DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
1 – “PATRIMONIALE” AL 20%, IL PIANO DELLA BUNDESBANK PER DIMEZZARE IL DEBITO ITALIANO
Isabella Bufacchi per www.ilsole24ore.com
Un fondo “salva-Stato” tutto italiano, finanziato con il risparmio degli italiani attraverso speciali titoli di Stato di solidarietà sottoscritti forzatamente dai risparmiatori nella misura del 20% del proprio patrimonio netto: così l'Italia, attingendo alla ricchezza degli italiani, può risolvere il problema dell'elevato debito pubblico ed abbassare lo spread senza aiuti esterni, senza ricorrere all'Esm (European stability mechanism) e «senza chiedere l'intervento dei contribuenti europei» o della Bce.
È questa la provocatoria, ma ampiamente argomentata, proposta lanciata oggi sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung da Karsten Wendorff, economista di punta della Bundesbank responsabile per il dipartimento delle finanze pubbliche nella banca centrale tedesca. L’ipotesi, si precisa nel servizio, è a titolo personale.
L’ispirazione: il piano B di Savona
Partendo dalla proposta del ministro Paolo Savona, che secondo l'economista mira a scaricare sull'Europa con la richiesta di garanzie varie il debito pubblico italiano sopra il 60% del debito/Pil, e ricordando che lo stesso vicepremier Matteo Salvini fa spesso riferimento alla ricchezza dell'Italia e degli italiani, Wendorff mette le due cose assieme per proporre all'Italia il fondo salva-Stato, una soluzione tutta fatta-in-casa per risolvere un problema che lui considera (e come lui molti tedeschi e molti europei) domestico. Non più dunque il ricorso all'Esm, il fondo-salva Stati europei. La notizia è stata rilanciata anche da Bloomberg.
«Patrimoniale? No, c’è un rendimento»
Non si tratterebbe di una patrimoniale, afferma l'economista convinto, perché i titoli di Stato di solidarietà nazionale pagherebbero comunque un rendimento e non si tratterebbe di un prelievo forzoso ma un investimento forzoso. Il fondo salva-Stato oltretutto, questa la tesi, diventerebbe uno strumento deterrente, il famoso bazooka nel cassetto, per bloccare la speculazione: mettendo a garanzia del vecchio debito pubblico italiano direttamente la ricchezza degli italiani. L'acquisto dei bond sarebbe forzato, pari al 20% del patrimonio netto: Wendorff ha già calcolato che così facendo circa la metà del debito pubblico italiano ricadrebbe sotto l'ombrello di questo fondo.
2 – COSA ACCADDE QUANDO AMATO IMPOSE LA PATRIMONIALE
Carlo Terzano per www.lettera43.it
Uno spettro si aggira per l'Italia. È quello della patrimoniale. Se la situazione dovesse precipitare, se l'impalcatura della manovra giallo-verde non dovesse reggere all'urto degli investitori, c'è il rischio - nonostante le ripetute smentite di Luigi Di Maio - che ancora una volta sarà il patrimonio privato degli italiani a fungere da garanzia d'ultima istanza di fronte ai nostri creditori. Ed è subito 1992, perché la memoria corre inevitabilmente a quella notte di 26 anni fa, tra il 9 e il 10 luglio. La notte del prelievo forzoso, che rappresentò uno dei momenti finanziariamente più bui e difficili degli ultimi decenni (leggi anche: perché la patrimoniale è una via impercorribile dalla politica).
La lunga notte della lira è spesso ricordata come emblema dello Stato vampiro, che non si limita a mettere le mani nelle tasche degli italiani ma li borseggia anche mentre dormono. Cosa accadde realmente? Per capirlo occorre contestualizzare, partendo anzitutto dai protagonisti: Giuliano Amato era appena arrivato a Palazzo Chigi, Carlo Azeglio Ciampi era governatore della Banca d’Italia, Piero Barucci ministro del Tesoro, Giovanni Goria delle Finanze, Franco Reviglio sedeva al Bilancio mentre il direttore generale del Tesoro era Mario Draghi. Esattamente un mese dopo il prelievo forzoso, il 13 agosto, sul palco della storia saliva un altro attore noto: Moody's, che declassò doppiamente i nostri Btp.
