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PIÙ MACRI, PIÙ BELLI - IL NUOVO PRESIDENTE DELL’ARGENTINA E’ IL LIBERALE MAURICIO MACRI - LA SUA VITTORIA CHIUDE L’ERA DEL PERONISMO E DELLA FAMIGLIA KIRCHNER - BATOSTA PER L’EX ‘REGINA’ CRISTINA CHE AVEVA PROVATO A LANCIARE DANIEL SCIOLI

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Rocco Cotroneo per il “Corriere della Sera”

 

MAURICIO MACRI     MAURICIO MACRI

Mauricio Macri appare in testa e dovrebbe essere il prossimo presidente in Argentina. In attesa dei risultati definitivi, gli exit poll nella serata di ieri indicavano varie percentuali e punti di distacco, ma erano tutti d’accordo nel segnalare la vittoria di Macri su Daniel Scioli, il candidato del peronismo e del governo uscente di Cristina Kirchner. Sorpasso dunque rispetto al primo turno del 25 ottobre (Scioli 36%, Macri 34%), ma atteso perché il voto oppositore si è concentrato su chi prometteva la svolta più marcata rispetto al passato.

 

E’ la prima volta che gli argentini scelgono il nuovo presidente in un ballottaggio. Ed è stata una campagna più moderna e aperta rispetto al passato, con una forte affluenza: si è visto persino un dibattito tv all’americana tra i due candidati, altro fatto inedito nella politica argentina. Macri e Scioli fanno parte della prima generazione entrata in politica dopo la dittatura militare e sono cresciuti entrambi nell’alveo del «menemismo» Anni 90, che era un peronismo liberista.

 

MAURICIO MACRI   MAURICIO MACRI

Poi Scioli è poi rimasto nel Partido Justicialista, diventando il delfino di Nestor Kirchner, mentre Macri ha osato rompere il dualismo peronisti-radicali creando un partito nuovo, il suo attuale Pro, Proposta repubblicana. La mobilitazione dei suoi militanti per il ballottaggio è stata sorprendente. Ben 800.000 rappresentanti di lista in ogni angolo del Paese, ad evitare le frodi per le quali i peronisti sono tristemente famosi. E’ stato fotografato in un seggio di periferia persino Cristiano Rattazzi, presidente della Fiat locale, parente degli Agnelli che vive in Argentina da molti anni.

 

mauricio macri mauricio macri

Scioli è stato indicato a malincuore da Cristina: non lo ama, ma non aveva scelte perché era l’unico nome della sua area in grado di raccogliere voti. Lo stile accentratore e superbo della «presidenta» ha impedito lungo i suoi due mandati alla Casa Rosada la nascita politica di un successore.

 

Macri invece sembrava condannato alla politica locale, come governatore-sindaco di Buenos Aires, considerato dai più come troppo urbano, snob e ricco per conquistare un Paese intero, dove i destini della politica passano per province lontane, ras locali onnipotenti, un voto di scambio elevato a sistema nelle periferie urbane.

 

L’ex presidente del Boca Juniors, testardaggine tutta calabrese (da dove vengono i suoi avi), ha invece tenuto duro fino ad intuire che il tramonto del kirchnerismo lo avrebbe alla fine premiato, perché persino al trasformismo argentino c’è un limite e la domanda di cambiamento in questo momento è troppo forte. Il suo risultato al primo turno è stato superiore a qualsiasi sondaggio e aspettativa.

 

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Cristina Kirchner esce di scena quasi rassegnata a vedere la fine di un modello — come lei stessa amava definire l’era K, «nacional y popular» — che ha lasciato profondi cambiamenti in Argentina, comunque la si pensi. Dodici anni iniziati quando uno sconosciuto politico arrivato dalla Patagonia e soprannominato il «pinguino», Nestor Kirchner, si trovò tra le mani la sfida di ricostruire il Paese, dopo la grave crisi del 2001-2002 e il default dei tango bonds.

 

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Nei primi anni i risultati del suo interventismo sono stati positivi, in termini di crescita economica e aiuti ai più bisognosi. Poi lo statalismo populista ha preso il sopravvento, l’inflazione è esplosa e l’economia si è inceppata. Per non smentirsi, fino all’ultimo, la «presidenta» ha mostrato come interpreta le regole: al momento di votare ha tenuto un comizio di ben 28 minuti elogiando il suo governo e attaccando Macri.