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1. LE BUGIE DI DI MAIO E DI BATTISTA
Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
Nel «Comunicato politico numero quarantacinque» sul blog, quando ancora i cinque stelle vivevano di radiosi ideali, Beppe Grillo scrisse la regola sui soldi nel Movimento: «Ogni eletto percepirà un massimo di tremila euro di stipendio, il resto dovrà versarlo al Tesoro, e rinunciare a ogni benefit parlamentare, iniziando dal vitalizio». Fine.
Da un' analisi delle spese dei leader del Movimento - Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista - resa possibile grazie al fatto che loro stessi pubblicano le loro note su tirendiconto.it, possiamo affermare che invece, tra indennità e rimborsi, le due star percepiscono una media superiore ai diecimila euro al mese. In alcuni casi, viaggiano sui 12mila, o 13mila.
La rivolta sui comportamenti di Di Maio è del tutto in corso, se persino un moderato come Nicola Morra ieri scriveva: «Tutti abbiamo spese per sostenere sul territorio eventi che riteniamo necessari per veicolare i contenuti di cui ci facciamo alfieri, però tutti siamo chiamati a farlo con la dovuta sobrietà». Tutti.
Così, all' aspirante leader, per rispondere alla contestazione - mossagli dall' interno del gruppo parlamentare sui 108mila euro extraindennità spesi per «eventi sul territorio» - è stato generosamente messo a disposizione il blog. E lui vi ha scritto: «Ho restituito ai cittadini italiani in tre anni e mezzo 204.582,62 euro. (...) Da quando sono stato eletto deputato e poi vice presidente della Camera avrei avuto diritto a stipendio aggiuntivo da vice presidente, stipendio pieno da deputato (di cui restituisco la metà), spese di rappresentanza, auto blu, telepass gratuito, cellulare di servizio, spese gratuite in tipografia, tutti i rimborsi spese che non uso e non rendiconto. Ma ho rinunciato». Non è vero però che avrebbe avuto diritto, perché la regola del Movimento era chiara e l' abbiamo citata.
Una bugia fattuale è poi che Di Maio «restituisca la metà» dello stipendio pieno da deputato. A maggio, ultimo mese disponibile, ha restituito 1686 euro di quota fissa di indennità, su 4945 (intascandone dunque 3259: assai più della metà, i due terzi).
Ma è sui rimborsi il capitolo più incongruente con le promesse: Di Maio spende 6732 euro restituendone appena 460. Ha dunque incassato e speso un totale di 9991 euro. Ad aprile ha restituito (tra parte fissa di indennità e rimborsi) 1843 euro in tutto, percependo e spendendone invece 13196.
Sorvoliamo sui giustificativi vaghi: è vero che sono loro stessi a offrirceli, tuttavia nessuna azienda privata accetterebbe in nota voci generiche e senza pezze d' appoggio come le sue.
Né si può dire che Di Battista o altri possano dargli grandi lezioni. Dibba aggiorna di più: a giugno tra indennità e rimborsi incassa e spende un totale di 9564 (3187 più 6377). E a maggio un totale di 10030 (3202 più 6825). I grafici del sito maquantospendi.it sono impietosi: nel gruppo parlamentare M5S, la media, per la parte fissa di indennità, è 2782 euro (senza rimborsi, attenzione: perché la maggioranza ne spende tra i 6mila e gli ottomila), ma Di Maio è sempre sopra media, con 3200 euro. Nei bonifici di restituzione, invece, in due anni è quasi sempre sotto la media del suo gruppo (grafico consultabile qui: http://www.maquantospendi.it/spese/9/47/).
È il costo della politica, bellezza; e questa polemica non avrebbe senso: per tutti tranne che per il Movimento. I parlamentari espulsi dal M5S sono sempre stati espulsi usando l' accusa di soldi spesi e non ben rendicontati. E Di Maio, che giustifica gli «eventi sul territorio» dicendo che «è una dicitura fittizia»? Lo dice Serenella Fuksia, ex M5S: «Diversi parlamentari addirittura non rendicontano da 9 mesi! Ricordo che per 4 mesi di ritardo, tra l' altro annunciati, motivati e documentati, la sottoscritta è stata esposta a pubblica gogna e con quella scusa espulsa».
Massimo Artini fu addirittura espulso pur avendo prodotto tutti i bonifici: il clan voleva espellerlo per altri motivi, e lo cacciò comunque. In questa ipocrisia, fatta di menzogne fattuali da svelare una ad una, sta il peccato mortale di questa storia: non certe in spese del tutto legittime, per un parlamentare.
2. LE FIRME FALSE DI PALERMO INGUAIANO GRILLO
Ilario Lombardo per “La Stampa”
Il caso di Palermo rischia di sfuggire di mano a Beppe Grillo e di trasformarsi in una slavina per tutto il M5S. Due dei cinque deputati coinvolti nella vicenda delle firme false, raccontata dalla trasmissione Le Iene , hanno opposto resistenza al suggerimento partito dalla Casaleggio Associati di un passo indietro.
L' ex capogruppo alla Camera, candidato sindaco nel 2012, Riccardo Nuti e la segretaria dell' ufficio di Presidenza di Montecitorio Claudia Mannino si sarebbero rifiutati di autosospendersi in attesa di chiarimenti, come volevano i vertici M5S. Un atto di ribellione che ha travolto direttamente il capo dello staff Rocco Casalino accusato dai parlamentari «di lavorare per conto delle Iene con i nostri soldi».
beppe grillo davide casaleggio
In realtà il capo della comunicazione era stato chiamato a verificare la sussistenza delle pesanti accuse e a trovare una via d' uscita coerente con le regole M5S per una vicenda che preoccupa e di molto Grillo e Davide Casaleggio. I deputati hanno fatto di testa loro e hanno sconfessato Grillo.
Al comico, che sul proprio blog aveva ringraziato pubblicamente Le Iene , hanno risposto cinque deputati (Nuti, Mannino accompagnati dalle colleghe Giulia Di Vita, Chiara Di Benedetto e Loredana Lupo) i quali, invece di chiarire e allontanare i sospetti, hanno presentato querela contro la trasmissione Mediaset. Ma ieri è andata in onda l' ennesima prova che inchioderebbe il gruppo dei grillini palermitani: un giro di mail del 3 aprile 2012 in cui i 5 Stelle manifestano la paura di non raccogliere in tempo 1200 firme per la candidatura alle comunali.
ROCCO CASALINO E ALTRI MASCHIONI
Peccato però che la quasi totalità delle firme depositate abbiano l' autenticazione del cancelliere del tribunale di Palermo datata marzo. Chi ha retrodatato i documenti commettendo un falso?
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