L'EUROPA DI MAASTRICHT E DEGLI EGOISMI NAZIONALI
Se in filigrana pare di intravedere alcune somiglianze con il presente, il contesto invece è radicalmente diverso. A livello europeo, il 7 febbraio di quell'anno, 12 Paesi tra cui il nostro avevano fissato i parametri di Maastricht. Eppure perduravano gli egoismi nazionali. Erano infatti anche gli anni del marco forte: la Bundesbank doveva gestire la riunificazione delle due Germanie - con i marchi dell’Est cambiati uno a uno con quelli dell’Ovest sui salari - e puntava tutto sulla restrizione monetaria. Parigi, dal canto suo, non poteva perdere la competizione con Berlino: il 20 settembre in Francia si sarebbe tenuto il referendum per la ratifica del Trattato di Maastricht. Amato, incassato il nein di Berlino, chiese allora al premier francese Pierre Bérégovoy di tagliare i tassi ma, come ricorda lo stesso ex presidente del Consiglio in un'intervista rilasciata al Corriera della Sera nel 2017, si sentì rispondere: «“Giuliano, non lo faccio”. Per i sondaggi il sì era sotto: se avessero perso la parità con il marco, l’orgoglio francese avrebbe reso il no invincibile e il progetto dell’unione monetaria sarebbe saltato».
PROTESTE A CIPRO CONTRO IL PRELIEVO FORZOSO DAI CONTI CORRENTI
L'ITALIA STRETTA TRA LE STRAGI DI MAFIA E TANGENTOPOLI
Questo lo scenario europeo. Quanto a quello italiano, erano gli anni delle stragi di mafia (il 12 marzo 1992 era stato assassinato Salvo Lima, il 23 maggio Cosa nostra uccideva il giudice Giovanni Falcone, il 19 luglio il collega Paolo Borsellino). Erano anche gli anni di Tangentopoli e della dissoluzione del Pentapartito che aveva causato un pericoloso vuoto politico. Proprio dalle ceneri della Prima Repubblica, il 28 giugno del 1992, era nato il governo Amato I, destinato a restare in carica appena 10 mesi. Il nostro Paese si trovava nel pieno di uno dei periodi più turbolenti dal Dopoguerra e ciò si riverberava sulla salute della sua moneta, la lira, presa di mira dagli speculatori a tal punto da rischiare di scivolare fuori dai parametri del Sistema monetario europeo (Sme) che ci vincolavano al mantenimento di una parità di cambio prefissata.
sergio mattarella e giuliano amato
Qui riprendono alcune somiglianze con il presente. Oggi come allora il mantra del governo era ridurre il debito, che nel '92 aveva sfondato la soglia psicologica e critica del 100% nel rapporto col Pil (non accadeva dal '42). La lira era zavorrata da alti tassi di interesse e da un cambio valutario forte: gli imprenditori non riuscivano a ottenere credito e perdevano terreno sull'export rispetto ai competitor stranieri. Chiedevano dunque una svalutazione. Impensabile, per governo e Bankitalia, con quel debito pubblico, anche se poi si rivelò la sola strada possibile. Ma, in quei mesi, per restare nei parametri comunitari, si optò per una manovra straordinaria da 30 mila miliardi di lire (sarà infine da 100 mila).
Già, ma dove reperire i fondi? Le soluzioni risultano quantomai attuali: aumentare l'Iva, l'Irpef o il ticket, oppure tassare le partite Iva. Amato le definì tante «piccole, inutili, cattiverie». Il ministro del Tesoro, Barucci, disse che furono costretti a «tagliare la gamba in cancrena prima della morte del paziente». E patrimoniale fu. «Alle 4 del mattino Giovanni Goria mi prese da parte e mi chiese se poteva studiare la misura forzosa», ha ricordato Amato, sempre al Corriere. La manovra dispensò al Paese una “cura da cavallo”: prelievo del 6 per mille sui conti correnti, patrimoniale, fine dell’equo-canone nei contratti di locazione, aumento dell’età pensionabile a 65 anni (gli assegni previdenziali furono anche sganciati dall'andamento dei salari e ancorati solo all'inflazione) e detassazione degli utili reinvestiti, più la vendita frettolosa dei gioielli di famiglia (leggasi: privatizzazioni).
