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Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti
A Casa Pannella, per tutti gli anni 60 e anche oltre, non c’era nemmeno la chiave perché il proprietario, allora affittuario, aveva fatto togliere la serratura. Via della Panetteria, dietro Fontana di Trevi, ultimissimo piano, una specie di soffitta, ma abbastanza grande da ospitare, soprattutto di notte, compagni, amici, ma spesso pure sconosciuti e sconosciute da mezza Europa.
Corpi involtolati nei sacchi a pelo sul pavimento, polvere, mefitiche sigarette francesi e fumi esotici proibiti, tutto in realtà abbastanza proibitivo a cominciare dal bagno raccapricciante, il frigorifero deserto, Marco spesso non c’era, “alle tre di notte esco per la città perché ho voglia di piangere e di amare” era lo stile di vita di quel giovane uomo alto, bello, le spalle possenti, gli occhi vellutati, la voce calda, lunghi capelli, un tentato suicidio non molto tempo prima, a Parigi, per amore.
MIRELLA PARACHINI MARCO PANNELLA
Se è vero che i luoghi conservano un’anima, si fanno i migliori auguri a chi da qualche tempo ha acquistato Casa Pannella e la sta ristrutturando. Basta si sappia che quelle pareti hanno visto e vissuto una libertà che al giorno d’oggi è faticosa perfino da raccontare, figurarsi farla credere concreta, appassionante, condivisa e poi lacerante, ma avercela oggi! In mezzo a quelle vampe di socialità convulsa e caotica sono maturate imprese che hanno stabilito un prima e un poi.
(...)
Più che una casa, un casino, l’avrebbero definita i benpensanti, “i tenutari di quell’altro casino – avrebbe replicato Marco – che chiamano Ordine”. Sessualità polimorfa, irresistibile nella sua trasgressione solare. “Io non ho mai tenuto segreto nulla, vivere alla luce del sole è il sistema migliore per non essere visto” diceva Pannella; allora indossava quel maglione nero a girocollo con il pendaglio “Make love, not war”, ma ha continuato a crederlo fino alla fine, sempre in quella casa, la coda di cavallo che aveva preso un colore giallastro, e lui coerentemente proponeva la liberalizzazione totale delle intercettazioni telefoniche, pubblicare tutto, “come sull’ottovolante” ridacchiava negli occhioni azzurri.
Non si sa quando fu ripristinata la serratura a via della Panetteria, forse ai tempi del terrorismo, ma anche su quello forse sarebbe stato meglio dargli ascolto. D’inverno non c’erano i termosifoni e lo sguardo era catturato da una stufetta che andava a tutta callara con la pentola piena d’acqua, in bilico, per umidificare il salotto, per così dire. Nei mesi estivi c’era una specie di terrazzino d’incerta titolarità e fonte di conflitti condominiali (non facile trovarsi Pannella come avversario!), dove comunque andava a prendere il sole nudo.
Diverse pareti erano oblique e scoscese, effetto casa dei Mostri di Bomarzo, la cucina sede di pantagrueliche pastasciuttone, arredamento più che casuale, idoli africani in legno, forse le foto del papà e della mamma francese, una misteriosa regina Elisabetta sopra il tavolo. Ma Pannella a casa sua, relativamente sua, era appena di passaggio.
Irrequietezza creativa e nomadismo esistenziale lo spingevano fuori, al partito, ai tavoli, sui marciapiedi dell’Italia profonda, alla Camera, a Bruxelles. Alla fine Marco era sempre fervido, ma gentile e svanito. Si era convinto che un gabbiano lo andasse a trovare e parlava con lui nel vano della finestra. Magari si saranno anche capiti.
VASCO ROSSI PANNELLApannella letta berlusconigiachetti pannella renzipannella renziVASCO ROSSI PANNELLA 9
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