pd preoccupato. E lo dice, evitando gli eufemismi, a tutti quelli che lo raggiungono: «Se andiamo avanti così, c'è di che avere paura. Il mio timore è che il Paese cominci a pensare che anche noi badiamo agli affari nostri, e non a quelli della gente».

Poco prima, replicando con una punta di stizza a tutti coloro che lo avevano messo sotto accusa per la «timidezza» nel sostenere la raccolta delle firme per il referendum, aveva scandito, chiudendo i lavori del parlamentino dei Democratici: «Mi stupisce che dirigenti del Pd, invece che valorizzare il nostro contributo, lo azzoppino». E ancora: «Per me il Pd non è un optional. Io non sono il segretario di un optional».

Che fosse una direzione non facile era nelle cose. Troppe le polemiche pubbliche seguite al successo dei referendum. Troppa la tensione all'interno di un partito le cui anime (Enrico Letta, Paolo Gentiloni, Ivan Scalfarotto, Matteo Colaninno a favore; Stefano Fassina e Cesare Damiano contro) si sono presentate divise anche sulla lettera inviata in estate dalla Bce al governo. E così, dopo una relazione in cui Bersani tenta la sintesi tra «voto anticipato» e «governo d'emergenza» provando a tenere insieme entrambe le ipotesi («Stiamo pronti a tutto»), basta un lancio d'agenzia a seminare il panico.

È Rosy Bindi, dal tavolo della presidenza, a interrompere i lavori della riunione prima di pranzo: «Scusate un attimo. Leggo in un pezzo dell'Ansa che Parisi avrebbe lasciato un intervento scritto in cui chiede le dimissioni del segretario», spiega il vicepresidente della Camera alla platea. «A parte che Parisi, come avete sentito tutti, è già intervenuto senza parlare di dimissioni. Resta il fatto che qui non c'è alcun documento».

L'ex ministro della Difesa, richiamato da alcuni dei suoi, torna al Nazareno e spiega quello i giornalisti dell'Ansa hanno già riportato: «In un sistema quale quello che voi proponete per il governo del Paese il segretario dovrebbe presentarsi dimissionario per difendersi dall'accusa di aver inferto un grave danno al partito proponendo una linea che si è dimostrata radicalmente sbagliata» (quella di non sostenere i quesiti, arrivata in una direzione di metà luglio).

Più tardi, in una nota, l'esponente ulivista correggerà parzialmente il tiro accusando la Bindi di essersi limitata alla lettura di un titolo e di averlo commentato «con sarcasmo».

La riunione va avanti. L'anomalo tridente Veltroni-Letta-Franceschini, che s'era raccordato alla vigilia, insiste per «il governo istituzionale». Nicola Latorre, seguito dal segretario della Basilicata Roberto Speranza, si oppone: «Non ci sono le condizioni. Si vada al voto».

L'intervento del vicepresidente dei senatori pd è il grimaldello usato da Veltroni per aprire un altro fronte. «Parlo solo pochi minuti», esordisce l'ex segretario.

«Il sito internet di un importante quotidiano, riassumendo la relazione di Pier Luigi, scrive che "il nostro orizzonte è il voto". E Latorre, che ha avuto il pregio di dirlo con nettezza, ha ribadito la stessa cosa. Io non sono d'accordo. Se continuiamo a parlare di elezioni, allontaniamo il governo d'emergenza».

È lo stessa analisi in cui Beppe Fioroni, altro membro della minoranza, s'era esercitato con una punta di malizia: «Parliamoci chiaro, qui stiamo parlando di larghe intese ma in realtà speriamo che si vada al voto anticipato».

Bersani prova a tenere botta. I suoi, in platea, sono infastiditi. Il timore, ormai uscito dalle analisi da retrobottega, è che la minoranza interna punti sul 2013 per impedire che sia «Pier Luigi» il candidato premier. «Stanno lanciando la volata a Renzi», spiega un fedelissimo del leader. Un altro membro della segreteria, invece, arriva a sospettare che «Veltroni voglia un anno in più per avere il tempo di rilanciare se stesso».

Identici i sospetti che s'addensano su Parisi. Qualcuno arriva a ipotizzare che l'ex ministro della Difesa, preoccupato per l'ipotetico via libera di Bersani a Casini per il Quirinale, voglia spezzare il fronte per agevolare il ritorno in campo di Prodi. Teoremi. Congetture. Veleni. Nella zona mista di una direzione che torna a spaccare il Pd e a far infuriare il segretario: «Non possiamo dare anche noi l'impressione di farci i fatti nostri e non quelli dell'Italia».

 

PIERLUIGI BERSANI WALTER VELTRONI ROSI BINDI Arturo Parisi - Copyright PIzziENRICO LETTA casa55 giuseppe fioroniMASSIMO DALEMA