LA NOTTE DEL PRELIEVO FORZOSO E DELLE NUOVE TASSE
Non c'è miglior libro di storia del testo del decreto legge dell'11 luglio 1992, n. 333 dall'evocativo titolo: Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica per comprendere la gravità dell'atto. «Per l'anno 1992», si legge, «è istituita una imposta straordinaria sull'ammontare dei depositi bancari, postali e presso istituti e sezioni per il credito a medio termine, conti correnti, depositi a risparmio e a termine, certificati di deposito, libretti e buoni fruttiferi, da chiunque detenuti».
Il prelievo forzoso del 6‰ sui depositi fu reso retroattivo al 9 luglio (il testo era dell'11) per evitare fughe di capitali (era il periodo degli spalloni che si recavano in Svizzera con valigie zeppe di contante). Il secondo intervento fu l'Isi, acronimo di imposta straordinaria immobiliare che dal 1993 perse il carattere di straordinarietà per essere chiamata Ici, ed era del 2‰ sui valori catastali di fabbricati residenziali, del 3‰ per le seconde case. A settembre l'esecutivo tassò i beni di lusso e il patrimonio netto delle società con aliquota pari al 7,5‰. Imposta che sarà poi sostituita dall'Irap.
L'USCITA DELL'ITALIA DALLO SME
L'annus horribilis della lira proseguì con l'uscita del Paese dallo Sme a settembre, con frettolosi sequestri dei patrimoni dei corrotti per fare cassa e con la svalutazione della moneta del 32,2% contro il dollaro e del 29,8% contro il marco. Lo spread Btp/Bund il 7 ottobre toccò i 769,8 punti base. Lo stesso giorno, ricorda il calendario politico dell'istituto Carlo Cattaneo, la Lega invitò gli italiani a smettere di acquistare i titoli di Stato a ridosso della maxi-emissione da 47 mila miliardi e lo Stato arrivò a bloccare i pagamenti essenziali per contenere le emissioni delle obbligazioni. La primavera seguente il dottor Sottile rassegnò le dimissioni e a Palazzo Chigi arrivò Carlo Azeglio Ciampi.
LA PRIMA VOLTA DEL GOVERNO NITTI
La storia d'Italia è costellata da crisi economiche e relative patrimoniali redatte in tutta fretta per fronteggiare le emergenze. La prima fu varata subito dopo la Grande guerra, per far fronte a un debito pubblico esploso attorno ai 100 miliardi. Nel 1920 il governo Nitti fu costretto a operare un prelievo straordinario che, negli ingenui progetti originari prevedeva la restituzione una tantum in 70 anni a partire dal 1930 (insomma, lo Stato avrebbe smesso di pagare nel 2000) ma che, modifica dopo modifica, si tradusse invece in un’addizionale sui profitti di guerra sui redditi percepiti fra il 1914 e il 1919 cui si sommava una tassa sui patrimoni dal 1920, con esenzione per quelli inferiori alle 50 mila lire.
LA COSTITUENTE E LE PATRIMONIALI
Altre patrimoniali si abbatterono durante la Seconda guerra mondiale, su immobili e sulle società, per finanziare la campagna dell'Africa orientale italiana. Bisogna però attendere il 1940 per la prima patrimoniale ordinaria, inserita in un Regio decreto legge 1529/1939, annoverato nei libri di diritto tributario. Finita la guerra, persino la Costituente si occupò di patrimoniali, convalidando un decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato - l'Istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio - cui l'Assemblea prestò la massima attenzione. Non a caso il relatore scelto fu Ugo La Malfa.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT – VIVENDI VENDE? I CONTATTI TRA BOLLORÉ E IL FONDO BRITANNICO CVC VANNO AVANTI DA TRE…
FLASH - SIETE CURIOSI DI CONOSCERE QUALI SONO STATI I MINISTRI CHE PIÙ HANNO SPINTO PER VEDERSI…
DAGOREPORT – TOH! S’È APPANNATA L’EMINENZA AZZURRINA - IL VENTO DEL POTERE E' CAMBIATO PER GIANNI…
DAGOREPORT – AVANTI, MIEI PRODI: CHI SARÀ IL FEDERATORE DEL CENTRO? IL “MORTADELLA” SI STA DANDO UN…
COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…