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Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera"
La doppia fila di barriere marroni si arrampica sulle colline aspre, ostili di Otay Mesa. È una lunga cerniera che chiude uno dei punti più vulnerabili del confine tra il Messico e gli Stati Uniti.
Da questa parte c'è uno spazio vuoto: i rumori della California, di San Diego non si sentono più. Dall'altra si vedono gli ultimi edifici bassi, tozzi di Tijuana, la città più violenta del continente, la «plaza» controllata centimetro per centimetro da decine di cartelli, le organizzazioni dei narcos e, da tempo, anche dei trafficanti di esseri umani.
Shane Crottie, portavoce della polizia di frontiera, punta il dito verso la salita della strada sterrata. «Vede quella cima là in alto? Nota niente di strano?» Sì, in effetti sì. Manca qualcosa. Lo sbarramento si interrompe. Il tracciato riparte circa 300 metri più in su.
Ora l'agente che ci ha accompagnato dentro la zona vietata indica uno spiazzo sotto il nostro posto di osservazione. Ci sono travi d'acciaio accatastate con ordine; camion e ruspe immobili.
donald trump comizio ad alamo in texas davanti al muro con il messico
«Quel materiale laggiù è la parte mancante per completare la protezione», dice Crottie, 37enne del Michigan in servizio da 13 anni nel Settore San Diego della Us Border Patrol. Ecco, con un solo colpo d'occhio, l'immagine della politica americana sull'immigrazione. Ambizioni, velleità, contraddizioni. Di ieri e di oggi.
donald trump comizio ad alamo in texas davanti al muro con il messico
Il recinto a due binari di metallo e cemento è stato costruito da Donald Trump nel 2018, per rimpiazzare le vecchie recinzioni. Non ha fatto in tempo a finirlo. Il 20 gennaio 2021, nel primo giorno del suo mandato, Joe Biden ha bloccato la costruzione del muro con un ordine esecutivo. Risultato: il manufatto trumpiano è rimasto intatto per 22,5 chilometri. Salvo il «buco» di trecento metri che si è rivelato una benedizione per i trafficanti. Specie all’inizio.
donald trump autografa il muro con il messico ad alamo 3
Di notte quel terreno così impervio è difficilmente controllabile. I «coyote», gli sgherri dei trafficanti, scaricano i migranti ancora in territorio messicano. Poi li guidano con messaggi inviati ai cellulari, lungo sentieri coperti da cespugli, dove non arriva la vista delle telecamere e l'olfatto dei sensori termici.
Naturalmente non ci sono, non possono esserci statistiche precise su quante persone sono riuscite a passare. La Border Patrol, però, fornisce i dati sugli arresti, che è comunque un indicatore importante per avere un'idea del flusso.
Nei primi sei mesi dell'anno qui sono state fermate 58 mila persone, il doppio del 2020, anno di pandemia, ma anche più dei 53 mila del 2019. Da qui al dicembre, si toccherà quota 100 mila. Sono numeri in sintonia con il trend generale. Solo a giugno, lungo tutta la linea di frontiera, ci sono stati 178 mila detenzioni, il 5% in più rispetto al 2020 e il 23% in più rispetto a maggio 2021.
Dall'inizio del 2021 il totale ha già raggiunto una soglia traumatica: un milione. Biden ha affidato la delega, o meglio il dossier politico più difficile, a Kamala Harris. La vice presidente ha sintetizzato la linea dell'amministrazione in una frase molto criticata dall'ala liberal del partito democratico: «A chi sta pensando di venire negli Stati Uniti in modo illegale, dico: non venite perché sarete rimandati indietro».
Sono parole che Trump ha pronunciato centinaia di volte. Ma Harris e Biden hanno promesso una svolta radicale. Per il momento, comunque, la verifica sul campo racconta un'altra storia. Le azioni simboliche volute dalla Casa Bianca, come appunto lasciare l'acciaio a marcire sotto il sole californiano, non hanno cambiato la sostanza.
Le pattuglie della Us Border Patrol, conferma Shane Crottie, continuano a fare esattamente le stesse cose di prima. Vigilanza, controlli, arresti, rimpatri. Con qualche difficoltà in più. In attesa che arrivino i fondi promessi da Washington per potenziare la tecnologia.
Al momento ci sono 200 telecamere per il controllo a distanza, più una piccola formazione di droni. Ma non bastano. Anche perché, nel frattempo, le organizzazioni criminali hanno aperto altri canali. Il 3 maggio scorso una «panga», piccola imbarcazione di sette metri, è finita sugli scogli, poco lontano dal confine, segnato dalla lastra di acciaio che si allunga per circa 100 metri nell'Oceano Pacifico. La barca trasportava 32 migranti pigiati nella stiva.
Negli ultimi due-tre anni i cartelli hanno moltiplicato le flottiglie di finti pescatori, come contromisura alla stretta di Trump. Il trasporto sui «panga», però, è più complicato e talvolta più pericoloso. Le gang, quindi, applicano la legge di mercato: 8 mila dollari per un passaggio clandestino via terra; 20 mila via mare.
C'è stata un'evoluzione anche nelle tecniche di scavo. La barriera trumpiana affonda denti di cemento profondi due-tre metri. Dall'altra parte «gli ingegneri» delle cosche rispondono, sbancando il terreno fino a connettersi con i canali di scolo sotterranei che attraversano la frontiera. Il viaggio della speranza, a pagamento, inizia tra i topi e il fetore.
Le cosche, inoltre, hanno già dimostrato di poter realizzare opere impegnative: perforano il suolo messicano per venti-trenta metri, costruiscono una galleria che sbuca in uno delle decine di grandi depositi spuntati negli ultimi anni a ridosso del «border». Nei tunnel, naturalmente, passano anche gli stupefacenti: fentanyl, metafentamine, eroina e cocaina. L'imprenditoria dei narcos si mimetizza facilmente nella zona industriale e tra le piattaforme logistiche di San Diego.
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